In molti ci hanno chiesto chiarimenti sui vari tipi di periodo ipotetico e sui modi verbali da utilizzare. Riportiamo la trattazione di Angelo Stella, apparsa su La Crusca per Voi (n° 4, aprile 1992).
Periodo ipotetico
«Cosa faremmo se non avessimo il condizionale, il soccorso della sua cautela e della sua prudenza, un poco scaramantica, dei suoi sottintesi e presupposti, in situazioni difficili? Soprattutto in una enunciativa, «il condizionale è il modo della penombra e delle luci smorzate», come scrive Luca Serianni nella sua Grammatica (ed. UTET. Torino, ma si veda ora anche quella curata da Renzi e Salvi, Grande grammatica italiana di consultazione, Il Mulino, Bologna, II, pp. 751 e sgg.). Anzi, in presenza di dubbi verso terze persone, direbbero i giornalisti, "il condizionale è d'obbligo": «il governo sarebbe intenzionato a..., il presidente avrebbe detto che...».
Rispetto al sistema morfologico, non sintattico, del latino, questo modo è nuovo, è una grande "invenzione" delle lingue romanze. Anche un ragazzo comprende che amerebbe, amerebbero sono sintesi di amare + ebbe, ebbero. Queste le "desinenze" che il fiorentino ha imposto all'italiano, piegando, ma nei tempi lunghi, la resistenza del tipo ameria (amare + habebam), inserito nella scripta letteraria dalla scuola siciliana (ma diffuso in diversi dialetti), e del minore concorrente amara (da amaveram).
La presenza "etimologica" e non più semanticamente avvertita di un tempo passato (il perfetto semplice e l'imperfetto nelle forme perifrastiche, il piuccheperfetto nel terzo caso) rivela nel condizionale un non mascherato ancoraggio, della potenzialità, e dunque a una perfettibilità.
Già nella genesi era insita la grandezza e la precarietà del condizionale. E l'uso moderno lo evidenzia, soprattutto nell'apodosi del periodo ipotetico, in rapporto al contesto pragmatico, alla intenzione del responsabile del messaggio (si pensi al suo riuso in un discorso indiretto libero). Oggi i modi si mescolano, e l'uso e il non uso del condizionale (come del congiuntivo), segna la rivincita del fatto e della volontà sul rapporto sintattico, della sequenza cronologica e fattuale sulla consecutio temporum. Non si tratta di distinguere un uso standard dalle sue varianti colloquiali e da un uso substandard, ma di riconoscere la ricchezza espressiva della lingua, che sta alla grammatica come la vita alla fisiologia. Il ricorso a Manzoni potrebbe sembrare sospetto e di parte, si veda allora in Dante.
La parafrasi a Purgatorio III, 38-39, «se aveste potuto spiegare tutto con la ragione, non sarebbe stata necessaria l'incarnazione di Gesù» (Salinari-Romagnoli-Lanza), devia dalla prospettiva storica segnata dall'imperfetto indicativo nel testo della Commedia:«se potuto aveste veder tutto, / mestier non era parturir Maria» ( e Dante avrebbe potuto - poteva - ricorrere al fossile fora senza compromettere la metrica).
Alla coppia congiuntivo piuccheperfetto/imperfetto indicativo corrisponde, nel presente, l'altrettanto legale rapporto, rispettivamente, di imperfetto e presente: per rimanere a Dante (Inferno II,80), «l'ubidir,se già fosse, m'è tardi» (da confrontarsi con ib.,XXVI, 10 «E se già fosse, non saria per tempo»), parafrasato nel commento scelto a campione, «se già stessi ubbidendo al tuo comando, mi sembrerebbe di aver tardato».
Oggi convivono serenamente i due moduli ipotetici "se fosse venuto, mi avrebbe reso felice", e "se non veniva mi faceva un piacere"; ma proprio questa convivenza genera, più frequentemente che in passato, incroci asimmetrici: "se non veniva, mi avrebbe fatto piacere" (illustrato per esempio da J. Schmitt Jensen, Subjonctif et hypotaxe en italien, 1970), e "se fosse venuto, mi faceva un piacere", con sfumature tematiche affidate all'ordine sintattico ("mi faceva piacere, se non veniva"; oppure, si licet), «E con un urlo rispondeva Anticlo, / [...] se a lui la bocca non empìa col pugno / Odisseo»), e all'intonazione.
Nella sagra delle ipotetiche (gli arbitri le definirebbero irrealizzabili), che accompagnano le immagini calcistiche della moviola televisiva prevale il modulo «se non l'avesse falciato, era goal» rispetto a «se non lo falciava, sarebbe stato goal», ferma restando la preminenza di «se non lo falcia, era goal» e la presenza di «se non lo falciava, era goal» e di «se non lo falciava, è goal».
Ho l'impressione, stando all'uso contemporaneo, che il condizionale resista nell'apodosi, solo quando la protasi è assente. «Verresti a cena?», sottindende, come «Verrei volentieri a cena», una lista di «se...»; e così, non ostante la minore evidenza, anche i vari «(non) direi, non) saprei», legandosi, in questa seconda serie, l'ipotesi sottintesa all'enunciazione e non all'enunciato. La vitalità di questo condizionale nuclearmente ipotetico, giustifica la prevaricazione dell'indicativo, forte, anche al presente, di quel suo aspetto di 'incompiuto', in quanto inizio di un'azione o di un modo di essere.»
22 novembre 2002
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