Molte persone, della più varia provenienza geografica (da Gamalero a Udine, da Padova a Ragusa, passando per Perugia, Firenze, Ancona), si sono rivolte alla redazione per segnalare l'uso sempre più frequente e indiscriminato della parola problematica come sostituto di problema. La percezione di chi scrive è che si tratti di un "abuso", di un uso "scorretto", "arbitrario"; il "nuovo lemma" viene giudicato "inutile e bruttino": "disturba" e "sa molto di politichese". Ci viene chiesto di esprimere un parere in proposito e di illustrare se le due parole problema e problematica siano effettivamente sinonimi, quale sia il significato proprio di problematica, se questa parola possa essere usata e in che senso.
Problematica: usi e abusi
I dizionari attestano che la parola problema fa parte dello strato più antico della nostra lingua (le prime attestazioni risalgono al 1342). Proviene dal latino (problēma, -ătis), che a sua volta l'ha mutuata dal greco (próblēma, -atos). Il GRADIT ne segnala l'appartenenza al "vocabolario fondamentale": si tratta cioè di una delle duemila parole di più alta frequenza, che tutti i parlanti conoscono, capiscono e usano (si tenga presente che le parole del vocabolario fondamentale, insieme ai 2700 vocaboli di "alto uso" e ai 2300 di "alta disponibilità" costituiscono il vocabolario di base dell'italiano, ovvero la porzione di lessico che è a disposizione di tutti - o quasi tutti - i parlanti). Stando al GRADIT un problema - nell'accezione comune e non in quella tecnica di 'quesito matematico' - è: 1) un "quesito di una certa importanza e difficoltà" ovvero una "questione controversa che può dare adito a soluzioni diverse: problema filosofico, etimologico, problema morale", o anche 2) un "caso difficile da affrontare e risolvere: i problemi dei giovani, problemi razziali, sociali" e anche, con lieve sfumatura di senso, una "situazione complessa, complicata, che presenta inconvenienti, difficoltà: viaggiare con i treni è diventato un problema".
L'aggettivo problematico - da cui deriva poi il sostantivo problematica - entra più tardi nel nostro lessico (ZINGARELLI: 1595, GRADIT: 1652, Sabatini-Coletti: XVII sec.), dal latino tardo problematĭcu(m), a sua volta derivato dal greco problēmatikós. L'aggettivo è registrato nel GRADIT come voce del vocabolario comune (quel nucleo di circa 40 mila parole che - oltre alle settemila del vocabolario di base - sono generalmente note a chiunque abbia un livello medio-superiore di istruzione). Problematico significa di volta in volta: 1) "che costituisce un problema, un caso difficile da risolvere: situazione, impresa problematica" e, estensivamente, "poco probabile, incerto: accordo problematico, la riuscita è problematica"; 2) "che esprime contenuti in maniera non definitiva e non schematica: ragionamento, discorso, articolo problematico, questione problematica"; 3) "che pone problemi sempre nuovi, che individua gli aspetti più complessi di un argomento: artista, scrittore, filosofo problematico".
Problematica, infine, è parola ben più recente (1950), appartenente al vocabolario comune come l'aggettivo problematico da cui deriva. Il GRADIT ne definisce il significato come "l'insieme dei problemi relativi a una determinata questione: problematica sindacale, le problematiche della società contemporanea" e, nella stessa accezione ma con diversa sfumatura, "la particolare impostazione dei problemi che è propria di una disciplina, di un movimento, di un pensatore, ecc.: la problematica filosofica, kantiana, strutturalista".
A prescindere dai percorsi di derivazione e dalla loro stratificazione cronologica, le parole problema, problematico e problematica sono legate fra loro da stretti rapporti associativi: i loro significati sono cioè correlati, ma pur sempre distinti. Inoltre, la serie problema - problematico - problematica si caratterizza per un aumento progressivo del grado di astrattezza delle parole: da problema a problematico il significato diventa 'che pone problemi' o 'che ha le qualità del problema'; da problematico a problematica si arriva a 'l'insieme di ciò che è problematico'.
Problema e problematica non sono dunque sinonimi: problematica ha un suo nucleo semantico individuato, non sovrapponibile a quello di problema.
Si vedano i due esempi seguenti tratti dalle pagine della versione on line del quotidiano "la Repubblica" [corsivi nostri]:
· le varie "cime" (raramente tranquille, più spesso tempestose) della modernità sono scalate dal nostro Autore con straordinaria agilità e incredibile capacità comunicativa (che però non diviene mai volgarizzazione pura e semplice). Però, al tempo stesso, si è fatta sempre più vasta e comprensiva la problematica dell'"io"». (Alberto Asor Rosa, Eugenio Scalfari Viaggio nella modernità, 7 maggio 2010)
· dice Ratzinger -, la Chiesa è disposta a collaborare con chi non marginalizza o non riduce al privato la considerazione essenziale del senso umano della vita. Non si tratta di un confronto etico fra un sistema laico e un sistema religioso, bensì di una questione di senso alla quale si affida la propria libertà. Ciò che distingue è il valore attribuito alla problematica del senso e la sua implicazione nella vita pubblica. (Il Papa: "Pedofilia, il perdono non si sostituisce alla giustizia", 12 maggio 2010)
Vero è che in altri casi lo spazio semantico di problema e quello di problematica sono in parziale sovrapposizione: la problematica giovanile o le problematiche giovanili - intese come 'insieme o insiemi di problemi che riguardano i giovani' - sono varianti adeguate de i problemi dei giovani, laddove il contesto o il tipo di testo/discorso giustificano la scelta dell'astratto per il concreto e del nome collettivo al posto della forma plurale i problemi.
Scorrendo le attestazioni di problematica negli archivi di giornali e quotidiani on line, si nota però che il fenomeno denunciato, di sovraestensione dell'uso di problematica in contesti nei quali problema sarebbe la parola più adatta, è frequente e ben rappresentato.
Nei contesti individuati, la parola problematica occorre spesso in brani di discorso riportato in cui il parlante appartiene al mondo della politica, del sindacato, o è un avvocato o un magistrato. Alcuni esempi:
· Porto Cesareo è pronta al ripascimento "indolore" della costa sabbiosa, [...], e il Sib (Sindacato Italiano Balneari Confcommercio Lecce) esprime la sua soddisfazione. "[...] Si tratta di attività strutturali sviluppate a mare e lungo l'arenile che finalmente saranno utili alla soluzione dell'annosa problematica ed alle quali occorrerà, questo deve essere chiaro, dare necessariamente seguito". (Porto Cesareo, parte il ripascimento Soddisfatto il sindacato dei balneari, "Corriere della Sera", 15 luglio 2010)
· Il senatore Domenico Benedetti Valentini, componente Pdl della commissione Giustizia ha ritirato il suo emendamento sulla legge intercettazioni, "[...] Mi rallegro di aver trovato nel Governo una positiva attenzione per una problematica molto delicata che ho portato avanti [...]". (Quarantamila "no" alla legge. "Cancellato strumento di libertà", "la Repubblica", 12 maggio 2010)
· Secondo il capo di imputazione, Biagi operava "avvantaggiando il gruppo Ligresti che di fatto si poteva valere della collaborazione dell'assessore" per "la risoluzione sia in via formale che informale, di ogni problematica" su Castello. (Marco Bazzichi, Castello, chiusa l'inchiesta. Tra gli indagati, Ligresti e Cioni, "Corriere della Sera", 8 luglio 2010)
Ma la parola ricorre spesso anche in articoli di argomento sportivo in bocca a calciatori, allenatori, dirigenti di squadre:
· "Non c'è nessun caso, nessuna problematica legata alla vicenda di Lucarelli" - commenta il team manager del Parma Sandro Melli. (Luca Solvetti,Lucarelli e il tormentone viola, "L'Espresso", 14 luglio 2009)
· Il direttore generale della Pro Vercelli, Claudio Mossio, si è attivato per cercare di risolvere in tempi brevissimi la problematica delle liberatorie. (Calcio in bilico. Paganoni: «Tra lunedì e martedì pagherò gli stipendi in modo che la squadra sia iscrivibile», "La Stampa", 20 giugno 2010)
Non mancano inoltre le attestazioni legate all'uso di persone comuni (che non si qualificano cioè nei testi per il loro ruolo sociale) e alcune occorrenze nella prosa giornalistica:
· Il 14 ottobre 2008 il signor Zannini, dopo aver sottoscritto il contratto, ha installato la internet key. "Per un mesetto sono riuscito a connettermi a internet e a navigare, poi, dopo un temporale, non ha più funzionato correttamente - aggiunge - così ho iniziato a chiamare il 190 segnalando la problematica e chiedendo aiuto per la soluzione". Dopo una serie di richieste e solleciti, sia via fax, sia via raccomandate, sia via call center, Zannini ha pure chiamato un tecnico informatico, temendo che la problematica fosse collegata al proprio computer. (Salima Barzanti, Odissea per una chiavetta internet, "L'Espresso", 5 agosto 2009)
· Gentilissima presidente Gianna Gancia, mi rivolgo a lei, per sottoporre alla sua attenzione quanto accade sistematicamente in questi fine settimana e giorni di festa a chi, tornando dalla Val Roya, deve transitare per il tunnel del Colle di Tenda. [...] Ringraziando per l'attenzione che sono certa darà alla problematica la saluto cordialmente. Dott.ssa [...]" ("La Stampa", 9 giugno 2010)
In tutti questi casi, l'occorrenza di problematica si caratterizza non come scelta denotativa, in relazione al significato che si vuole veicolare, ma come scelta di registro: la parola problematica viene selezionata al posto di problema non perché sia più precisa o più adatta al contesto, ma perché, per chi la usa, assume una connotazione "alta", "formale", che consente una presa di distanza dall'italiano comune e sembra quindi garantire un innalzamento di livello rispetto alla lingua d'uso quotidiano.
La preferenza per le parole difficili e rare al posto di quelle di uso comune, per le parole lunghe al posto di equivalenti più brevi, delle parole astratte in sostituzione di quelle concrete, è tipica degli usi burocratici della lingua e, più in generale, dell'"antilingua" di cui parlava Calvino. L'antilingua - la langue de bois ('lingua di legno') secondo la denominazione dei francesi - si manifesta negli usi linguistici di molti politici, amministratori, sindacalisti, burocrati, che parlano sempre e comunque di problematiche, tematiche, tipologie, modalità e mai di problemi, temi, tipi e modi, che preferiscono posizionare e non porre, erogare e non fornire, recarsi e non andare. Come ammoniva Calvino "Chi parla l'antilingua ha sempre paura di mostrare familiarità e interesse per le cose di cui parla" e tende quindi automaticamente "a livellare l'espressione sulle formule più generiche, anonime, astratte, a diluire i significati, a smussare le punte espressive, a spegnere ogni scintilla che sprizzi dallo scontro delle parole con nuove circostanze". Spesso non si tratta di scelte linguistiche consapevoli, ma di usi stereotipati che rimbalzano e si irradiano potentemente anche attraverso i mass media. Certa prosa giornalistica, come pure la lingua dei radio- e telegiornali, dispensa una gran quantità di espressioni cristallizzate e formulari: il giornalista, per fretta o disattenzione, troppe volte non seleziona più la parola adatta, precisa, espressiva, ma cade nell'automatismo, nel già detto, già sentito, pronto all'uso. Sono i plastismi di cui parla Ornella Castellani Pollidori, parole ed espressioni non più pregnanti, trasformate dall'uso indiscriminato in "logori cliché".
L'antilingua calviniana - con i suoi plastismi - è, dunque, ancora un modello trainante per quanti pensano che innalzare il registro significhi adottare uno stile inutilmente complicato, astratto, artificioso.
Non si tratta ovviamente di bandire dal nostro vocabolario le parole rare, astratte, lunghe, complesse, colte o letterarie, ma dominare la complessità della lingua - e dunque la ricchezza di potenzialità espressive che essa offre - è cosa ben diversa dall'usare parole "complicate" per l'alone di prestigio e formalità che sembrano avere.
Il repertorio lessicale, l'inventario delle parole di una lingua, è un insieme assai vasto, aperto e stratificato: locutore esperto è quello che sa scegliere, fra molte e diverse opzioni linguistiche, le più adatte per esprimere, comunicare e far intendere i contenuti più vari, nei più svariati contesti.
Per approfondimenti:
· I. Calvino, "L'antilingua", Una pietra sopra. Discorsi di letteratura e società, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1995, pp. 149-154 [prima pubblicazione su "Il Giorno", 3 febbraio 1965]
· I. Calvino, Lezioni americane, Milano, Mondadori, 1993
· O. Castellani Pollidori, La lingua di plastica. Vezzi e malvezzi dell'italiano contemporaneo, Napoli, Morano Editore, 1995
· T. Raso, La scrittura burocratica. La lingua e l'organizzazione del testo, Roma, Carocci, 2005.
A cura di Maria Cristina Torchia
Redazione Consulenza Linguistica
Accademia della Crusca
26 luglio 2010
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