Regionalismi e geosinonimi

Maria Elena Minio da Catania chiede quale sia la differenza tra regionalismi e geosinonimi, termini frequentemente usati in riferimento al panorama linguistico italiano.

Risposta

Quando si parla di italiano regionale il primo concetto che opportunamente si introduce è quello di interferenza tra lingue o sistemi linguistici che, per la storia linguistica italiana in particolare, rimanda principalmente alla situazione secolare di coesistenza e complementarità in cui hanno convissuto i molti idiomi locali e la lingua nazionale. Il contatto tra codici diversi, tra i quali l'italiano ha svolto una funzione dominante, ha portato all'italianizzazione dei dialetti attraverso progressivi adeguamenti dei loro tratti locali caratterizzanti sul modello dell'italiano. Le molte descrizioni dell'italiano regionale (che alcuni studiosi hanno proposto recentemente di ridenominare con la dizione di italiano locale, data la nota non corrispondenza tra regioni amministrative e aree linguistiche) ci offrono ormai quadri abbastanza articolati in cui questa varietà, quasi esclusivamente parlata, risulta composita fino a dar luogo a un diasistema in cui si riconoscono più italiani regionali i cui tratti sono di volta in volta condizionati dalla situazione linguistica, dallo strato sociolinguistico di appartenenza del parlante. Proprio per questo continuo intreccio di fattori che contribuiscono a determinare varietà diverse tra loro, anche per l'italiano regionale alcuni studiosi hanno proposto classificazioni che tengono uniti tratti diatopici con tratti diastratici: l'italiano regionale colloquiale che prevede tratti del parlato in usi informali, e l'italiano regionale popolare che si caratterizza per la maggior presenza di tratti linguistici non standard e per essere una varietà sociale tipica di strati sociali bassi, di parlanti semicolti. Abbiamo a disposizione ampi e dettagliati repertori dei tratti intonativi, fonetici, morfosintattici e lessicali che caratterizzano ciascun italiano regionale e proprio queste analisi hanno permesso di distinguere i livelli che maggiormente risentono dell'interferenza dialettale, come l'intonazione, la fonetica, parte del lessico e la fraseologia, rispetto a quelli più conformi all'italiano come la morfologia e la sintassi.

Per quel che riguarda il lessico, che è l'oggetto della nostra riflessione, le interferenze tra italiano e dialetti sono intense in tutte e due le direzioni. Secondo questo duplice movimento, per esempio le parole nuove connesse alle novità tecnologiche e industriali che entrano nei vocabolari dialettali sono, com'è facile immaginare, di provenienza italiana; nella direzione dell'italianizzazione si muovono anche molti termini legati ad ambiti della cultura popolare e materiale che vanno perdendosi, si pensi ad esempio ai nomi delle piante; oppure denominazioni, come quelle degli animali e in particolare dei pesci che, per la sovrapposizione della commercializzazione e dell'informazione, tendono ad assumere la forma più vicina a quella italiana, a rendersi quindi riconoscibili anche al di fuori dei confini d'uso di una determinata varietà locale. D'altra parte i localismi di provenienza dialettale possono riemergere, nel parlato di italofoni che, anche inconsapevolmente, recuperano e talvolta affiancano a forme corrispondenti in lingua, parole appartenenti a un livello di italianità regionale o addirittura di una dialettalità strettamente legata al senso identitario.
Riprendendo una partizione tradizionale (da De Felice 1977, Canepari 1990 e anche da Beccaria nel suo Dizionario di Linguistica), possiamo distinguere tra regionalismi entrati in lingua, come ad esempio gondola, catasto, pizza, ormai panitaliani e accolti nei vocabolari, e regionalismi d'occasione o comunque di circolazione ancora ristretta come ad esempio balcone per 'finestra' in Veneto, schiacciata per 'focaccia' in Toscana e perciò poco riconoscibili dagli italofoni di altre regioni. Uno statuto un po' a parte può essere riservato ai regionalismi semantici, quelle parole cioè che in diverse regioni d'Italia hanno diverso significato rispetto a quello che normalmente veicolano nella lingua standard: tra questi vetrina che in Friuli (ma anche in Toscana) significa 'armadio da cucina', dispensa che in Sicilia è la 'cantina', villa che nell'Italia meridionale indica il 'giardino pubblico'.

I geosinonimi possono essere - se vogliamo semplificare - una sottocategoria dei regionalismi lessicali: ogni geosinonimo può tranquillamente essere considerato un regionalismo, mentre non tutti i regionalismi hanno una serie di sinonimi corrispondenti nelle diverse aree linguistiche italiane.  Ogni geosinonimo si definisce attraverso un confronto areale degli usi di alcune parole a prescindere dalla loro origine e dal loro rapporto con i termini corrispondenti nella lingua standard: parole quindi che servono a indicare lo stesso oggetto, ma che hanno altra forma (come appunto avviene per i sinonimi) a seconda della zona in cui ci si trova. Esempi classici sono le espressioni, diverse nelle varie parti d'Italia, che si usano per 'marinare la scuola': bucare o tagliare in Piemonte, fare sega a Roma, fare forca a Firenze, fare lippe, fare buco, fare filone, bigiare, ecc.; oppure le denominazioni di anguria al nord, cocomero in Toscana e al centro e mellone d'acqua al sud: sono tutte espressioni che hanno una precisa localizzazione e che non sempre trovano corrispondenze in forme dialettali della stessa area. Nell'analisi dei geosinonimi l'aspetto che interessa è quello del confronto di un termine, un'espressione presente in una determinata zona, con sinonimi presenti in altre zone del territorio italiano.
All'interno di ogni coppia o gruppo di geosinonimi è possibile effettuare comparazioni utili a riconoscere, ad esempio, il grado di vitalità di ciascuno di essi o il termine che gode di maggior "prestigio". Si distinguono infatti i geosinonimi vitali dai geosinonimi desueti che possono essere caduti in disuso sia perché si sono abbandonate usanze e attività tradizionali non più redditizie (terminologie proprie, ad esempio, della bachicoltura o della pastorizia), sia perché tra i diversi geosinonimi se n'è imposto uno che è diventato forma interregionale (come lavello rispetto agli altri sinonimi prima citati o prosciuttorispetto al piemontese giambone, calco sul francese). D'altra parte, il maggior prestigio può derivare all'affermazione di uno degli elementi che compongono la serie in aree più estese grazie, ad esempio, ad attività economiche più forti che riescono a imporre un prodotto con un determinato nome che conquista terreno rispetto agli altri sinonimi (si pensi a formaggio rispetto a cacio o a lavello rispetto ad acquaio o lavabo). In alcuni casi poi la serie geosinonimica può essere formata da sinonimi che si differenziano anche a livello sociale (sull'asse quindi diastratico) o a livello stilistico e di registro (sull'asse di variazione diafasico): ad esempio l'aggettivo sazio, non marcato e di diffusione panitaliana, rispetto ai sinonimi abboffato, abbottato, ecc. sarà più probabile in enunciati di parlanti colti in contesti di media e alta formalità.

In generale quindi si parla di geosinonimi, non tanto per indicare una singola forma locale diversa da quella panitaliana, ma quando ci si trovi di fronte a una serie di sinonimi, con una distribuzione geografica differenziata sul territorio, che servono a denominare lo stesso referente.

 

Per approfondimenti:

 

  • G.L. Beccaria, Dizionario di Linguistica, Torino, Einaudi, 2004 (1994).
  • L. Canepari, Teoria e prassi dell'italiano regionale. A proposito del "Profilo della lingua italiana nelle regioni", in M. Cortelazzo e A. Mioni (a cura di), L'italiano regionale. Atti del XVIII Congresso internazionale di studi (Padova-Vicenza, 14-16 settembre 1984), Roma, Bulzoni, 1990, pp. 89-104.
  • M. D'Agostino, Sociolinguistica dell'Italia contemporanea, Bologna, il Mulino, 2007.
  • E. De Felice, Definizione del rango, nazionale e regionale, dei geosinonimi italiani, in AA.VV., Italiano d'oggi. Lingua nazionale e varietà regionali, Trieste, LINT, 1977, pp. 107-18.
  • T. Poggi Salani, Sulla definizione d'italiano regionale, in La lingua italiana in movimento, Firenze, Accademia della Crusca, 1982, pp. 115-134.
  • T. Telmon, Varietà regionali, in Alberto A. Sobrero, Introduzione all'italiano contemporaneo. La variazione e gli usi, Roma-Bari, Laterza, 1993, pp. 93-149.

 

A cura di Raffaella Setti
Redazione Consulenza Linguistica
Accademia della Crusca

 

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15 aprile 2011


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