Quale possibile traducente per repository?

Alcuni lettori ci chiedono un possibile corrispondente italiano di repository; uno di loro chiede se sia possibile usare come traducente il termine repositore.

Risposta

Il termine repository circola nella nostra lingua già dagli anni Novanta, anche se è dagli anni Duemila che inizia ad affermarsi in vari ambiti, in particolare quello informatico. In senso più generico, il repository può essere considerato un archivio o un deposito di informazioni, accessibili più o meno liberamente e spesso raggiungibili tramite Internet.

All’interno dei vari ambiti, il vocabolo assume poi significati particolari: in campo informatico il repository è un ambiente di memorizzazione e conservazione di software, cioè un archivio in cui vengono conservati programmi che possono essere scaricati e installati su un computer tramite Internet; in questo senso si parla anche di software repository. L’uso più comune riguarda l’ambiente Linux, in cui i repository sono archivi web che contengono gli aggiornamenti degli applicativi e dei sistemi operativi. Linux è una famiglia di sistemi operativi composti in tutto o per la maggior parte da software libero, cioè liberamente modificabile da chiunque. La possibilità di modifica ha portato nel tempo alla creazione di innumerevoli “versioni” di Linux, chiamate distribuzioni (in gergo distro); ciascuna di queste è composta da vari programmi applicativi, sviluppati in modo più o meno indipendente e distribuiti in modo da essere facilmente installabili e utilizzabili. L’installazione dei programmi è una procedura diversa da quella tipica dell’ambiente Windows: nei sistemi Linux, infatti, il software è distribuito in pacchetti che possono essere scaricati da un repository; i pacchetti sono organizzati grazie a sistemi di gestione dei pacchetti che si occupano dell’installazione, dell’aggiornamento, della verifica e della rimozione dei programmi del sistema operativo.

In ambito informatico, il repository è anche un database con funzione di raccolta e conservazione di dati in formato digitale, corredati da metadati che ne permettono una rapida individuazione tramite tabelle relazionali. In tale tipo di database l’accento è posto sulla memorizzazione dei metadati.
Quest’ultima specifica accezione di repository si estende anche a tutti quei settori che prevedono la gestione di documenti digitali; questo tipo di architettura consente, infatti, di poter gestire in modo ottimale grandi volumi di informazioni. In tali ambiti, il repository è un archivio strutturato (spesso ad accesso aperto e libero) che raccoglie, conserva e mette a disposizione tutta una serie di dati e materiali in formato digitale.

Si parla, in particolare, di repository istituzionali, curati da Università, istituti di ricerca o biblioteche, cioè depositi digitali che conservano i prodotti della ricerca, ovvero l’insieme delle pubblicazioni scientifiche e le informazioni relative a tale produzione, e li rendono disponibili alla consultazione in base a specifiche politiche di accesso. I materiali sono generalmente depositati tramite l’autoarchiviazione da parte degli autori. Si possono costituire anche repository tematici, cioè archivi di pubblicazioni accademiche in una particolare area disciplinare o campo di ricerca. Un altro esempio è quello dei cosiddetti repository clinici o sanitari, archivi digitali che raccolgono le cartelle cliniche dei vari pazienti, con tutti i documenti prodotti nell’ambito delle strutture sanitarie (referti di vario tipo, registri operatori, lettere di dimissione, ecc.).

I repository hanno molti campi di applicazione; gli usi che se ne possono fare sono numerosissimi e in qualsiasi settore, come mostrano gli esempi successivi:

L’applicazione potrebbe servire anche per l’emergenza haitiana. A Palo Alto sono a lavoro. Ma è l’intera comunità dei crisis mappers a mobilitarsi. Mikel Maron di OpenStreetMap ha lanciato una pagina wiki per condividere in tempo reale le informazioni sul terremoto. Lo stesso ha fatto GeoCommons, il sito che permette di costruire mappe semplici e repository di dati geografici generati dagli utenti, sotto licenza Creative Commons. (Gabriella Colarusso, Dall’Africa a Palo Alto. Crisis mappers per Haiti, “la Repubblica”, 14/1/2010)

I docenti utilizzeranno modelli e foto a 360° per creare le lezioni accedendo a CgTrader, il maggiore repository di modelli 3D del mondo, oppure caricando gli asset 3D prodotti dagli studenti, partendo da una web page in backend. Il tutto senza dover scrivere una riga di codice, mentre in frontend basterà scaricare un’app disponibile per iOS e Android. (Daniele Monaco, Come la realtà virtuale può cambiare l’economia dopo il coronavirus, Wired.it, 10/4/2020)

Il sostantivo repository è un prestito integrale dall’inglese repository, lett. ‘deposito, magazzino, ripostiglio’. Il termine non è registrato dai dizionari sincronici e anche nei dizionari specialistici la presenza è scarsa; i pochi che lo includono lo definiscono come una raccolta o un insieme di informazioni:

Raccolta di informazioni riguardo a un sistema informatico; sovrainsieme di un dizionario di dati. Fornisce una maggiore coerenza dei dati a chi sviluppa applicazioni. (Computer dictionary: dizionario dei termini di informatica, Redmond Milano, Microsoft press Mondadori informatica, 1994)

Insieme di informazioni [BDati] Base di dati di pubblico accesso, spesso raggiungibile attraverso la rete Internet, gestita da un server di controllo degli accessi. (Dizionario enciclopedico di informatica, Bologna, Zanichelli, 2009)

Il vocabolo è inoltre presente fra i neologismi raccolti nel Magazine Lingua italiana del portale Treccani, con un esempio d’uso (della forma plurale inglese) datato 2004:

Si tratta di processi che richiedono nuove competenze da parte del bibliotecario: web, html, statistiche d’uso ed i loro grafici, accessi, link, conservazione e preservazione, copyright, licenze, repositories, pre-print, biblioteca virtuale, libro elettronico, e-learning ed insegnamento a distanza. (“City”, 19/10/2004)

Se ne trova anche una definizione nel volume Lessico del XXI Secolo (2013) dell’Enciclopedia Treccani:

Generico ambiente di storage, raggiungibile anche con un percorso web, dove vengono archiviati i pacchetti software che possono essere installati e aggiornati su un computer anche mediante operazioni programmate. L’uso più comune riguarda l’aggiornamento degli applicativi e del sistema operativo negli ambienti Linux.

Le prime attestazioni di repository rintracciate in rete appartengono alla fine degli anni Novanta. Una delle prime occorrenze è del 1998, in un articolo di ambito informatico dedicato a Oracle, una società multinazionale americana specializzata in database e nello sviluppo di software; in questo esempio, diversamente da quelli seguenti, il termine non viene marcato dall’autore come forestierismo (ad esempio con le virgolette o il corsivo o l’iniziale maiuscola), perché evidentemente considerato di uso comune nel linguaggio tecnico informatico:

La strategia di Oracle tende a creare un vantaggio competitivo rispetto ai principali concorrenti del settore Erp. In teoria, infatti, gli sviluppatori potrebbero prendere gli stessi strumenti di modellazione e repository usati per costruire le soluzioni Erp Oracle ed estendere, integrare o ridisegnare applicazioni per sistemi personalizzati o processi di business verticali. ([s.f.] Le applicazioni di Oracle si trasformano in componenti, 01net.it, 6/4/1998)

Dello stesso anno ‒ e ancora di stampo informatico ‒ anche la prima occorrenza di repository nei quotidiani, in un articolo del “Corriere della Sera” che si occupa delle simulazioni effettuate dalla banca Cariverona nel corso del 1998 in vista del Millennium Bug:

"[…] Si trattava di mettere a punto un intervento di conversione dei programmi informatici in tempi rapidi e senza stravolgere l’operatività della banca". Siemens-Nixdorf Italia ha puntato sul metodo Windowing, che consente un’elevata automazione, riducendo al minimo l’intervento umano. Ed ha creato, appunto, un repository applicativo riutilizzabile per altre applicazioni, in questo caso l’Euro. (Giancarlo Radice, Cariverona è pronta alla simulazione, “Corriere della Sera”, 12/1/1998)

L’attestazione successiva è del 1999, in una rivista di archivistica: è il primo esempio in cui repository non è strettamente collegato all’ambito informatico e viene usato col significato di archivio istituzionale:

Il presente documento descrive la struttura e i contenuti generali del Repository dei dati della pubblica amministrazione, inteso come descrizione organizzata ed integrata delle tipologie di informazioni disponibili nei principali sistemi informativi della pubblica amministrazione, con particolare riferimento alle amministrazioni centrali (ministeri). (“Archivi per la storia: rivista dell’Associazione nazionale archivistica italiana”, Vol. 12, 1999, p. 378)

Quanto alla diffusione del sostantivo, i dati mostrano una buona presenza in rete, con 2.210.000 risultati nelle pagine in italiano di Google (al 18/4/2020) e nella stampa, con circa 18.000 risultati in italiano su Google libri. Piuttosto scarse invece le occorrenze nei quotidiani, con soltanto 26 risultati nella “Repubblica” e 15 nel “Corriere della Sera”.

Le attestazioni mostrano una netta prevalenza per il genere maschile invariabile (il repository/i repository, che ottengono su Google rispettivamente 93.600 e 37.800 risultati), anche se, come spesso succede per i prestiti inglesi, si registra una certa oscillazione nell’attribuzione del genere (le occorrenze per il femminile sono 8.910 per la repository e 3.750 per le repository) e del numero (le attestazioni per la forma flessa sono 3.590 per i repositories e 831 per le repositories). Generalmente il genere di un prestito viene assegnato in base al genere del nome che viene individuato o percepito come traducente: in questo caso gli equivalenti italiani più in uso sono archivio, magazzino, deposito, tutte forme maschili. L’uso del femminile non si può dunque spiegare con tale criterio: è invece il suffisso -ory (di factory, memory, ecc.) a indirizzare verso il genere femminile.

Anche nella stampa la preferenza è per il maschile, con soltanto 8 occorrenze di repository come sostantivo femminile (4 sulla “Repubblica” e 4 sul “Corriere della Sera”), in tutti i casi invariabile. Ne riportiamo qualche esempio:

Sotto questo punto di vista le piattaforme cloud aziendali si sono rivelate e continuano a rivelarsi un prezioso supporto per i professionisti che devono gestire i contenuti business. L’utilizzo del cloud computing permette infatti allo stesso tempo di fronteggiare l’ampliamento delle repository di contenuti, controllare le risorse IT, garantire flessibilità ai nuovi progetti pilota e testare nuovi modelli aziendali senza gravare sugli ambienti consolidati. (Cognitive computing: intelligenza e rapidità per la customer experience, Repubblica.it, 28/8/2017)

A oggi, l’infrastruttura presente a Svalbard è unica nel suo genere; è la repository di secondo livello di tutte le banche di germoplasma, presenti in ogni Paese del mondo. (Sara Moraca, Il deposito dei semi nel mondo, “Corriere della Sera”, 26/10/2017)

Veniamo infine alla questione del traducente. Consultando vari dizionari inglesi online (Cambridge Dictionary, Collins Dictionary, Merriam-Webster DictionaryOxfordDictionary ), vediamo che repository (attestato dalla fine del XV secolo e derivato dal francese repositoire o dal latino repositorium, a sua volta derivato di reponere ‘riporre’) può assumere diversi significati:

  1. un luogo in cui sono archiviate, immagazzinate o conservate le cose, anche in senso figurato; un luogo dove si trova qualcosa in grandi quantità, specialmente una risorsa naturale (un deposito sotterraneo di acqua); più raramente, un luogo atto all’esposizione di oggetti, un museo; una cripta o un sepolcro;
  2. un recipiente in cui si conservano o custodiscono le cose; un contenitore in cui si conservano le reliquie. Nella liturgia cattolica, altare su cui si colloca il calice che contiene l’ostia consacrata per il rito della reposizione;
  3. una persona o un libro che possiede molte informazioni o conoscenze dettagliate su un dato argomento; una persona a cui è affidato un segreto, un confidente;
  4. in informatica, il luogo in cui vengono archiviati e organizzati i dati.

La quarta accezione è quella con cui repository è usato nella nostra lingua, come abbiamo visto, non soltanto in ambito informatico. Con tale significato, in italiano sono impiegati diversi termini - probabilmente con una certa sovrapposizione di senso anche rispetto alle altre accezioni – e cioè archivio, database (o banca dati), deposito, magazzino, repertorio, repositorio (termine, quest’ultimo, che in italiano si usa anche con secondo significato dell’inglese repository).

Se cerchiamo su Google ciascuno di questi termini insieme a repository (tra virgolette e nelle pagine in italiano), possiamo ottenere dati interessanti circa la co-occorrenza delle due voci nei testi, cioè una prima informazione sulla loro possibile sinonimia.

Le forme più attestate insieme a repository sono archivio (274.00 risultati) e database (255.000 risultati), con un netto distacco dalle parole successive (magazzino 124.000 risultati, deposito 73.400, banca dati 44.400, repertorio 44.300 e repositorio 8.660). Abbiamo effettuato un’ulteriore indagine utilizzando Seo Hero Tech, uno strumento online gratuito che è in grado di fornire le co-occorrenze statistiche di un termine di ricerca su Google per diverse lingue, tra cui l’italiano. La ricerca conferma che gli equivalenti più spesso associati a repository sono archivio e database, che compaiono tra le prime 200 forme co-occorrenti, mentre gli altri termini non compaiono affatto.

Di questi sei “concorrenti”, archivio rappresenta forse l’opzione semanticamente più vicina a repository. Il termine viene generalmente definito dai dizionari sincronici come “raccolta di documenti pubblici o privati” e, per estensione “il luogo dove si conservano tali documenti”; il Vocabolario Treccani online registra però anche un uso più ampio di archivio, definendolo come una “raccolta di atti, testi stampati, documenti giornalistici, fotografici, cinematografici, televisivi, ecc., che possono in un certo modo avere valore documentario, catalogati in modo da rendere agevole la consultazione e il reperimento del materiale: a. di un giornale, di un’accademia; l’a. della radiotelevisione” e, in ambito informatico, come un “insieme organizzato di dati di consultazione omogenei, aggiornato costantemente o periodicamente, da cui un sistema di elaborazione o di documentazione automatica può ricavare indici, tabelle, ecc. Un archivio di grandi dimensioni e accessibile a un pubblico più o meno vasto è chiamato banca (di) dati”. Questo ampliamento semantico andrebbe a coprire parte dei significati di repository; resterebbe fuori soltanto il significato informatico di ‘deposito di software’. La soluzione potrebbe essere quella di impiegare il termine in combinazione con altre parole, in modo da specificarne il senso, ad esempio usando l’espressione “archivio di pacchetti” o “archivio di software”. Del resto, archivio ha comunque la caratteristica di essere una parola generica, dal significato ampio che può essere di volta in volta specificato con l’uso di modificatori, per lo più aggettivi (ma anche nomi o sintagmi), come fotografico, comunale, giuridico, parrocchiale, ecc. Allo stesso modo, quando viene usato come sinonimo di repository (in genere si usa per spiegarne il significato), raramente compare da solo, ma viene solitamente associato a parole (la maggior parte aggettivi) che ne specificano i tratti: digitale, virtuale, web, strutturato, organizzato, ecc.

Archivio è comunque la forma proposta dai dizionari bilingui inglese-italiano come traducente di repository; in particolare, nel Garzanti online, uno dei pochi a registrare anche l’uso informatico del termine, si legge: “(inform.) repository (m.), archivio (m.) di tutte le informazioni (di un sistema)”.

Anche database (o banca dati; si veda la scheda di Vera Gheno) potrebbe rappresentare una buona alternativa: dal punto di vista semantico, database e repository denotano concetti piuttosto simili e, anzi, non è semplice coglierne la differenza. I dizionari dell’uso definiscono database come un “archivio elettronico di dati correlati, registrati nella memoria di un computer e organizzati in modo tale da permettere una facile e rapida ricerca al suo interno; per estensione, anche il programma applicativo che gestisce tale archivio”. Il termine database, quindi, si porta dietro una serie di caratteristiche, come il fatto di essere strutturato e digitale, che non sono implicite nel concetto di archivio, ma che lo sono invece in quello di repository. Tuttavia, non sarebbe corretto affermare che repository e database veicolano lo stesso concetto. Il repository è un ambiente di archiviazione centralizzato di contenuti di varia natura e di memorizzazione di metadati a questi associati, che può essere collegato a uno o più database (si pensi ad esempio ad archivi collegati a più dipartimenti o istituzioni); il database è invece un insieme di dati strutturati che sono tra loro logicamente correlati e che risultano omogenei per contenuti e formato (ad esempio conti bancari, registri di studenti).

I termini magazzino e deposito indicano locali o luoghi per la raccolta e la conservazione di merci o materiali (magazzino del legname, m. portuale, deposito bagagli, d. bancari, d. postali, d. merci); indicano anche l’insieme delle merci depositate. Nonostante i due sostantivi facciano propriamente riferimento a luoghi fisici, talvolta sono usati nelle locuzioni magazzini digitali o depositi digitali con il significato di ‘luogo per la conservazione di documenti digitali’: le loro sfere semantiche sono quindi in grado di coprire il significato più generico di repository. Anche l’accezione più tecnica può però essere coperta tramite il ricorso a parole che ne specificano l’uso informatico, come deposito (o magazzino) di software o deposito (o magazzino) di pacchetti; si pensi che, in effetti, “deposito di software” ottiene ben 57.100 risultati nelle pagine in italiano di Google e “magazzino di software” circa 32.500.

Il sostantivo repertorio è definito dai dizionari (nell’accezione che ci interessa) come un “elenco ordinato e sistematico di dati, notizie e informazioni di facile consultazione”. Nonostante il suo significato sia più vicino a quello di registro, viene talvolta usato in documenti istituzionali proprio come traduzione di repository.

Ad esempio, nel glossario delle Linee guida su acquisizione e riuso di software per le pubbliche amministrazioni, adottate in attuazione degli articoli 68 e 69 del Codice dell’Amministrazione Digitale (CAD) e in vigore dal 9 maggio 2019, si legge:

Repertorio o Repository

All’interno di uno strumento di code-hosting, un repository è l’unità minima di contenimento del codice sorgente di un software. Il termine «repertorio» è la sua traduzione italiana (usata per esempio nel CAD Art 69, comma 1).

Il Codice dell’Amministrazione Digitale (CAD) è un testo unico che riunisce e organizza le norme riguardanti l’informatizzazione della Pubblica Amministrazione, istituito con il decreto legislativo 82 del 7 marzo 2005. Nel documento non viene mai citato il termine repository, ma si parla invece di repertorio, con lo stesso significato dell’esempio citato sopra, che fa appunto riferimento all’Articolo 69 del CAD:

Art. 69. Riuso delle soluzioni e standard aperti

Le pubbliche amministrazioni che siano titolari di soluzioni e programmi informatici realizzati su specifiche indicazioni del committente pubblico, hanno l’obbligo di rendere disponibile il relativo codice sorgente, completo della documentazione e rilasciato in repertorio pubblico sotto licenza aperta, in uso gratuito ad altre pubbliche amministrazioni o ai soggetti giuridici che intendano adattarli alle proprie esigenze, salvo motivate ragioni di ordine e sicurezza pubblica, difesa nazionale e consultazioni elettorali.

Nelle Linee guida su acquisizione e riuso di software per le pubbliche amministrazioni è possibile trovare anche un’occorrenza di repositorio, con lo stesso significato di repository e repertorio:

3.8.2. Rilascio sotto licenza aperta delle modifiche

Per rilasciare le modifiche ad un software, non è possibile utilizzare il processo descritto precedentemente in Rilascio di nuovo software sotto licenza aperta; tale processo infatti, indipendentemente dall’entità della modifica, creerebbe un secondo repositorio di codice sorgente disgiunto dall’originale, causando costi elevati per qualunque amministrazione che, avendo preso in riuso il software originale, voglia continuare a beneficiare della sua evoluzione.

Il termine repositorio, datato XIV secolo nel GRADIT, viene dal latino repositorium, derivato di reponere ‘riporre’ e ha quindi lo stesso etimo di repository. I dizionari registrano diverse accezioni del sostantivo: nel linguaggio ecclesiastico, indica “sia il recipiente che il luogo in cui si conserva l’ostia destinata all’esposizione o reposizione del ss. Sacramento” e, in generale, “qualunque coppa, teca, scrigno in cui sono deposti oggetti sacri”; è anche sinonimo di “sepolcro o cassa in cui si raccolgono le ossa”. Più raramente fa riferimento a un “ripostiglio, mobile, oggetto, recipiente per custodire o riporre oggetti”.

Nonostante i dizionari sincronici ne attestino l’appartenenza quasi esclusiva al linguaggio liturgico, il sostantivo repositorio è oggi diffuso in diversi ambiti e con vari usi, anche figurati, come mostrano gli esempi seguenti:

Poiché una certa storiografia egemonica europea del diciannovesimo secolo aveva designato gli archivi come repositorio di “fatti” e io avevo suggerito che bisognasse “leggerli”, la mia posizione potrebbe risultare consonante con quella di White. (Gayatri Chakravorty Spivak, Critica della ragione postcoloniale, Roma, Meltemi editore, 2004)

Le biblioteche e gli archivi lasalliani di Roma, Lione e Manhattan collaborano infatti alla realizzazione di un repositorio digitale in quattro lingue (Inglese, Francese, Spagnolo e Italiano) grazie al lavoro di archivisti e bibliotecari che possono avvalersi di strumenti per la comunicazione della storia coinvolgendo attivamente le varie comunità di riferimento. (Biblioteche e Public History: tre percorsi di approfondimento, “MinervaWeb”, n. 53, 2019)

[…] l’attività di caratterizzazione geografica e contestualizzazione è sviluppata sfruttando un ricco repositorio di risorse informative disponibile via web tramite un’area dedicata a studenti e docenti […] Il database, il cui disegno strutturale è rappresentato nella figura 4, costituisce un repositorio strutturato di dati a cui poi hanno attinto gli studenti del master per lo sviluppo dell’attività laboratoriale. (Formazione e ricerca per lo sviluppo del territorio, “IUAV”, 112, 2012)

Negli ultimi due esempi, repositorio vale come ‘archivio digitale’ o ‘archivio web strutturato’: è quindi usato in un’accezione molto simile a quella di repository. Ma è possibile trovare anche casi in cui il vocabolo è attestato con il significato di ‘archivio di software’, l’accezione più tecnica di repository; un esempio, tra gli altri:

Questo è di granlunga [così nel testo, ndr] il principale repositorio per Fedora. È strutturato in due repositori principali identificati dai termini "free" e "non-free". Attenzione a non farsi ingannare dal nome: non-free non significa che sono pacchetti a pagamento, sono completamente gratis come quelli "free", ma a differenza di questi non sono considerati software libero, perché per esempio, non sono disponibili i sorgenti di questi pacchetti, o perché la licenza con cui sono distribuiti non è GPL. All’interno di questo repositorio, troverete alcuni software di importanza fondamentale per il vostro computer, come Mplayer, VLC, ffmpeg, avidemux, oltre a qualche pacchetto per i driver proprietari di Nvidia (Fedora, i suoi pacchetti e i suoi repositori, unico-lab.blogspot.com, 26/3/2010).

Per quanto riguarda, infine, il calco repositore proposto da un lettore, non ve n’è traccia nei dizionari sincronici né sulla stampa e anche le attestazioni in rete ne mostrano una scarsa diffusione (con soltanto 350 risultati nelle pagine italiane di Google). Su Google libri in italiano troviamo 8 occorrenze ma in nessun caso fanno riferimento al significato di repository (si parla invece di repositore di memorie o di ossa).

Il suffisso -tore/-trice è generalmente impiegato per formare nomi d’agente o nomi di strumento; il maschile -tore predilige l’uscita agentiva (attore, dottore, direttore, lavoratore, muratore, scrittore), mentre i deverbali in -trice le uscite strumentali (asciugatrice, fotocopiatrice, lavatrice, mitragliatrice, trebbiatrice). In quest’uso il maschile è più raro (calcolatore, radiatore, frullatore). Ciò rende inadatto l’esito repositore e ne spiega la scarsa diffusione, anche rispetto alla forma repositorio. Non è da escludersi che repositore sia da attribuirsi, almeno in alcuni casi, a una errata ricostruzione del singolare a partire dal plurale repositori. Il suffisso -torio è usato per formare aggettivi deverbali (amatorio, separatorio, infiammatorio, accusatorio) e nomi deverbali, che indicano il luogo in cui si verifica quanto designato dal verbo (dormitorio, osservatorio) o lo strumento utilizzato (aspersorio, sospensorio, divisorio), concetti più coerenti con il significato di repositorio.

In conclusione, è possibile trovare diversi termini che possono funzionare più o meno adeguatamente come traducente italiano di repository. Ciascuno di questi vocaboli (tranne forse database) non sembra però in grado da solo di coprire il significato di repository nelle sue diverse sfaccettature: sarebbe necessario ricorrere ogni volta a una combinazione con altre parole per esprimere il senso specialistico a cui vogliamo fare riferimento (ad esempio archivio istituzionale, deposito di software, magazzino digitale, ecc.). O forse è la diversificazione invalsa nell’uso dei traducenti che rende ormai difficile proporne uno solo.

Ma il problema è un altro: come nota Claudio Giovanardi nella sua scheda di consulenza Know how: è possibile tradurlo?, “la probabilità di successo di un traducente italiano è legata alla tempestività con cui viene proposto e usato. Se si dà all’anglicismo la possibilità di attecchire nella lingua (tanto più nella lingua comune) diventa difficile pensare di poterlo scalzare”. Dato che repository è diffuso in alcuni ambiti della nostra lingua ormai da 20 anni, appare davvero difficile che, a questo punto, uno di questi termini riesca a prevalere sul forestierismo; si può solo prevedere una crescita, sulla sua scia, dell’uso del corrispondente repositorio al di fuori del suo tradizionale ambito liturgico.

Lucia Francalanci

8 dicembre 2020


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