Quarantaquattro gatti in fila per sei col resto di due, o di quando e come scrivere i numeri in lettere

I quesiti dei nostri utenti riguardano la grafia dei numeri all'interno dei testi: quando scriverli in cifre e quando in lettere? Ci hanno inviato domande Antonio B., Virginia B., Maria Luisa C., Cosimo de L., Domenica Di D., Rita F., Gabriella M., Marinella P., Massimo P. ed Emily R. 

Risposta

 

Quarantaquattro gatti in fila per sei col resto di due
o di quando e come scrivere i numeri in lettere

 

Occorre premettere che la scelta di scrivere i numeri in cifre o in lettere è in linea di massima una preferenza stilistica, non un indice di correttezza: nessuna delle soluzioni è di per sé giusta o sbagliata, casomai più o meno adatta al contesto, al registro e alla funzione del testo. Le grammatiche e i vocabolari possono fornirci alcuni consigli in merito. Luca Serianni, nella sua Grammatica italiana (cfr. SERIANNI 1989), divide i numerali in quattro categorie principali: cardinali, ordinali, frazionari e moltiplicativi. A questi si aggiungono gli aggettivi e sostantivi numerativi. Riprendiamo, per questa scheda, la sua suddivisione.

 

Numerali cardinali

«Indicano una quantità numerica precisa e sono invariabili, oltre che nel numero, com'è ovvio, anche nel genere (tranne uno, che ha il femminile una)». (Serianni VI. 2)

Si consiglia di non scrivere i cardinali in cifre all'interno di un testo, tranne che nel caso di dati precisi e usi tecnici o scientifici. Scriviamo quindi in lettere i numeri non troppo lunghi: tre giovanotti, trentatré trentini, mille persone, ti ho chiamato sedici volte.

Quando si sceglie di scrivere un numero in lettere, si ricordi che la grafia prevista è, tranne rare eccezioni, senza spazi: duecentodiecimila e non *duecento dieci mila. È meglio evitare la trascrizione in lettere quando si darebbe origine a una parola molto lunga e complessa; insomma, non creiamo "mostri" come sedicimilaottocentotrentasette, tranne ove espressamente richiesto (assegni, rogiti, ecc., nel qual caso serve come misura anticontraffazione): il criterio che dovrebbe guidarci è principalmente quello della leggibilità e della comprensibilità.

Notiamo che i numerali polisillabici possono elidere la vocale finale se la parola successiva inizia per vocale: Cent'anni di solitudine, a quattr'occhi.

La grafia in lettere di alcuni numeri specifici può dare qualche problema; la versione corretta è verificabile in molti casi sul Dizionario di Ortografia e Pronunzia. Vediamo i dubbi più diffusi.

  • 1: Il numerale cardinale uno, indistinguibile nella grafia e spesso anche negli usi dall'articolo indeterminativo, segue le sue stesse regole di apocope: un gatto, ventun gatti. Viene declinato anche al femminile (vorrei due aranciate e una bottiglia di acqua) e, qualche volta, potremmo trovarlo in questa forma anche posposto: lire una. In passato era normale “femminilizzare” anche i composti di uno, mentre oggi questo è meno comune; ma nel cosiddetto “catalogo di Leporello” (l’aria dal titolo Madamina, il catalogo è questo nel Don Giovanni di Mozart su libretto di Lorenzo Da Ponte [1787], Atto I, Scena V), oltre all'obsoleta consuetudine di scrivere i numeri complessi separatamente (mille e tre) si legge:

Madamina, il catalogo è questo
Delle belle che amò il padron mio;
un catalogo egli è che ho fatt'io;
Osservate, leggete con me.

In Italia seicento e quaranta;
In Almagna duecento e trentuna;
Cento in Francia, in Turchia novantuna;
Ma in Ispagna son già mille e tre.

[…]

 

  • 3: I composti di tre si scrivono più correttamente con l'accento; ventitré, trentatré, centotré, duemilatré.
  • 17: diciassette e non *diciasette, *dieciassette o *diecisette.
  • 18: diciotto e non *dieciotto.
  • 19: diciannove e non *dicianove, *dieciannove o *diecinove.
  • 21: ventuno; molto raramente si può incontrare la forma apostrofata vent'uno.
  • 101: centouno o, ormai abbastanza raro, centuno.
  • 108: centootto, meno bene centotto.
  • 180: centottanta o centoottanta. In generale, l'elisione è poco comune con uno, otto eundici (centoundici e non *centundici) e più frequente con ottanta.
  • 200: duecento, ma in Toscana si incontrano anche dugento (cfr. il famoso Salone de' Dugento in Palazzo Vecchio a Firenze) e la forma popolare duegento (cfr. la risposta su questo argomento precedentemente pubblicata sul nostro sito).
  • 600: seicento, arcaico e non usato secento; saldi invece nell'uso gli aggettivi secentista e secentesco (sebbene anche seicentista e seicentesco siano ben documentati).
  • 1.001: milleuno o mille e uno.
  • 1.100: millecento o mille e cento.
  • 1.300, 1.400, 1.500: nell'uso parlato – e solo in quello parlato – si possono trovare le forme milletré, millequattro, millecinque; Chiaramente è un uso limitato a quel contesto, peraltro scarsamente formale, da evitare in usi formali e nello scritto.
  • 1.800: milleottocento, raro millottocento.
  • 21.000: ventunomila o ventunmila: entrambe le forme vanno bene.

Nei testi si scrive in lettere, praticamente senza eccezioni, il numero zero, che indica l’assenza e che compare anche in espressioni come sparare a zero (derivante dall’espressione tecnica della balistica sparare ad alzo zero ossia con ‘alzo con angolo di 0°, per il tiro ravvicinato’),o zero via zero ‘assolutamente niente’(cfr. Carla Bazzanella, Numeri per parlare: da ‘quattro chiacchiere’ a ‘grazie mille’, Roma-Bari, Laterza, 2012, par. 3.1.1).

Sono, peraltro, molti i numeri cardinali che si impiegano in maniera figurata o in frasi idiomatiche: ne citiamo alcuni dall’appena menzionato volume di Carla Bazzanella (cfr. par. 3.1.2 e segg.).

  • Una quantità esigua si può indicare con l’espressione uno o due, come pure con due da solo (due parole = ‘poche parole’; dammi due spaghetti = ‘dammi pochi spaghetti’), con due o tre (c’erano due o tre conoscenti)o con tre isolatamente (tre cosette).
  • Si spacca il capello in quattro e si parla a quattr’occhi, ma si fanno anche quattro chiacchiere o quattro salti; se mi arrabbio con qualcuno, gliene dico quattro.
  • Se uno perde la testa per un breve momento, gli sono venuti i cinque minuti (sottinteso: di pazzia); si batte il cinque (traduzione dell’inglese gimme five!, con riferimento alle dita della mano); gli alberghi di lusso sono cinque stelle.
  • Mentre il sei è poco usato in espressioni idiomatiche (Bazzanella rammenta solo l’ordinale in avere un sesto senso), il sette compare più spesso: quando ci si sforza si possono sudare sette camicie; qualcuno può avere sette vite come i gatti (per alcuni nove) e se, per qualche motivo, ci siamo trovati a fare un percorso molto più lungo del necessario, abbiamo fatto il giro delle sette chiese.
  • Anche otto è poco diffuso nelle frasi idiomatiche, mentre il nove, a parte le menzionate vite dei gatti, ricorre nella famosa prova del nove.
  • Come dimenticare i quindici minuti di celebrità che toccherebbero a ognuno di noi?
  • E se abbiamo fatto trenta, possiamo fare trentuno!
  • Grazie mille e, se siamo davvero sicuri, non lo siamo al cento per cento, ma addirittura al mille per cento o, perché no, al mille per mille.

Serianni segnala che Boccaccio aveva inventato l'inesistente numerale millanta, oggi non molto usato, ma che ha dato origine al verbo millantare 'vantare infondatamente o esageratamente, ostentare sfacciatamente'. Oggi, del resto, sui social network italiani si possono incontrare invenzioni giocose quali settordici(mila), diciassei o trentordici a indicare numeri molto alti e sempre, chiaramente, in contesti non formali.

Si consiglia, invece, di scrivere i numeri in cifre:

  • se rappresentano un'indicazione specifica (vada allo sportello 3, troviamoci in via Martelli 12, andate tutti a pagina 115; nel capitolo 5…);
  • quando si indica un orario preciso (erano le 13:42), mentre le indicazioni tipo mezzogiorno o le due e mezza (o mezzo) vanno in lettere. Si noti che solitamente, nell'indicare le ore si usano le prime dodici cifre; le cifre da 13 a 24 si impiegano per orari di mezzi di trasporto o di spettacoli.
  • quando si indica una data: il 27 febbraio 2016; il 5 di ogni mese. Per le date, si ricordi che, se il secolo è noto, si possono sopprimere le prime due cifre: la guerra del '15-'18. In questi casi, sarebbe opportuno apostrofare per segnalare le cifre elise. Espressioni come gli anni ’30 (dove l'apostrofo non sarebbe neppure necessario) possono venire trascritte in lettere, preferibilmente con la maiuscola: gli anni Trenta, o gli anni trenta del Novecento. Lo stesso consiglio, quindi, vale anche per la trascrizione dei secoli: l'800 o l'Ottocento (nel caso di indicazioni che riguardano due contigui sono possibili, nello scritto, anche riduzioni del primo, come tra Sette e Ottocento o, negli ordinali, la letteratura otto-novecentesca).
  • quando il numero indica una grandezza specifica: Eva è nata di 3620 grammi; quel palazzo è alto 275 metri.

In alcuni casi, con numeri che richiederebbero cifre molto lunghe, si potranno trovare grafie miste in contesti non eccessivamente formali: 75 milioni, 2 miliardi.

 

Numerali ordinali

«Indicano l'ordine occupato in una serie numerica: primo, secondo, terzo, vigesimoprimo, settantaduesimo, ecc.» (Serianni VI. 4)

Quando sono in cifre, gli ordinali sono spesso rappresentati con i numeri romani: XVII secolo sta per diciassettesimo secolo; il numero romano va senza la "letterina" in apice; se invece scegliamo di usare per l’ordinale le cifre arabe, la letterina in esponente (a oppure °) è obbligatoria: sul 45°parallelo.

In alcuni casi, in particolare con nomi di re o papi o quando si vuole sottolineare una certa sequenza numerica, l'ordinale si pospone: Enrico VIII, Pio IX, nella scena terza dell'atto secondo.

Come nota ancora Serianni, si possono trovare delle grafie miste in contesti non troppo formali, come il 100esimo Congresso.

  • 1: per il giorno iniziale di un mese si usa l'ordinale: il primo ottobre (o il 1° ottobre) è meglio di *l'uno ottobre o *l'1 ottobre; va però notato che quest’ultimo uso, seppure sconsigliabile, è in crescita, almeno nelle date: Roma 1 aprile invece di 1° aprile; si possono incontrare, nei testi e soprattutto nella modulistica, anche grafie numeriche come nato il 01/10/2003. Per i giorni successivi al primo si usa il cardinale: il due marzo, il 7 settembre (prima del numero, nelle date dei testi burocratici, sono spesso presenti l'articolo plurale arcaico li, a volte erroneamente accentato, oppure addì: Roma, li 11 maggio 2013; Firenze, addì 15 giugno 2014).
  • 11: undicesimo o anche undecimo o decimoprimo, questi ultimi quasi esclusivamente nel caso di posposizione a nomi di re e papi. Anche per molti dei numeri successivi esiste una forma secondaria, come diciannovesimo o decimonono (questa notazione è molto usata per indicare i secoli fino all’Ottocento), quarantesimo o quadragesimo; per verificare queste forme, è possibile consultare il DOP all’indirizzo www.dizionario.rai.it
  • 101: centounesimocentunesimo o centesimoprimo.
  • 1001: milleunesimo.

 

Numerali frazionari

«Indicano la parte di un tutto: un mezzo, un terzo, tre ventesimi, otto quinti» (Serianni VI. 5).

È chiaro che, quando si va su numeri precisi e "complessi", conviene usare la notazione in cifre: 27/45 (ventisette quarantacinquesimi) diventa difficile da gestire a parole. Prevarranno, tranne pochi casi, le scritture in numero rispetto a quelle in lettere.

 

Numerali moltiplicativi e sostantivi e aggettivi numerativi

Per finire, abbiamo i numerali moltiplicativi, che «indicano un valore due o più volte superiore a un altro: doppio, triplo, sestuplo ecc.» (Serianni VI. 6) e i sostantivi e aggettivi numerativi, che «derivano da numerali cardinali e ordinali, attraverso vari suffissi (-ina: decina, -enne: trentenne, -ario: novenario, ecc.) e con diversi significati» (Serianni VI. 7). Sul nostro sito è già pubblicata una scheda dedicata a unenne, duenne e treenne.

A questi derivati possiamo aggiungere dozzina ‘insieme di dodici’, termine dalla storia complessa, del quale leggiamo, in Bazzanella 2012 (par. 1.2):

Il sistema a base 12, molto significativo dal punto di vista matematico perché divisibile per 2, 3, 4 e 6, e quindi teoricamente preferibile alla base 10 (numero con soli due divisori, 2 e 5), era usato dai sumeri e dagli assiro-babilonesi per misurare lunghezze, superfici, volumi, dai romani come unità di peso e come moneta (l’asse), dal sistema monetario del Regno Unito fino al passaggio al sistema decimale nel 1971, relativamente allo scellino che valeva 12 pence. Questo sistema è tuttora presente, ad esempio in alcune zone d’Italia, come unità di misura tradizionale (oncia, soldo, pollice, piede, braccio) e ha una persistenza significativa nella frequenza del termine dozzina in varie lingue.

Ovviamente, essendo questi a tutti gli effetti termini della lingua italiana, la consultazione di un dizionario può ragguagliarci sulla corretta grafia della maggior parte dei casi.

 

                                            

[Illustrazione: Sarolta Szulyovszky, Cats, http://saroltaszulyovszky.blogspot.it/2015/09/cats.html]

 

 

A cura di Vera Gheno
Redazione Consulenza Linguistica
Accademia della Crusca

 

 

1 aprile 2016


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