Alcuni lettori ci chiedono notizie intorno a una serie di forme verbali evidentemente correlate, sconfifferare, scompifferare, sconquifferare e sconfinferare: appartengono alla lingua o sono termini dialettali? Che origine hanno?
Molti dei nostri lettori avranno visto il celebre cartone animato La spada nella roccia, nel quale si raccontano le magiche trasformazioni che vedono coinvolti il lavapiatti Semola e il compagno di (s)venture Mago Merlino. Durante una delle tante trasformazioni “pedagogico‑didattiche”, i due mutano le loro sembianze umane ora in pesci, ora in uccelli e ora in scoiattoli. Così, sul ramo di una quercia, ha luogo l’interrogazione su una delle forze attrattive più grandi al mondo: l’amore. Tale interrogazione viene condotta per mezzo di un fantasioso motivetto, di cui di seguito riportiamo un simpatico stralcio:
non c’è logica spiegazione a una tal disturbazione, niente ti disgretola, ti scombuzzola, ti scompiffera, ti rimestola, ti scompisciola, ti scombuzza di più.
Il correttore automatico di Word sottolinea, a buona ragione, in rosso le bizzarre, strane parole: e ciò è normale, in quanto la citazione non è altro che un’enumerazione di voci non codificate nella lingua italiana standard, e perciò non riconosciute nemmeno dai correttori ortografici informatici. Scompifferare, assieme alle altre scompinferare e sconquifferare, non sono altro che varianti di sconfinferare, quest’ultima riuscita a imporsi solo recentemente come forma verbale di riferimento, risalendo nella lingua comune e uscendo da un confine perlopiù riconducibile all’area del dialetto.
Una prima comparsa della voce sconfinferare è testimoniata da un dizionarietto di Enrico Giacovelli sulla lingua degli sketch e delle battute del grande comico e attore partenopeo Totò, intitolato Poi dice che uno non si butta a sinistra! (1994): qui sconfinferare è utilizzato intransitivamente in frase affermativa ed è registrato con il significato di ‘piacere’, seguito dal contesto “Sì, sì, non c’è male: questo stabile mi va, mi sconfìnfera”, tratto da una battuta del film Totò cerca casa del 1949. Non possiamo, però, considerare la data del 1949 come prima attestazione ufficiale della parola. Per quanto l’incontestabile notorietà di Totò possa essere alla base della diffusione della parola nel lessico italiano, l’occorrere sporadicamente in un vocabolarietto relativo alla sola attività dell’attore napoletano non pare un requisito che attesti una già solida diffusione nazionale di sconfinferare.
Infatti i dizionari la registrano con una data d’entrata più recente. Il Dizionario della lingua italiana di Giacomo Devoto e di Gian Carlo Oli (1990) è la prima fonte che registra il verbo, fornendoci la data che segna l’ingresso ufficiale della parola nel lessico italiano: anno 1990. Anche il GRADIT diretto da Tullio De Mauro registra il verbo intransitivo sconfinferare, di ambito colloquiale e scherzoso, con il significato di ‘piacere, andare a genio’ e ne indica l’uso prevalentemente in frasi negative. Inoltre il GRADIT, che è attento alla composizione del lessico e dei suoi molteplici strati, aggiunge la marca d’uso “CO”, da sciogliere sotto l’etichetta di “uso comune”: ciò significa che anche sconfinferare rientra tra i 47.060 lemmi che “sono usati e compresi indipendentemente dalla professione o mestiere che esercitiamo o dalla collocazione regionale e che sono generalmente noti a chiunque abbia un livello mediosuperiore di istruzione”; sempre il GRADIT attesta il 1990 come data d’entrata della voce.
Altra, invece, è la sorte di sconfinferare nel Vocabolario Treccani online e nel Vocabolario dei Sinonimi e Contrari Treccani: nel primo la voce non compare affatto, mentre nel secondo è registrata solo come sinonimo, di registro familiare e di ambito gergale, dei seguenti sostantivi e verbi: garbare, talentare, sfagiolare, grado (aggradare), fagiolo, ispirare, quadrare, genio, suonare, tornare. Al contrario, il Grande Dizionario Italiano dei Sinonimi e Contrari diretto da Tullio De Mauro riporta a lemma sconfinferare, seguito dai suoi sinonimi.
Dal 1990 in poi, le attestazioni lessicografiche di sconfinferare ricorrono senza soluzione di continuità nelle varie edizioni di quasi tutti i dizionari: il cammino della parola è oggi testimoniato dai recentissimi dizionari Zingarelli 2018 [anche 2019] e Devoto-Oli 2018, ma non dal Garzanti 2018: in entrambi è annotato con il senso di ‘andare a genio, riuscire gradito, piacere’, con l’unica differenza per la data di prima attestazione, che viene posticipata di un anno rispetto al 1990, ovvero al 1991. Anche il DISC riporta, per la data d’ingresso della parola, il 1991, segnalando sconfinferare come voce di ambito gergale. Poco importa, però, se siano 27 o 28 gli anni in cui sconfinferare risulta parte integrante del nostro serbatoio linguistico nazionale; ciò che è utile sottolineare e ricordare è che la sua esistenza è testimoniata già prima di questa data convenzionale, come chiaramente ha confermato la battuta cinematografica di Totò poco sopra riportata.
Data la recente acquisizione nel lessico italiano, la presenza e l’utilizzo del verbo sconfinferare, assieme alle sue varianti, è da ricercare quasi sicuramente nella vivacità e nella vitalità lessicale dei dialetti. Per rintracciare una sua possibile provenienza geografica, si sono consultati alcuni dizionari dialettali, dando la precedenza a quelli riguardanti le principali aree geografiche italiane. Da questa generale ricognizione, e con l’esclusione delle aree in cui sconfinferare e varianti non sono presenti, si può affermare che la voce appartenga alla zona centro-italiana, in particolar modo a quella toscana, laziale, umbra, ma è presente anche in area meridionale e in particolare siciliana.
Partendo dall’area toscana, le registrazioni di sconfinferare, spesso nella variante sconfinferà con apocope della sillaba finale -re, riguardano il lucchese, il viareggino, il pisano; il pistoiese e il pratese; l’aretino, l’area di Montepulciano e il senese. Degna di nota è la variante sconfifferare registrata nel Vocabolario maremmano (di Barberini 1994). Dunque, stando a questa prima indagine, la parola sembra essere condivisa da tutta la regione e confermare una sua vitalità nella tradizione toscana.
L’altra area geografica interessata alla nostra indagine è quella del Lazio. Nelle sue Parole nuove (1963), Bruno Migliorini registra la variante confinferare priva del prefisso s- con “valore intensivo rimasto vivo per i verbi” (cfr. Serianni 1989), col significato di ‘voce scherzosa, di origine romanesca: convenire, garbare, calzare (con altre cose)’. Sulla scorta di Migliorini, anche Tullio De Mauro nella sua Storia linguistica dell’Italia unita (19702; consultato nell’ed. del 2011) inserisce confinferare ‘confarsi’ nella lista di parole che determinano il lessico della varietà romana di italiano. Infine, il DOP segnala confinferare come ‘voce scherzosa di origine romana’.
Non ci resta che consultare i maggiori vocabolari del dialetto romanesco e non. Le Voci romanesche (di Belloni/Nilsson-Ehle 1957) registrano confinferà con rimando alla variante sconfinferà; il Dizionario romanesco (di Ravaro 1994), sconfinferà e la variante ssconfinferà, con doppia s iniziale che rappresenta una pronuncia palatale intensa del tipo “scena”, “scimmia”, entrambe con rimando a confinferà; il Vocabolario del dialetto tiburtino (di Sciarretta 2011) solo sconfinferà. Confinferare lo ritroviamo anche negli scritti di un poeta romano “doc” come Giuseppe Gioachino Belli, e più precisamente nel sonetto n. 1206 dell’ed. Lanza (Belli 1965) intitolato Er monnezzaro províbbito, di cui riportiamo i due versi conclusivi: “Questo non me confínfera: arifatelo:/ ch’io nun vojo sentí tante raggione”.
Per l’umbro, vale l’attestazione di sconfinferà nel Glossario dei vocaboli dialettali narnesi (di Leonardi 2012), sempre con il significato di ‘convincere, persuadere, andare a genio, molto spesso in frasi negative’ e nel Vocabolario del dialetto di Tuoro sul Trasimeno (di Batini, Gambini e Lamanna 2016) che registra il solo scunfinferè, utilizzato sia in frase positiva e sia negativa.
Infine, sconfinferare, nella variante dialettale confinferari (num-mi confìnfera, ‘non mi persuade’) è registrato nel Vocabolario Siciliano (di Piccitto e Tropea 1977-2002) come dialettalismo lessicale per ‘non mi garba’ in L’italiano regionale di Sicilia (di Leone 1982).
Un piccolo discorso a parte meritano le varianti formali scompifferare, scompinferare e sconquifferare: di queste non abbiamo nessuna attestazione nei vocabolari italiani, ma assai probabilmente risultano legate a sconfinferare, in seguito a mutamenti fonetici che dipendono dall’espressività della parola e dalla sua mancanza di trasparenza. Infatti, le altre due varianti sono interessate dal fenomeno fonetico della dissimilazione, che consiste nella diversificazione di due suoni simili o, come nel nostro caso, uguali. Date le sillabe di sconfinferare ([sillaba] [/f/+voc+cons] [/f/+voc] [sillaba]), il fonema ‑f‑ che compare nella seconda sillaba muta, per dissimilazione, talora in ‑p‑ ([sillaba] [/p/+voc+cons] [/f/+voc] [sillaba] scompinferare) e talora in ‑ku- ([sillaba] [/ku/+voc.+cons][/f/+voc] [sillaba], sconquifferare); ciò avviene per differenziarsi dalla successiva ‑f‑ iniziale della terza sillaba. Per la variante scompifferare, invece, è più probabile che abbia avuto influenza l’accostamento con il sostantivo piffero, che ha vari usi traslati e metaforici, come nell’esempio “non mi importa un piffero” cioè ‘niente’.
Da ultimo, diamo uno sguardo all’utilizzo delle tre forme nel mare magnum del web: se digitiamo la stringa “sconfinferare” sul motore di ricerca Google, otteniamo 31.800 risultati, cifra assai maggiore rispetto ai 1.160 risultati di “scompifferare”, ai soli 127 di “scompinferare” e agli irrisori 37 di “sconquifferare”.
Riassumendo: il verbo intransitivo sconfinferare, dal suo status linguistico di regionalismo umbro-laziale derivante da confinferare, attestato per la prima volta nel 1963, si estende – oltre che all’area geografica originaria – anche in quella toscana, fino alla sua promozione come viva parte del lessico italiano comune, registrato nei vocabolari a partire dal 1990-91 e tutt’oggi presente.
Nota bibliografica:
A cura di Matteo Mazzone
Redazione Consulenza Linguistica
Accademia della Crusca
26 ottobre 2018
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