Alcuni utenti, tra cui Giovanni Falcone (Bagheria), Fabrizio Malato (Napoli) e Barbara Sagginoni (Settimo Torinese), ci chiedono se esiste, cosa significa e qual è l'etimologia del verbo basire.
Per non rimanere basito
Il verbo intransitivo basire è una voce di area toscana; deriva dal latino ricostruito *basīre, di probabile origine celtica, sebbene "una radice bas- non sia provata" (LEI). Di questo termine sono attestati due significati. Il primo è 'morire', ma è di uso antico. Nelle note al Malmantile, per esempio, si legge: "Basisce, muore. Questo verbo ha forse l'origine della greca voce βάσις, che vuol dire incessus: e noi diciamo 'il tale se n'andò', per 'il tale morì, basì'".
Il secondo significato, registrato da tutti i dizionari dell'italiano contemporaneo (Sabatini-Coletti 2008, GRADIT, Vocabolario Treccani, Devoto-Oli 2008, ZINGARELLI), è 'sentirsi venir meno, svenire': basire di paura; basire dalla fame, basire dal freddo. È un termine di uso per lo più letterario da cui si genera, per estensione, il significato più comune e diffuso cioè 'rimanere allibito, sbalordito'.
Nei vocabolari storici il termine è attestato nel Nuovo dizionario de' sinonimi della lingua italiana di Niccolò Tommaseo (1830), che di basire fornisce una definizione dettagliata a partire dal confronto con altre due espressioni semanticamente affini (languire e venir meno).
Basire è più di languire: venir meno è più di basire. Chi non s'è sdigiunato, si sente languire. Un uomo di stomaco debole si sente una continua languidezza (6). Un sonno fortissimo e da lungo tempo non soddisfatto fa basire: uno si sente basire per estrema debolezza, per dolore grave, per fame (7). Chi si sente venir meno è vicino a perdere il sentimento, a svenire (8). Tra languire e venir meno è dunque a un di presso la differenza ch'è tra la languidezza e lo svenimento. Basire sta di mezzo tra l'uno e l'altro, e secondo i vari casi ora s'avvicina moltissimo a questo ora a quello. Si languisce e si basisce per mal essere, per male fisico; si vien meno anco per dolore dell'animo, che vinca le forze del corpo (9).
Nel GDLI il significato indicato per basire è 'sentirsi illanguidire; essere sul punto di venir meno; svenire; rimanere allibito (per forte debolezza, per improvvisa emozione, specie per paura)'; e per basito 'attonito; che resta immobile e come impietrito (per lo stupore o la paura); svenuto, in deliquio'.
Sono riportati numerosi esempi d'autore, tra cui basterà ricordare Bernardo Davanzati ("Basì di paura, gridando ch'ella verrebbe subito a vendicarsi"); Alessandro Manzoni ("Non vedete che costei è un pulcin bagnato che basisce per nulla? se vede armi è capace di morir davvero"); Giovanni Verga ("Una ragazza che si basiva per un nulla, e v'imbrogliava la lingua e le mani"); Grazia Deledda ("Ansava, e davvero pareva basisse d'amore"); Luigi Pirandello ("Mi voltai a guardare la madre. Rimasta come basita davanti alla figliuola che insorgeva alla fine a schiacciarla con una condanna"); e infine Cesare Pavese ("Una voce di testa da matto o di donna, ... fa un urlo lungo e finisce, e il cane si sveglia e diventa matto. Noi restiamo basiti, e appena il cane riprende fiato, quel grido si leva di nuovo").
Basire è sempre associato al verbo essere o rimanere, in una formula che si è ormai quasi cristallizzata: si è o si rimane basiti. Inizialmente questa espressione è stata usata forse per dare un tono più alto o formale al discorso in sostituzione di formule più colloquiali come rimanere di stucco, essere sconvolto ecc. Oggi risulta ormai ampiamente diffusa anche nel linguaggio comune, e lo dimostra una pur rapida ricerca nella rete. Lo troviamo, inoltre, in moltissimi articoli dei quotidiani nazionali e in riferimento a contesti di ogni genere. Qualche anno fa Vincenzo Cerami, ricordando la sua collaborazione a Il piccolo diavolo di Roberto Benigni, dichiarava: "di fronte alle sue folgorazioni, restavo basito e reagivo scoppiando a ridere" (07 settembre 2004). Nelle pagine dedicate alle vicende politiche sempre più spesso si legge di esponenti di tutti gli schieramenti che vicendevolmente basiscono per l'operato degli altri, così per esempio si legge di Fini che "resta basito" e del "Pd veneziano, incredulo e basito".
L'aggettivo basito ha anche una piccola storia televisiva che lo rende familiare alla fascia di pubblico dei trentenni. Qualche anno fa nella trasmissione L'ottavo nano (2001), condotta da Serena Dandini, Neri Marcorè interpretava il conte Swarovski, protagonista di un vecchio sceneggiato ambientato nella Russia di fine Ottocento, che durante la riproduzione della pellicola all'improvviso usciva dallo schermo per ritrovarsi nello studio televisivo: di fronte alle novità del mondo moderno il povero conte non poteva che rimanere basito (tutti gli spezzoni sono visibili su YouTube). Più di recente, in alcuni episodi della fortunata serie televisiva Boris (2007, 2008, 2010), l'aggettivo basito ritorna con insistenza, tanto da diventare addirittura un "tormentone" per le giovani generazioni di telespettatori. Boris può essere definita una metafiction, ovvero una 'fiction che parla di fiction', perché mette in scena il dietro le quinte di un set sul quale si sta appunto girando la fiction televisiva Gli occhi del cuore 2. Tra i protagonisti della serie troviamo degli strampalati sceneggiatori che, per descrivere i sentimenti degli attori, indicati nelle didascalie del copione, hanno associato quattro tasti-funzione del computer ad altrettante espressioni; quella più utilizzata è F4 cioè basito: tutte le scene si chiudono sempre su personaggi che hanno immancabilmente un'espressione basita. Uno degli spezzoni più divertenti è visibile su YouTube.
A cura di Stefania Iannizzotto
Redazione Consulenza Linguistica
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22 ottobre 2010
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