Alessandro Girardi di Roma chiede se sia corretta la locuzione presa in carico o se si debba piuttosto usare presa a carico.
Presa in carico
Stando alle fonti giornalistiche e a quelle nel web, la forma presa in carico risulta nettamente più frequente rispetto alla variante presa a carico. Da uno spoglio on line di due fra i maggiori quotidiani nazionali - "la Repubblica" e "il Corriere della Sera" - emerge che, dopo una prima attestazione di presa a carico (forse per attrazione della locuzione d'uso comune a carico), rispettivamente nel 1984 e nel 1994, l'espressione è venuta stabilizzandosi come presa in carico (con ricorso alla preposizione in). In particolare, nel "Corriere" si contano 160 occorrenze di presa in carico (dal 2003 al 2009), a fronte di sole quattro occorrenze per presa a carico. Dati simili si riscontrano nel web, dove presa in carico è decisamente prevalente.
La locuzione presa in carico appare dunque ben acclimata.
Inoltre il VOLIT e il GRADIT registrano prendere in carico nel senso di "ricevere una determinata cosa, effettuarne la dovuta registrazione".
Presa in carico si inserisce nella serie di lessemi complessi (in questo caso, si tratta di una di quelle che i linguisti chiamano collocazioni) sul modello di presa in considerazione, presa in consegna, ecc. Qui (come nel verbo correlato prendere in carico) la preposizione in svolge una funzione predicativa, che ritroviamo in analoghi costrutti quali prendere in dono, in moglie, ecc. Con presa in carico si indica l'assunzione di responsabilità rispetto al buon fine di un fatto (nuovo) richiesto. Si tratta di un'espressione tecnica, propria del linguaggio d'ufficio, in cui il "carico" può essere rappresentato da una pratica, un progetto, o anche da una persona (riguardo al suo inserimento); in campo economico, la presa in carico può riferirsi a manovre complesse, come il passaggio di gestione di un ente nelle mani di un altro. Negli ultimi anni la locuzione presa in carico è entrata stabilmente nel linguaggio medico e nell'ambito dei servizi sociali, in cui l'espressione presa in carico (di un paziente o di un utente) designa (con riferimento a un paziente o a un utente) l'iter di azioni e interventi specifici pensati attorno al soggetto (come cura e assistenza).
Venendo nello specifico alla richiesta di chiarimento, la locuzione a carico ricorre, piuttosto, in costrutti quali avere/essere a carico (di), in cui la preposizione a (avendo, com'è noto, valore qualificativo) connota uno "stato".
Avere qualcuno a carico significa 'provvedere al suo mantenimento', quindi (estendendo il significato) assumere - anche qui - doveri e responsabilità. Mentre però per avere a carico tali oneri sono insiti in una condizione stabilita (più o meno permanente; quella, ad esempio, di genitore rispetto a un figlio), in prendere in carico essi scaturiscono da un atto di volontà (da un "assenso").
Rimanendo all'esempio appena fatto, la presa in carico (il taking the burden o taking on degli inglesi) richiama il gesto con cui, nel mondo romano, il pater familias riconosceva il neonato, sollevandolo fisicamente da terra: con questo il padre attivava la sua responsabilità ("peso, onere") di genitore (si pensi anche al verbo latino ad-sūmere 'prendere su di sé'); quello che nel diritto familiare - appunto - è diventato uno status rispetto al quale, allora, l'eccezione presa in carico diventa "azione volontaria".
A cura di Chiara Mussomeli
Redazione Consulenza Linguistica
Accademia della Crusca
22 gennaio 2010
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