Possiamo assumere un'ipotesi?

Una lettrice ci chiede se sia corretto usare il verbo assumere con il significato di ‘immaginare, supporre, presumere’.

Risposta

L’accezione che ha richiamato l’attenzione della nostra corrispondente trova alcuni riscontri nei nostri più ampi dizionari, il Grande dizionario della lingua italiana fondato da Salvatore Battaglia (GDLI) e il Grande dizionario dell’italiano dell’uso di Tullio De Mauro (GRADIT). Quest’ultimo segnala l’accezione di ‘ammettere come ipotesi, spec. in un ragionamento filosofico’, mentre il primo, similmente, ‘ammettere in forza di ipotesi; prendere come fondamento di una dimostrazione, di un ragionamento; dedurre, ricavare (da un ragionamento, da una prova)’, riportando come esempio un passo secentesco tratto da un componimento del lirico marinista Tommaso Gaudiosi: “Ha ’l mio giudizio assunto / che move e regge ogni accidente umano / fugace instante, indivisibil punto”. Prima del Grande dizionario di Battaglia l’accezione è presente anche in un altro fondamentale vocabolario storico, il Dizionario della lingua italiana di Tommaseo e Bellini (Tommaseo-Bellini): «(assoluto) Del porre l'assunto e del riassumere le ragioni: “Cratippo assume così”, Cic. V. Assunto, sost. e Assunzione. Altri usi filos. (Rosm[ini]): “Sorite dicesi quell'argomentazione in cui si assumono, in luogo di uno, più termini medii ad esso equipollenti, il primo dei quali s'identifichi col soggetto, e l'ultimo col predicato della tesi che si vuol dimostrare”. (Rosm[ini]): “Proposizione media dicesi quella che si assume tra due qual mezzo per conoscere come l'una sia contenuta nell'altra”».

La definizione data dal Tommaseo-Bellini suggerisce un collegamento stretto tra il verbo e il sostantivo. L’accezione che qui stiamo esaminando sembrerebbe infatti comparire, prima ancora che nelle diverse voci del verbo, nell’uso sostantivato del participio passato assunto, a indicare appunto ‘ciò che ci s’impegna a fare, a dimostrare; proposito, tesi, argomento’, come segnala ancora il GDLI riportando s.v. assunto un esempio cinquecentesco estratto da una lettera di Niccolò Machiavelli: “Lo assunto della sua prima predica in San Marco furon queste parole dello Esodo”; accezione che il dizionario registra peraltro accanto ad un’altra simile, più antica, in filosofia (‘seconda proposizione del sillogismo’). Arretrando ancora nel tempo, non mancano infatti corrispondenze anche in alcuni testi religiosi dei primi secoli, dove la parola ricorre con il significato, prossimo al nostro, di ‘oggetto di indagine o di narrazione; considerato, preso in esame’ (ad es. nella siciliana Sposizione del Vangelo della Passione secondo Matteo: “Dichimu addunca ki la cerva matutina assumpta sì esti la humanitati di Cristu munda” e nelle Esposizioni di Boccaccio: “E similemente nelle comedìe non s'usano comparazioni né recitazioni d'altre storie che di quelle che al tema assunto apartengono”: così indica il repertorio del Tesoro della lingua italiana delle Origini TLIO).

L’accezione di assumere potrebbe insomma essersi diramata sempre più nel corso del tempo dalla forma participiale sostantivale al resto delle voci verbali, valicando un confine peraltro particolarmente labile. Si spiegherebbe così anche la diffusione progressiva dell’accezione, che si sarebbe via via estesa anche a differenti ambiti, da quello logico-retorico originario (assunto inteso come premessa minore del sillogismo) a quello della riflessione filosofica e religiosa, e poi, più in generale, del ragionamento scientifico.

A questo proposito, considerato quanto il latino sia stato decisivo nella comunicazione intellettuale e scientifica italiana e non solo ben oltre l’età moderna, non si può affatto escludere che possa aver avuto un ruolo importante anche a proposito della nostra espressione. Se proviamo a spostarci cronologicamente in uno dei momenti di maggiore sovrapposizione e passaggio tra latino e italiano nelle scienze, il Seicento, notiamo ad esempio che l’astronomo francese Pierre Gassendi scrivendo il 1° novembre 1632 una lettera in latino inviata da Lione al suo corrispondente Galileo Galilei a Firenze ricorre al verbo assumere nella nostra accezione: “ut assumpta motuum telluris hypothesis ad declarandum maris aestum [...]”. Ecco dunque l’espressione “assumere l’ipotesi”, a indicare un evento che si ammette come vero, consentendo la prosecuzione del ragionamento. Anche Galileo usa il termine latino con questo significato, sia come sostantivo (“aut in assumptis, aut in demonstrationibus” scrive ancora in una lettera a Giangiorgio Bregger l’8 novembre 1610), sia come verbo (“tanquam notum assumpsit Aristoteles, eandem habere proportionem motus velocitatem ad alterius motus, quam habet subtilitas medii ad alterius medii subtilitatem”, De motu). E anche se qualche suo corrispondente usa l’espressione italiana equivalente (“[...] nel sistema Copernicano non parer che si possa dire che ’l mese periodico sia eguale, posto che nel sistema Tolemaico si assuma per eguale” scrive Bonventura Cavalieri a Galileo il 18 novembre 1631), è raro, se non impossibile, trovare la stessa espressione assumere (l’ipotesi) negli scritti di Galileo, nonostante gli siano ben noti i termini assunto e ipotesi, per lui pressoché indistinguibili: “Da questa ipotesi, o vogliamo dire assunto, ne seguiterebbe che [...]” (lettera a Alfonso Antonini, Arcetri, 20 febbraio 1638). Siamo in una fase in cui il lessico e la terminologia non si erano ancora evidentemente stabilizzati. La strada, però, si direbbe ormai tracciata. A fine Settecento, descrivendo le teorie idrauliche del fisico Gioseffo [Giuseppe] Mari, il commentatore osserva che “A concordare le une [teorie idrauliche] colle altre [esperienze] [...] ei non assume niuna ipotesi, ma solo un principio tratto dalla sperienza, e da un fatto innegabile” (Opuscoli scelti sulle scienze e sulle arti, Milano, 1784).

Oggi l’uso di assumere con l’accezione segnalata è divenuto del tutto abituale, specie nella scrittura scientifica e specialistica (“Poiché in prima approssimazione la resistenza è una proprietà fisica della lampadina, che assumiamo costante [...]”). Alla definitiva affermazione del verbo in questa particolare accezione anche nell’italiano più comune – accezione che per la sua storia, così come è stata ricostruita qui, non possiamo dunque ritenere scorretta − ha dato infine un contributo decisivo, in tempi molto vicini a noi, l’inglese. Basti a testimoniarlo un passo tratto da un recente bestseller di divulgazione scientifica affiancato dalla sua traduzione italiana:

let us see what happens if we assume that the statement is false [...], but we initially assumed that he made a false statement [...]. Whether we assume that the statement is true or false we end up with an inconsistency. (da Fermat's Enigma, di Simon Singh);

vediamo cosa succede se assumiamo che l’affermazione sia falsa [...], ma noi abbiamo assunto inizialmente che egli abbia fatto un’affermazione falsa [...]. Sia che assumiamo la verità o la falsità dell’affermazione finiamo per incontrare una contraddizione. (L'ultimo teorema di Fermat, Rizzoli, 2012)



Stefano Telve

9 dicembre 2022


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