Alcuni lettori ci scrivono chiedendo notizie sull’origine e sullo status (dialettale o italiana?) della parola punessa comunemente usata in alcune aree dell’Italia meridionale per indicare la puntina da disegno.
Puntina o punessa? Una questione spinosa
In Campania la puntina da disegno è comunemente chiamata punéssa ma, fuori da quest’area, tranne per qualche sporadica eccezione, questa voce è totalmente sconosciuta.
I principali dizionari della lingua italiana, sia del passato sia attuali, non la registrano e bisogna ricorrere a repertori dialettali per scoprire qualcosa in più. Nei vocabolari di area campana consultati, punessa non compare prima del 1956, ma è difficile stabilire se sia effettivamente entrata a quell’altezza temporale considerando che l’invenzione della puntina così come la conosciamo oggi è precedente di oltre cinquant’anni. Le ipotesi per l’anno “di nascita”, infatti, oscillano tra il 1888 e il 1903, mentre per la terra d’origine si va dall’Austria, all’America alla Germania.
La puntina, denominata punessa, poteva dunque circolare ed essere utilizzata già prima del 1956, ma nessuna delle opere lessicografiche precedenti, fra quelle consultate, ne attesta la denominazione. Sembra che la sua prima registrazione si debba ad Antonio Altamura il quale, nel Dizionario dialettale napoletano (Napoli, 1956), riporta la voce come “sostantivo femminile col significato puntina da disegno” e nell’edizione del 1968 aggiunge il rinvio al francese punaise ‘cimice’ “perché, per conficcarla nel legno, la si schiaccia come una cimice”. In seguito, nel 1970, lo stesso Altamura la inserisce anche nel Lessico italiano-napoletano (Napoli, 1970), di cui è compilatore insieme a Francesco D’Ascoli. Proprio D'Ascoli poi, nel suo Dizionario etimologico napoletano (Napoli, 1979), ne approfondisce la questione dell’origine: “punessa è la ‘puntina corta e dalla testa assai larga’ la cui etimologia si fa risalire al francese punaise ‘cimice, puntina’ che a sua volta deriva “dal latino putinasius del verbo putire = «puzzare» col sostantivo naus = «naso» con riferimento al puzzo che emana la cimice; al significato di puntina si arriva considerando la forma schiacciata della puntina che appunto per questa sua forma somiglia a una cimice, oltre che nel particolare che la «puntina» si schiaccia come la cimice per conficcarla nel legno”.
La voce compare anche nel Vocabolario napoletano-italiano, italiano-napoletano (Napoli, 1979) di Antonio Salzano e, un decennio dopo, la accoglie anche il Dizionario etimologico napoletano di provincia: voci più in uso raccolte dal vivo parlare (Melito, 1989) di Antonio Santella,che fornisce definizione ed etimologia simili a quelle di Altamura e D’Ascoli. Quest’ultima attestazione rivela che punessa, oltre che a Napoli, è una voce diffusa anche nella provincia napoletana. La si ritrova poi a lemma nel Vocabolario aquarese-italiano, italiano-aquarese di Giovanni Giordano (Aquara, 2006); Aquara è un comune nella provincia di Salerno.
Punessa è adottato, oltre che in Campania, anche nel nord-barese: nel Dizionario Etimologico Comparato del Gergo di Cerignola (Cerignola, 2011) di Riccardo Sgaramella, viene riportata la voce puness col significato “chiodino, bulletta”. Alcuni parlanti di Canosa di Puglia intervistati in questa occasione hanno proposto la forma pùnes, mentre testimonianze contrastanti emergono per quanto riguarda il Salento. Tra i vocabolari consultati, gli unici a registrare punessa sono Il dialetto salentino come si parla a Scorrano di Giuseppe Presicce (consultabile in rete all’indirizzo http://www.dialettosalentino.it/ e aggiornato in tempi diversi dallo stesso autore), che la definisce “puntina da disegno, punes”, e il Vocabolario del dialetto di Galàtone (Lecce, 2014). Sono entrambe località della provincia di Lecce ma in altri dizionari dell’area la voce è assente.
Il confine settentrionale di punessa sembra essere rappresentato dalla Ciociaria, che, come testimonia un parlante dell'area, ha ponessa. Nel resto d’Italia la parola è del tutto sconosciuta e al suo posto si trova solo il sintagma puntina da disegno. L’unica eccezione a questa uniformità, oltre a punessa, sembra essere rappresentata da cimice. La diffusione di questa voce con questo significato pare limitata a Roma, come segnala il Vocabolario Treccani online, e alla Toscana centrale. C’è da precisare che in Toscana cimice in questa accezione si sta ormai perdendo: tra i parlanti, infatti, solo gli adulti raccontano che da bambini o da ragazzi in cartoleria compravano le cimici, mentre i giovani dichiarano di non utilizzare la parola e alcuni di non conoscerla affatto. Il passaggio semantico alla base di cimice è identico a quello che ha generato punessa: infatti il termine francese punaise risulta avere come significato primario esattamente ‘cimice’. Da ciò si può ragionevolmente dedurre che in Toscana e nel Lazio sia stato effettuato un calco semantico proprio sulla base del francese.
Consultando il Trésor de la Langue Française (TLFi), inoltre, si apprende che tra i significati di punaise quello di ‘piccolo chiodo dalla testa piatta e rotonda utilizzato per fissare disegni, progetti, foto e altro’ è esemplificato in un testo del 1908, di poco posteriore alla presunta invenzione della puntina: “Un morceau de papier blanc immaculé, qu'il avait fixé avec des punaises de cuivre sur la planche à dessin” (G. Leroux, Parfum, p. 148). L’attribuzione del nome punaise a questi particolari chiodini si ha per estensione analogica: la testa larga e piatta, infatti, ricorderebbe proprio la forma del corpo delle cimici. Tutto sembra cronologicamente plausibile se non fosse per la presenza di un testo, il Vocabolario per gli inventari e le stime del Genio militare (Torino, 1853), che ribalta le carte in tavola. Qui punaise è registrata con il significato di “Bulletta da disegni”, e per Bulletta da disegni è riportata perfino una descrizione: “Piccolo chiodo con cappello d’ottone stiacciato, e la cui asta è di ferro, corta ed appuntatissima. Questo genere di chiodi usasi ad inchiodare la carta sulla tavola per tenervela tesa onde poter disegnare, o per altro”. Dal momento che nel 1853 la diffusione in Piemonte era di fatto già avvenuta, possiamo anticipare di oltre un cinquantennio rispetto alla prima attestazione fornita dal TLFi la circolazione in Francia della parola punaise nell’accezione di puntina.
Il Vocabolario del Genio militare potrebbe a questo punto rivelarsi assai utile anche per congetturare ipotesi riguardo alla diffusione del francesismo nel nostro paese: la connessione tra le tre varianti punes, punessa e cimice è chiaramente legata al termine francese e il Vocabolario appena citato sarebbe un testimone piuttosto antico della sua introduzione. Grazie ad esso si potrebbe supporre che la punaise abbia avuto in Italia come prima tappa il Piemonte e come ambito di diffusione quello tecnico-militare. Successivamente è possibile che la parola sia passata al resto della penisola attraverso l’esercito, arrivando forse a Napoli prima che altrove; qui avrebbe poi subito l’adattamento a punessa. Solo in seguito, probabilmente non prima del 1870, sarebbe approdata a Roma e forse, in epoca postunitaria, il suo utilizzo si sarebbe esteso anche all’ambiente burocratico e scolastico. La variante cimice (derivante dal calco) potrebbe essersi formata in questo contesto e aver avuto una progressiva estensione anche alla Toscana. Verso sud si sarebbero, invece, mantenute le forme "francesizzanti": punéssa a Napoli, con la vocale tonica chiusa, e punes nei centri pugliesi in cui si ritrova. Per quest’ultima forma non dobbiamo necessariamente ricorrere all’influenza del napoletano: le varianti punes e punessa potrebbero, infatti, derivare dal francese dei Piemontesi in modo del tutto indipendente. Escluse queste aree, nel resto d’Italia è prevalso un allargamento semantico per il più generico sostantivo puntina (che precedentemente valeva per lo più come “piccolo germoglio” o “pennino”), ridefinito tramite la specificazione da disegno e ritenuto forse più appropriato rispetto al francesismo. Questa resta, tuttavia, un’ipotesi per il momento non sostenuta da alcuna prova e pertanto non dimostrabile.
Ulteriori osservazioni si potrebbero fare riesaminando le definizioni di punessa nei dizionari dialettali napoletani. In queste si può certamente notare come punessa e puntina si richiamino a vicenda per spiegarsi l’un l’altra. Il lessicografo Antonio Altamura, fin dal 1956, definisce punessa come ‘puntina da disegno’ (cfr. Dizionario dialettale napoletano); allo stesso modo fanno Francesco D’Ascoli (cfr. Lessico italiano-napoletano) e Antonio Salzano: quest’ultimo, nella sezione napoletano-italiano del suo Vocabolario, traduce punessa con puntina da disegno, e in quella italiano-napoletano puntina con “punessa (da disegno)”. Sembra, dunque, che il sintagma puntina da disegno sia abbastanza noto e che venga adoperato con naturalezza, tanto da essere inserito come traduzione di una voce dialettale. Sebbene sia forse azzardato affermare che esso sia precedente a punessa, è ragionevole considerarlo quantomeno coevo. Volendo trovare una conferma a tale ipotesi si è fatto ricorso al confronto delle varie edizioni dello ZINGARELLI. Questa operazione non ha prodotto purtroppo i risultati sperati rivelando, anzi, un evidente anacronismo. Dal 1917 al 1983 puntina ha avuto soltanto i seguenti significati: “piccolo germoglio”, “penna da scrivere”, “pennino”, “pasta da minestra in forma di piccole punte” e “chiodino senza capo di cui si servono i calzolai”. Bisogna, dunque, attendere il 1983 perché nello ZINGARELLI compaia sotto la voce puntina anche il significato “puntina da disegno”, nonostante l’edizione del 1970 riporti sotto il lemma cimice anche il significato, marcato come popolare, di “piccolo chiodo dalla capocchia larga e piatta. Punta da disegno”.
Tuttavia il Dizionario scolastico della lingua italiana. Libro di lettura e di consultazione (Torino, 19459, ristampato nel 1960) di G. M. Gatti identifica con la denominazione di puntina tre oggetti diversi: “1. Punta da disegno; 2. Bulletta senza capocchia; 3. Fermacarte formato da una capocchia e due laminette appuntite e pieghevoli”. Come si nota il primo oggetto non è altro che la nostra puntina, che già veniva chiamata anche punta da disegno. Quest’opera e il Dizionario dialettale di Altamura pertanto potrebbero rappresentare alcune fra le prime attestazioni di puntina da disegno in italiano.
Le ragioni della sua assenza nello ZINGARELLI potrebbero essere varie: in primo luogo va considerato che si tratta di un oggetto del tutto marginale e forse, proprio per questo, lo si trova in un dizionario di tipo scolastico piuttosto che in uno strumento universale come lo ZINGARELLI. Anche se comunemente utilizzata, dunque, puntina da disegno può aver impiegato del tempo per essere ufficialmente accolta. Si aggiunga poi che gli strumenti lessicografici di un tempo erano assai meno permeabili alle novità, inoltre il suo significato del tutto trasparente potrebbe aver contribuito a tardarne l’inserimento. È però lecito pensare che, quando i compilatori dei dizionari dialettali si trovarono a dover tradurre punessa, fossero coscienti della diffusione di puntina nel resto della penisola.
Punessa, dal 1956 ad oggi, sopravvive forte e vitale in Campania tanto che nel suo testo Storia linguistica di Napoli (Roma, 2012) De Blasi la inserisce tra le parole tradizionali che resistono nel lessico dell’“italiano di Napoli”. Nella coscienza dei parlanti, infatti, pare poco avvertita la dialettalità della voce, anzi punessa è utilizzata in modo del tutto naturale e non marcato. Ne sono testimoni alcuni testi, anche di argomento scientifico, consultabili in parte su Google Libri. È il caso di Management sanitario in ottica sistemico vitale (Torino, 2013) di Francesco Polese, ingegnere elettronico nato a Napoli (“Potrebbe, però, accadere di non trovare il martello. In questo caso vi sarà bisogno di una nuova interazione tra area dell’agire e del decidere e si potrebbe, pertanto, decidere di utilizzare una punessa per poi effettivamente trasmettere tale decisione all’area dell’agire”) e del Project Management. Secondo la Norma UNI ISO 21500 (Milano, 2015) di Pier Luigi Guida: “come diceva un nostro maestro, non bisogna piantare una punes nel muro con un martello”.
Non mancano esempi anche nella narrativa; si possono ricordare Dodici Leoni: Vinicio e il suo Napoli rivoluzionarono il calcio (Roma, 2015) di Franco Esposito e Marcello Altamura (“la parete come lo schermo di un cinema. Il display su cui sono fissate con le punesse le immagini di una storia di calcio e di amore”) e Tutti i santi hanno un passato e i peccatori un futuro (E-book, 2014) di Flaminia Castaldo: “C’era attaccata con delle punesse, alla porta del ristorante, una frase del Dalai Lama che leggevo e rileggevo ogni volta che vi entravo”.
Si aggiunga poi che basta fare una ricerca tra i prodotti di cancelleria in vendita online da negozi campani (di Napoli, Nola, Pompei, Cardito e molti altri) per accorgersi che le inserzioni hanno tutte indistintamente punesse nel titolo; solo in descrizione qualcuno, mosso magari dal desiderio di disambiguare, aggiunge “puntine in metallo ricoperte di plastica colorata”, o ancora “puntine colorate da disegno”. In più l’accostamento spesso ricorrente punesse/punes ha fatto ipotizzare l’esistenza di una marca dal nome Punes che le producesse. Purtroppo in rete di questa marca non si trova traccia.
In qualunque modo si scelga di chiamarle, puntine o punesse, da generazioni i chiodini dalla testa piatta vengono utilizzati per fissare disegni, appendere fotografie, "appiccicare" ritagli di giornali e a volte si rivelano utili anche per altro. La testata giornalistica napoletana “Fanpage” ne propone, infatti, un uso non del tutto convenzionale: “un foro sull'uovo con una punessa” può essere un trucco bizzarro ma geniale che aiuterebbe a cucinare le uova sode. Praticando un foro alla base dell’uovo, l'acqua penetra all'interno e l’albume si separa dal guscio rendendo più facile e agevole la sbucciatura. Qualunque cosa si voglia fare con una punessa, dunque, averla a portata di mano potrebbe rivelarsi certamente di grande utilità.
Per approfondimenti:
A cura di Francesca Vacca
Redazione Consulenza Linguistica
Accademia della Crusca
* Si ringrazia il prof. Nicola De Blasi per l’attenta lettura del testo e i preziosi suggerimenti riguardanti in particolare le attestazioni nell’edizione 1968 del Dizionario di Altamura, nel Vocabolario per gli inventari e le stime del Genio militare e nel Dizionario scolastico della lingua italiana,che hanno permesso una più corretta ricostruzione delle vicende legate alla parola.
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