Alcuni lettori hanno chiesto se è lecito un uso medio-riflessivo del verbo anticipare, del tipo: “mi anticipo un lavoro”, “mi anticipo e così esco prima” ecc.
Possiamo anticiparci?
La forma pronominale anticiparsi, con diatesi per così dire media, non figura nel lemmario di alcun dizionario italiano e viene segnalata come errore dal motore di ricerca online Google.
In realtà anticipare, dal punto di vista sintattico, è un verbo con tutte le carte in regola per disporre di una forma pronominale allo stesso modo di affrettare, ma mentre per quest’ultimo esiste ed è comune la forma affrettarsi (a fare qualcosa), anticiparsi è raro e si nutrono dubbi sulla sua correttezza. Come mai?
Attestazioni di anticiparsi medio-riflessivo, di cui si potrebbe cogliere un primo testimone nel deponente mediolatino “anticipati fuerint” registrato dall’Arnaldi nel suo Latinitatis Medii Aevi lexicon, si trovano già in diversi testi del Settecento e dell’Ottocento. Per alcuni di essi non si può escludere un influsso del francese s’avancer dans/avec, visto che si tratta di traduzioni da questa lingua o del saggio di un celebre autore piemontese per il quale è ovviamente possibile supporre una contaminazione transalpina:
La religione non intende che ci anticipiamo la morte col pretesto di espiare le proprie colpe (Prediche di Monsignor Massillon Vescovo di Clermont, Prediche quaresimali, 1795);
Mi anticipo a dir così, perché si potrebbe credere (I due processi di madama Laffarge. Relazione esatta e completa tradotta dal francese, 1840);
Le bestie stanche annusano le frasche, per anticiparsi il dolce odore del fieno» (Ultimi strepiti, Giuseppe Giacosa, "La Gazzetta Piemontese", 1887).
La forma si trova anche in pochi altri testi della stessa epoca:
Noi ci anticipiamo, o Signori, l’immagine di tempi sì calamitosi (Tobia, ragionamenti di Giuseppe Luigi Pellegrini della Compagnia di Gesù, Volume 1, 1816);
Mi anticipo a scrivervi due righe(da una lettera del 30 settembre 1759 contenuta in Storie da un matrimonio nella società bene nella Lucca del XVIII secolo, in Le dimore di Lucca: l’arte di abitare i palazzi di una capitale dal Medioevo allo Stato Unitario, Alinea Editrice, 2007).
Dopo un periodo di eclissi (stando almeno alle fonti consultate), la forma torna all’interno di articoli recenti di “Repubblica”: la troviamo in discorsi diretti che riportano le parole dette rispettivamente da uno studente: “Resto in classe e mi anticipo i compiti del giorno dopo” (Bari, Lo studente «Ho detto no per coerenza», 20.9.2015), e da una casalinga: “Mi anticipo, altrimenti non riesco a incastrare tutto” (Firenze, Storia di una donna come tante, ogni giorno alle prese con una vita non facile, 8.3.2002), e anche al di fuori del discorso riportato: “Cominciare ad anticiparsi un po’ il lavoro farebbe comodo a tutti” (“la Repubblica”, 16.11.2003, edizione di Napoli).
Sulle pagine dello stesso quotidiano, nella rubrica Lettere al direttore Vittorio Zucconi, un lettore scrive: “Ho 37 anni e mi anticipo col lavoro” (10 maggio 2007), mentre sulla “Gazzetta del Mezzogiorno”si trova: “Qualche ragazzo sta incominciando a studiare per conto proprio per anticiparsi il lavoro” (18.10.2004).
Se ne notano tracce anche in alcuni romanzi contemporanei, a partire da La miglior vita del giuliano Fulvio Tomizza (ed. Rizzoli, 1977), nel quale si legge: “Un tale si spinse ad anticiparsi la morte, un suo compagno perdette il controllo dei nervi al primo sparo”(ma qui anticiparsi la morte sembra equivalere ad ‘anticipare la propria morte’, come lavarsi le mani significa ‘lavare le proprie mani’), ad altri più recenti, tutti di scrittori meridionali:
Dopo due settimane ci incontrammo di nuovo vicino alla stazione, mi anticipai, ne approfittai per andare a fare una passeggiata (Carmine Acheo, Profondamente - Paesaggi interiori, Ed. Youcanprint, 2015);
Quando arriva l’esito ti faccio uno squillo e te lo vieni a prendere, così inizi a scendere dall’ufficio immigrazione e ti anticipi sulle pratiche (Fabrizio Sparta, Isola dei conigli, Edizioni EVE, 2016).
La forma si trova anche (“La Mattina dopo mi anticipai con i lavori di casa”), in un romanzo di Mia Couto, La confessione della leonessa, Ed. Sellerio, 2014. Qui non è in questione la regione di provenienza dell’autore ma, probabilmente, la lingua di partenza (portoghese) dell’opera. Infatti il traduttore Vincenzo Barca, consultato, ci ha segnalato che l’uso riflessivo di anticipar è ampiamente attestato in portoghese.
Fin qui anticiparsi, costruito con o senza complemento nominale o frasale, vale ‘fare prima, fare in anticipo qualcosa’.
Anche nell’accezione di ‘arrivare/venire prima’, il termine si trova con una certa frequenza tra le pagine napoletane di “Repubblica”. Qualche esempio: “Chi vuole può anticiparsi alle ore 20 e godersi il dj-set di Marco Corvino" (6.7.2008); “Chi vuole anticiparsi per non perdere l’intero spettacolo può iniziare dalla cena” (29.12.2006).
Si incontra anche nel romanzo di autore e ambiente napoletano Come foglie al vento, di Francesco Massaro ( Ed. Albatros, 2016): “Temendo perciò di non trovar chi di dovere, mi anticipai più del dovuto”.
Proviamo a tirare qualche conclusione. L’uso pronominale di anticipare non è una novità, soprattutto nel senso proprio del suo etimo: ante + capere ‘prendere prima’. Per questo è da tempo normale anticiparsi nel senso di ‘prendersi un anticipo’, quando cioè il complemento concerne il campo semantico del denaro, somme, prestiti, premi ecc., come in: “I partiti hanno perciò deciso di anticiparsi il versamento di 110 miliardi” (“La Gazzetta del Mezzogiorno”, 28.1.2000).
Oggi la forma pronominale riemerge da sporadiche attestazioni nei valori di ‘fare prima (in) qualcosa’ (con complemento diretto o indiretto) e ‘affrettarsi’ (senza complemento) e lo fa soprattutto in testi e autori meridionali.
Luca Serianni (Grammatica italiana, UTET, 1989) ricorda che la sottolineatura tramite il pronome personale della partecipazione del soggetto all’azione è molto estesa nell’italiano regionale del Centro e del Mezzogiorno (“ci sentiamo la messa”). Oggi questa forma pare estendersi a un verbo che sinora, in quei dati significati, o non l’aveva o l’ha avuta in passato molto raramente.
È corretta? Dal punto di vista grammaticale non ci sono controindicazioni, come non ce ne sono per affrettarsi, la cui presenza potrebbe aver “contagiato” anticipare col virus pronominale.
Ma perché anticiparsi non si è affermato con questi significati e si tende ad avvertire come scorretto il suo impiego? È probabile che si tratti del criterio di selezione semantica con cui i verbi optano per una o l’altra forma e costrutto. Quello che ha autorizzato affrettarsi non ha fatto lo stesso con anticiparsi. Facciamo un’equazione: se ad “affrettare la partenza” corrisponde “affrettarsi a partire” perché al normale “anticipare la partenza” non corrisponde (per ora) “anticiparsi a partire”? Qui forse è ancora gioco la semantica originaria: affrettare significa fare ‘fretta a qualcuno’ o ‘fare in fretta qualcosa’ e quindi si può fare fretta anche a sé stessi. Anticipare voleva dire, come abbiamo visto, ‘prendere prima’; poi ha assunto anche il significato di ‘fare qualcosa prima (di qualcuno)’, da cui “anticipare qualcosa” e “anticipare qualcuno in qualcosa”, ampiamente attestati. Ma non è possibile fare prima di sé stessi. Questo è il motivo per cui è ancora più raro trovare anticiparsi senza complemento col valore di ‘arrivare prima’; è davvero difficile arrivare prima di sé stessi! Ecco forse perché la lingua è stata sinora riluttante ad affidare ad anticiparsi anche questi significati, oltre a quello tradizionale del ‘prendersi un prestito’. Ma è solo questione di tempo, probabilmente.
Per il momento, comunque, il tratto regionale di questi valori pronominali del verbo sembra ancora piuttosto evidente e usare anticiparsi/anticiparsi (in, con) qualcosa, pur non scorretto, ascrive la forma a un dominio attualmente non standard, cui non è consigliabile indulgere.
Valeria Leoncini
Piazza delle lingue: La variazione linguistica
7 novembre 2017
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