Si dice tenere il piede in due scarpe o stare con due piedi in una scarpa? Le due espressioni idiomatiche hanno il medesimo significato?
Un’interpretazione letterale delle locuzioni tenere il piede in due scarpe e stare con due piedi in una scarpa evoca immagini diverse, quasi contrapposte. Tenere un piede in due scarpe fa pensare a una sovrabbondanza di scelte, più scarpe di quante un piede possa effettivamente indossare. Stare con due piedi in una scarpa, invece, richiama alla mente una sensazione di scomodità e costrizione, in quanto tenere due piedi in una sola scarpa impedisce qualunque movimento.
I maggiori dizionari (GRADIT, Devoto-Oli, GDLI, Vocabolario Treccani online) riconducono le due frasi tenere il piede in due scarpe e stare con/mettere due piedi in una scarpa al medesimo significato (‘fare il doppio gioco’) e le considerano varianti della stessa locuzione insieme ad altre forme (tenere/mettere/avere il/un piede in due scarpe/staffe; tenere/mettere/avere i/due piedi in/su due scarpe/staffe; tenere/mettere/avere i/due piedi in una scarpa/staffa). Eppure, nell’uso, non è occasionale incontrare i due modi di dire in contesti diversi con significati distinti.
Tenere il piede in due scarpe /staffe
Tenere il piede in due scarpe (o staffe) è un’espressione che ha una connotazione tendenzialmente negativa e si usa per riferirsi a una persona furba, ipocrita o che asseconda la sua convenienza. La forma originaria, attestata già nella prima edizione del Vocabolario degli Accademici della Crusca, è tenere il piede in due staffe e indica un contegno ambiguo quando ci si trova davanti a due possibilità, ‘il destreggiarsi tra due persone, fazioni, situazioni o interessi tra loro incompatibili o contrastanti in vista di futuri vantaggi, rimandare una scelta tenendo in sospeso varie alternative’ (Quartu e Rossi, 2013).
Come scrive Benedetto Varchi:
E tenendo, come si suol dire, il piè in due staffe, s'accostavano prestamente a quella parte, la quale pareva loro, o che fusse, o che dovesse esser superiore. (Storia fiorentina, 2)
Le staffe sono “due arnesi di metallo che pendono dai due lati della sella, sorretti da corregge (staffili) attaccate alla sella stessa e di lunghezza regolabile; servono al cavaliere sia come punto su cui far leva con un piede per prendere lo slancio necessario per salire a cavallo, sia come appoggio per entrambi i piedi quando cavalca” (Vocabolario Treccani online). Il significato originario della locuzione va quindi ricondotto all’uso del cavallo quale mezzo di trasporto. Il modo di dire risale infatti alla consuetudine che avevano i cavalieri di viaggiare con due cavalli per poterli alternare quando quello che montavano dava segni di stanchezza. In tal modo era possibile affrontare lunghi tragitti senza doversi fermare (Quartu e Rossi, 2013). Le due staffe a cui si fa riferimento nella locuzione, poi diventate scarpe, sono quindi quelle dei due cavalli che il cavaliere portava con sé e indicano la possibilità di scegliere il cavallo più idoneo al momento opportuno.
Nel Vocabolario degli Accademici della Crusca il modo di dire tenere il piede in due staffe è associato a due proverbi latini (Tacito, Publius Cornelius, Traduzione degli Annali, 14, 199): diversas spes spectare o duas spes spectare (‘valutare diverse/due prospettive’) e duabus ancoris niti (‘appoggiarsi a due ancore’). Allo stesso modo il Vocabolario italiano-latino di Francesco Cherubini (1831) traduce tenere il piede in due staffe con le espressioni latine: duabus ancoris niti o anche duabus sellis sedere, ovvero non assumere una posizione chiara tra due scelte. Anche Francesco Serdonati (1540-1602) nella sua Raccolta di Proverbii, scrive: "Di chi la tiene un po' di qua, un po' di là: è tiene il piede in due staffe: Duabus sellis sedet". Secondo Seneca il Retore (Controversiae, III, 18) e Macrobio (Saturnalia, 2,3,10; 7,3,8), la locuzione duabus sellis sedere sarebbe nata da una battuta del mimo Decimo Laberio rivolta a Cicerone mentre si trovavano in senato. Cicerone si era rifiutato di far posto a Laberio, disonorato per aver recitato in pubblico, e Laberio aveva risposto al suo rifiuto con la frase soles duabus sellis sedere (‘sei solito sedere su due sedie’), alludendo a una posizione indecisa tra Pompeo e Cesare, non priva di adulazione dei confronti di entrambi. Il modo di dire, che indica indecisione, ma anche doppiezza di comportamento, sopravvive ancora oggi in varie lingue europee (francese: avoir le cul entre deux chaises; inglese: caught between two stools; tedesco: zwischen zwei Stühlen sitzen; rumeno: stați pe două scaune; croato: sedeti na dve stolice) e in alcuni dialetti, mentre in italiano si preferisce usare tenere il piede in due staffe (Tosi, 1991).
Stare con / Mettere due piedi in una scarpa
La locuzione stare con/mettere due piedi in una scarpa ha un’origine meno chiara e nel tempo ha assunto diversi significati.
Il detto aver messo due piedi in una scarpa compare in alcuni dizionari bilingui redatti nel ’700 ed è tradotto con il francese être grosse ou enceinte (Veneroni, 1743; 1700; Altieri, 1749), con il tedesco schwanger sein (Veneroni, 1700; Antonini, 1793) e con l’inglese to be with child (Baretti, 1776), tutte espressioni che significano ‘essere incinta’. Tale uso sembra essersi perso nell’italiano contemporaneo.
In Calabria e Sicilia è diffusa la locuzione stàri cu ddu peri ntà na scarpa (o anche fari stari ad unu cu dui pedi ’ntra ’na scarpa), in italiano stare con due piedi in una scarpa, per invitare qualcuno a stare al proprio posto o a stare immobile e composto. È adoperata soprattutto con i figli per sottolineare la necessità di attenersi alle buone maniere. Secondo Buccellato, il modo di dire “indica mancanza assoluta di liberà non solo di agire, ma anche di parlare”.
La maggior parte dei dizionari di siciliano redatti dal XIX secolo a oggi conferma la diffusione di questa espressione, ancora vitale nell’uso (Nicotra, 1883; Castagnola, 1980; Piccitto, 1977-2002). Il detto è tradotto ‘rigare dritto, fare il proprio dovere senza discutere e procurando di non arrecare fastidio’ (Piccitto, 1977-2002), o con i modi di dire italiani far filare alcuno, metterlo in un calcetto (Nicotra, 1883). Come spiega Pico Luri di Vassano, il “calcetto è un calzamento di lana o di lino che copre il piede, oggi pedalino o calzettina … Metter uno in un calcetto: sopraffarlo, ridurlo, come dice il Minucci, tanto avvilito che si vorrebbe nascondere dentro a un calcetto”. Tornando al nostro modo, esiste una variante più antica, mèttiri a unu dui pedi dintra na stivala o mèttiri li pedi ntra na stivala a unu, che impiega la parola stivala al posto di scarpa e sembrerebbe avere un duplice significato: fare rigare dritto qualcuno (Pasqualino, 1786; Mortillaro 1862; Nicotra, 1883; Piccitto, 1977-2002); mettere qualcuno in imbarazzo, confondere, mettere qualcuno nel sacco, imbrogliare (Malatesta, 1706; Pasqualino, 1786; Traina, 1868; Mortillaro, 1862; Piccitto, 1977-2002).
Anche in Campania il modo di dire è registrato in alcuni dei più importanti vocabolari di napoletano. Nel Vocabolario napolitano-toscano domestico di arti e mestieri di D’Ambra (1873), alla voce appaura (paura), si legge: “Matrèjeta starrà co ddi piede int’a na scarpa” citazione dal testo di Liveri, Gli Studenti del 1726. Stare/fare stare uno cu dduje piede int’a na scarpa si usa nel significato di ‘ballare e far ballare uno sur un quattrino’ (Andreoli, 1887) ovvero fargli fare il proprio dovere o ‘essere costretto a stare a posto proprio educatamente’ (Altamura, 1956). Ritroviamo il detto anche nelle opere dello scrittore e attore napoletano Raffaele Viviani: “Invece ’e se sta cu dduie piede ’int’ a na scarpa, che ha truvato ’o cocco munnato e buono, e s’è mmiso a spadruneggià!” (1987-1991, vol. IV, p. 294), che Mauriello traduce: “Invece di stare con due piedi in una scarpa (usare discrezione), visto che ha trovato il cocco mondato e buono (una situazione privilegiata), si è messo a spadroneggiare!”.
La locuzione sembra quindi diffusa prevalentemente nei dialetti di alcune regioni del Meridione, sebbene sporadiche testimonianze attestino che l’espressione circoli anche in contesti diversi. Per esempio, nella Rivista Bolognese di scienze, lettere, arti e scuole (1867), Ermanno Lunzi, personaggio politico nato a Zante nel 1806, scrive: “Per fare il loro gusto scacciarono Ottone, che sapeva mettere i loro due piedi in una scarpa (modo proverbiale per dire che sapeva tenerli a segno)”.
Non è chiaro il tipo di relazione che esiste tra stare con due piedi in una scarpa e tenere il piede in due staffe. È interessante notare che Traina nel Nuovo Vocabolario siciliano-italiano (1868) alla voce pedi, ‘piede’, distingue mettiri du’ pedi ’nta ’na stivala ‘tenere a segno: mettere in un calcetto’, e teniri lu pedi ’ntra du staffi ‘star preparato a due o più partiti: tenere il piede in due staffe’. Questa attestazione fa supporre che in Sicilia nel XIX secolo i due modi di dire venissero considerati come locuzioni distinte che si esprimevano impiegando due parole diverse stivala (stivale o scarpa) e staffi (staffe). La perdita di trasparenza del significato originario di tenere il piede in due staffe può aver lasciato posto nel tempo alla più comune associazione di piedi e scarpe invece che di piedi e staffe, sebbene il passaggio da tenere il piede in due staffe a tenere il piede in due scarpe, registrato a partire dal XIX secolo, potrebbe essere stato influenzato anche dalla somiglianza con il detto stare con due piedi in una scarpa. Il fatto che l’espressione stare con due piedi in una scarpa nel significato di ‘rigare dritto’ non sia presente nei maggiori dizionari di italiano contemporaneo e anzi, nella forma mettere due piedi in una scarpa, venga associata a tenere il piede in due scarpe, potrebbe dipendere dalla diffusione prevalentemente regionale del detto.
In conclusione, nonostante tenere un piede in due scarpe possa sembrare più vantaggioso rispetto a rimanere composti stando con due piedi in una scarpa, si dovrà prestare attenzione a non finire male, in quanto, come mette in guardia il proverbio toscano (Tommaseo-Bellini):
“Chi tiene il piede in due staffe, spesso si trova fuora”.
Per approfondimenti:
A cura di Veronica Boschi
Redazione Consulenza Linguistica
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