Repetita iuvant: reiterare, iterare e i loro derivati

Alcuni lettori chiedono l’esatto significato di reiterare, soprattutto in àmbito giuridico; domandano, anche, se esistono in italiano i derivati reiterativo e reiteraggio.

Risposta

Il verbo reiterare vuol dire ‘replicare, ripetere qualcosa che è stato già fatto, almeno una volta; compiere per una seconda volta o più volte, con insistenza’. Nasce dal verbo iterare, che a sua volta ha come accezione principale e generica quella di ‘fare di nuovo, ripetere’, preceduto dal prefisso intensivo re-, usato, di norma, come affisso alternativo a ri- in parole che iniziano con la i- (come in reintegrare, reinventare). Se, di solito, re- indica ripetizione, iterazione, in questo caso ha, tuttavia, perduto il suo valore specifico: reiterare è una variante del più letterario e meno adoperato iterare (così come raddolcire è variante di addolcire), nonostante entrambi i verbi abbiano origine colta dal latino. Non a caso, nella voce dedicata a reiterare il GRADIT rimanda a iterare. Il verbo può essere riferito a istanze, richieste, atti giuridici: pertanto un’espressione come reiterare l’interpellanza è corretta.

Nel settore della derivazione deverbale, da iterare proviene l’aggettivo iterativo, che è attestato nella lessicografia italiana e che ha acquisito, in aggiunta al significato primario ‘che contiene o esprime ripetizione’, accezioni specifiche e settoriali (metrico-musicale, matematica, informatica, linguistica e grammaticale). Al contrario, da reiterare l’aggettivo reiterativo, ben formato dal punto di vista dei processi di formazione delle parole, non è registrato nei dizionari moderni dell’uso (a differenza di quanto avviene nelle lessicografie spagnola e francese per i corrispettivi reiterativo e réitératif), come il GRADIT, lo Zingarelli degli ultimi anni, il Dardano Nuovissimo Dizionario, il DISC di Sabatini e Coletti, il Vocabolario Treccani in rete. Non è documentato neppure in dizionari storici come il GDLI e il TLIO. Assente nelle cinque edizioni del Vocabolario degli Accademici della Crusca, è, però, accolto dal Tommaseo-Bellini assieme ai corradicali reiterabile e reiterazione, mentre risulta estromessa la base reiterare (che non è censita in altri dizionari ottocenteschi, come il Vocabolario militare italiano di Grassi, 1833; il Vocabolario dell’uso toscano di Fanfani, 1863; il Vocabolario metodico italiano di Zanotto, 1855, in cui figura solo all’interno della definizione di Ribeccare: “ripigliare e reiterare le cose dette”).

L’esclusione di una parola da parte dei lessicografi non implica, comunque, che essa non esista negli impieghi linguistici reali. E in effetti reiterativo risulta ampiamente documentato nel corpus di testi raccolti da internet Italian Web 2020. Altri strumenti di consultazione online come KiParla, LIS (Lessico dell’Italiano Scritto), Metamotore (Lessico dell'Italiano Scritto, Televisivo, Radiofonico), MIDIA (Morfologia dell'Italiano in DIAcronia), ONLI (Osservatorio Neologico della Lingua Italiana) non ne restituiscono testimonianze, ma i corpora dell’italiano scritto DiaCORIS (COrpus Diacronico di riferimento dell’italiano scritto), CORIS (COrpus di Riferimento dell'Italiano Scritto) e CODIS (COrpus Dinamico dell'Italiano Scritto) forniscono pochi esempi circoscritti all’àmbito giuridico-amministrativo: “Il canone non è dovuto per le autorizzazioni di cui all’articolo 21 rilasciate per periodi inferiori a trenta giorni e a carattere non reiterativo”; “all’amministrazione rimane preclusa ogni possibilità di emanare un nuovo atto reiterativo”; “divieto di emanare un nuovo atto reiterativo degli stessi vizi per i quali è stato annullato l’atto impugnato”. Tale àmbito è confermato negli esempi che fornisce il portale bab.la e che provengono da fonti esterne.

L’aggettivo è, inoltre, adottato nella saggistica con un certo tasso di tecnicità, come appare da una ricerca lanciata su Google libri. Nella maggioranza dei casi, il lessema ricorre come un calco formale traduttivo di lingue straniere (francese, inglese), tanto nei saggi meno recenti, risalenti agli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso, tanto in quelli pubblicati a partire dagli anni Duemila. Riportiamo qualche esempio:

Il tempo reiterativo, tempo ripetizione o tempo circolare, è quello di Huis-Clos di Sartre (Raymond Picard, Jean-Paul Weber, Polemica sulla NuovaCritica, Milano, Jaca Book, 1966, p. 29);

Il rischio appare, invece, relativo in funzione della possibilità di porre al servizio di altre aziende le proprie capacità professionali (capacità reiterativa) (Pierluca Di Cagno, Il sistema aziendale tra rischio di impresa e rischio economico generale, Bari, Cacucci Editore, 2002, p. 122);

I verbi con significato reiterativo ri- del canto I dell’ Inferno […] costituiscono i ritmici promemoria (Teodolinda Barolini, La “Commedia” senza Dio: Dante e la creazione di una realtà virtuale, Milano, Feltrinelli, 2003, p. 44);

Così chiama questo secondo universalismo reiterativo, distinguendolo da quello onnicomprensivo per la sua attenzione al particolarismo dei popoli e la sua tendenza pluralizzante (Angelo Turco, Marco Maggioli, a cura di, Una lettura geografica di Michael Walzer e delle culture morali del conflitto armato, Milano, Mimesi, 2023, p. 132).

I sostantivi derivati di reiterare sono reiterazione (‘ripetizione di un atto, un gesto, un’operazione; atto ed effetto del reiterare’ e, con senso più tecnico, ‘figura retorica della ripetizione’; secondo il TLIO la prima attestazione risale al 1334, nell’Ottimo Commento della Commedia) e il più antico e letterario reiteramento (‘ripetizione’; il TLIO rinviene la prima attestazione in un volgarizzamento del 1268), ma non reiteraggio. I processi di formazione delle parole, attraverso cui una lingua si arricchisce con elementi già esistenti come le basi lessicali e gli affissi, bloccano spesso la ridondanza e la crescita disordinata dei derivati. I suffissi -zione e -mento figurano in molti nomi d’azione che, per di più, spesso derivano da parole già prefissate (è il caso di reiterare, che, come spiegato, proviene da iterare con l’aggiunta del prefisso re-): -zione seleziona soprattutto basi di origine colta o appartenenti a linguaggi specialistici, -mento basi appartenenti a registri colloquiali. Il suffisso -aggio, la cui produttività è in crescita, seleziona, invece, basi verbali che denotano attività tecniche e professionali o attività connotate negativamente (cfr. Livio Gaeta, in Grossman-Rainer 2004, p. 337).

Nota bibliografica:

  • Pietro Fanfani, Vocabolario dell’uso toscano, Firenze, Barbèra, 1863.
  • Giuseppe Grassi, Vocabolario militare italiano, Torino, Società Tipografica Libraria, 1833.
  • Nuovissimo Dardano: dizionario della lingua italiana, dir. da Maurizio Dardano, Roma, Curcio, (1987).
  • Francesco Selmi (a cura di), Dei Trattati morali di Albertano da Brescia volgarizzamento inedito del 1268, Bologna, Commissione per i testi di lingua-Romagnoli, 1873, pp. 26-40, 58-322.
  • Alessandro Torri (a cura di), L’Ottimo Commento della Commedia, tomo II, Pisa, Capurro, 1828.
  • Francesco Zanotto, Vocabolario metodico italiano, Venezia, Giovambatista Andreola, 1855.

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