Una lettrice e un lettore chiedono informazioni sull’uso di venire ‘costare’ e sull’etimologia di quanto viene? per indicare il costo di un prodotto.
Un quesito simile a quello che ci è stato posto è giunto nel 2018 anche all’Enciclopedia Treccani, nel cui sito è stata pubblicata la seguente risposta:
Nel vocabolario delle compravendite, venire nel senso di ‘costare’ è ben radicato nella lingua italiana sin dalla metà del Cinquecento. Procediamo tranquilli nell’adoperarlo.
In effetti, l’uso di venire ‘costare’ è documentato da secoli, anche prima del Cinquecento, come dimostrano alcuni esempi, che riportiamo di seguito, tratti dal GDLI (s.v. venire):
A den. 33 steri, viene il mar. soldi 9 den. 8 e 4/II di grosso. (Francesco Balducci Pegolotti [1290-1347], La pratica della mercatura, av. 1347)
Fassi una grillanda di penne con perle, che viene fiorini ottanta. (Alessandra Macigni Strozzi [1406-1471], Lettera ai figlioli)
Dello stesso Pegolotti si rintraccia, nel corpus OVI, anche un’occorrenza della perifrasi venire a costare:
Somma la spesa insino a Pisa lire 1, soldi 3 di pisani piccoli il pondo, ch’è 24 staia pisane, sicchè verrebbe a costare lo staio pisano insino a Pisa da denari 11 1/2 di pisani piccioli, lo quale staio di Pisa torna in Firenze da staia 2 3/4.
La lessicografia storica, etimologica e dell’uso contemporaneo (oltre al GDLI, si vedano DELI, DISC, Devoto-Oli 2024, GRADIT, Zingarelli 2024) registra questo valore semantico e lo marca come “colloq(uiale)” (GRADIT) o “fam(iliare)” (DISC). Va, inoltre, segnalato che, affine a questo significato, venire ha anche quello di ‘risultare, dare come risultato’ (vedi gli stessi dizionari sopra citati), attestato, peraltro, sempre a partire dal Trecento (Paolo dell’Abaco [1281ca.-1374], Trattato di aritmetica; cfr. GDLI).
Entrambe le accezioni del verbo sono ben documentate nel corso dei secoli, fino a oggi.
In definitiva, l’uso di venire ‘costare’, oggi utilizzato soprattutto in un registro informale, risale, in realtà, al periodo antico della nostra lingua e si può essere sviluppato seguendo una trafila semantica del tipo ‘muoversi in direzione di chi parla, arrivare’ > ‘risultare’ > ‘costare’. Si può però anche pensare che, in particolare nel caso della domanda “Quanto viene?”, il significato si sia formato sulla base di un’ellissi, maggiormente colloquiale, della perifrasi venire a costare, che è anch’essa diffusa da tempo nella nostra lingua, come mostrano i tre passi seguenti, nel primo dei quali c’è un ulteriore esempio di viene per ‘costa’:
Esempio in robba materiale; Braccia 6, e 2/3 d’Ormesino furono pagate lire 18, si cerca quanto viene il Braccio? S’opera, che si troverà, che viene a costare lire 2, e 7/10 di lira al Braccio. (Pellegrino Felice Carisi, La scuola dell’aritmetica pratica, Parma, Monti, 1707, p. 201)
– venire a costare, importare, costare, ed anche Venire. Nelle lettere d’una gentildonna fiorentina del secolo XV, pubblicate dal Guasti: “Una grillanda di penne con perle, che viene fiorini ottanta”. (Raffaele Andreoli, Vocabolario napoletano-italiano, Torino, Paravia, 1887, p. 772)
“E questo quanto viene a costare? Solo una cifra approssimativa”. (Annie Claydon, Sedotta dal dottor Riley, Milano, Haper Collins, 2021)
Va, infine, osservato che anche il francese conosce venir à couter, ma si può escludere che venire a costare costituisca un calco da questa lingua sia per l’altezza cronologica delle prime attestazioni italiane, sia per l’àmbito economico-finanziario d’uso della perifrasi, elementi che dimostrerebbero anzi il contrario.
Andrea Riga
2 agosto 2024
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