Plagio: origine e significati antichi e moderni

In occasione di una trasmissione televisiva è stata preparata questa scheda sull'origine e i significati del termine plagio. La riproponiamo ai lettori del nostro sito.

Risposta

Plagio: origine e significati antichi e moderni

Il sostantivo plagio deriva dal latino plagium, a sua volta dal greco plágion che aveva il significato di 'sotterfugio'. In realtà però l'etimologia poco ci aiuta a ricostruire la storia di questa parola nei significati attuali. Per questo dobbiamo risalire all'uso di scrittori e giuristi latini per i quali plagium significava 'furto di uomini' (che avveniva magari attraverso un sotterfugio, ma questo collegamento non è documentato). Le fonti latine ci aiutano a ricostruire la storia dello sdoppiamento di significato del termine plagium attraverso il suo derivato plagiarius: plagiarius era infatti 'colui che si impossessava di schiavi altrui o che tratteneva in schiavitù un uomo libero'. In un passo dello scrittore latino Marziale l'aggettivo plagiarius è riferito a un poetastro che andava in giro recitando versi di Marziale come se fossero suoi. L'intento di Marziale era quello di appellarlo in modo generico come 'ladro', ma questo uso metaforico "occasionale" ha avuto seguito perché all'inizio del '500 il Calepino, autore di uno dei primi vocabolari latini del Rinascimento, registrava i due significati di plagiarius, quello classico di 'colui che di nascosto rapisce gli schiavi altrui', ma anche quello ricavato da Marziale di 'una persona che ruba libri tenendoli in schiavitù come suoi'. Nell'uso parlato scompare tutta questa famiglia di parole fino alla seconda metà del Cinquecento quando qualche scrittore ha ricominciato a utilizzarlo nel senso figurato attribuito a Marziale.

L'italiano acquista il termine nel significato di 'furto di opere' attraverso il francese (in francese dal 1560 è attestato plagiaire e dal 1667 plagiat, come segnalato da Andrea Dardi nel suo studio Dalla provincia all'Europa. L'influsso del francese sull'italiano tra il 1650 e il 1715, Firenze, Le Lettere, 1992, p. 551) e la sua prima attestazione registrata dai dizionari storici è della metà del '600, anche se Bruno Migliorini ipotizza che possa essere stato usato, già nella forma italiana, nelle polemiche letterarie di fine '500 (cfr. B. Migliorini, in «Lingua Nostra», V [1943], pp. 85-86).
In italiano poi si è risaliti alla forma originaria plagio: i giuristi hanno recuperato il suo significato originario di 'furto di uomini' ma è nell'altro significato di 'furto di opere', un significato "casuale, occasionale", che il termine è diventato comune, tanto che i dizionari contemporanei lo registrano come prima accezione. Mentre per il primo caso, quello relativo al reato "penale" il termine è attestato nei testi giuridici e lo si trova definito già nella Pratica criminale di Domenico Moro (Napoli, Pauria, 1749, t. III, p. 342: «il delitto di Pagio [...] egli è il vendere dolosamente l'uomo libero, o dolosamente comprarlo, come se fosse schiavo, o in altra maniera alienarlo, cioè collocarlo in dote, o donarlo, o permutarlo dolosamente, come fosse schiavo»), nel caso dell'accezione "civile" il termine non ricorre nei testi di legge.

In tutti e due i casi siamo di fronte a un nome che rimanda a un reato e quindi diamo uno sguardo alla normativa a riguardo:
1) il reato di plagio inteso come 'sottomissione di una persona al proprio volere, in modo da ridurla in totale stato di soggezione' era previsto nel codice penale (art. 613) fino al 1981, quando la Corte Costituzionale lo ha dichiarato incostituzionale. Da quel momento ci sono stati vari disegni di legge per reintrodurre il reato di plagio psicologico fino a un'ultima proposta nel 2005 di un art. 613bis sulla Manipolazione mentale, ma l'iter di legge è rimasto bloccato. Il reato, ancora previsto nella normativa vigente, che ha caratteristiche più simili al plagio "penale" è quello di Circonvenzione d'incapace.
2) Il plagio come violazione dei diritti d'autore era già presente, in una forma molto semplificata, nel Codice Albertino (1838) che regolamentava il diritto d'autore; nel 1925 si pervenne all'emanazione di una legge, che accanto ai diritti patrimoniali riconosceva all'autore anche i diritti all'inedito, all'integrità e alla paternità dell'opera (nel 1882 era nata la SIAE, Società Italiana Autori ed Editori, a tutela dei diritti d'autore). Attualmente il plagio è regolamentato dal Codice Civile (Libro V sul lavoro, Titolo IX dedicato ai diritti sulle opere dell'ingegno e alle invenzioni industriali, artt. 2575-2583). Nel diritto d'autore (art. 171 l. 22/04/1941 n. 633) il plagio, che come termine non ricorre mai nei testi di legge, è l'appropriazione, tramite copia totale o parziale, della paternità di un'opera dell'ingegno altrui nel campo della letteratura, dell'arte, della scienza, o comunque coperta dal diritto d'autore, che si voglia far passare per propria (sono previste sanzioni civili e penali). È importante mettere l'accento su quest'ultima cosa: il plagio è una violazione dei diritti dell'autore garantiti dalla legge, e consiste nell'utilizzazione e riproduzione di un'opera altrui, con attribuzione a sé stessi della paternità della stessa. È necessario fare una distinzione tra plagio e contraffazione: mentre il plagio indica l'azione di chi si appropria di un'opera altrui usurpandone la paternità, la contraffazione consiste nello sfruttamento economico dell'opera che avviene senza il consenso e l'autorizzazione dell'autore. Può sussistere plagio senza contraffazione, o contraffazione senza plagio. Se una qualsiasi opera viene riprodotta per uso privato, non si tratta di plagio, né di contraffazione.

 

A cura di Raffaella Setti
Redazione Consulenza Linguistica
Accademia della Crusca

 

22 dicembre 2009


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