Rispondiamo a uno di quelli che sono i quesiti più frequenti…

William M. dalla provincia dell'Aquila, Ignazio D. da Cagliari, Roberto G. dalla provincia di Latina, Paola Angelica L. Da Foggia, Ivan B. da Genova sono solo alcuni tra coloro che ci sottopongono l'uso di "quelle che sono inutili perifrasi" come ironizza Antonio D. da Napoli, cioè l'uso non motivato di quello che è/quelli che sono.

Risposta

Abbiamo ricevuto numerose richieste sul costrutto quello a che è…, quelli e che sono…, a proposito della sua ammissibilità, dell’origine e della diffusione. Accanto a giudizi di valore, per lo più negativi (c’è chi parla di “espressione brutta e pleonastica”, chi di “inutile complicazione”, ecc.), molte richieste sono corredate da indicazioni importanti, relativamente alla presenza del tratto “nel parlato spontaneo, ma di registro non colloquiale”, alla sua emersione a partire dagli anni Ottanta, al fatto che in certi contesti “la soppressione della perifrasi […] priverebbe […] il discorso dell’enfasi […] necessaria”, ecc. La frequenza del costrutto nella lingua di oggi è tale che quello che è si può certamente accostare a varie altre espressioni di moda, dal piuttosto che nel senso di ‘oppure’, al quant’altro, dall’assolutamente no, a vari altri tratti che Ornella Castellani Pollidori ha analizzato definendoli “plastismi” e parlando di “lingua di plastica”.

Formalmente, il costrutto si presenta pienamente regolare, costituito com’è dal pronome dimostrativo quello posto non a inizio di frase, ma dopo un verbo di cui è oggetto, diretto o indiretto, oppure legato con una preposizione (perlopiù di) a un nome – che fa da testa a una relativa introdotta dal che + il verbo essere in funzione di copula seguito da un nome preceduto dall’articolo determinativo. In certi contesti, questa costruzione è totalmente giustificata, come nell’esempio seguente, tratto dal PTLLIN: “L’uomo, specialmente l’uomo civile, è bloccato dentro sé stesso dall'autocoscienza e dalla riflessione, che sono per lui quello che è il carcere a vita per il prigioniero” (Pietro Citati, Tolstoj, 1984). In altri casi, invece, se si legasse il nome direttamente al verbo della principale omettendo quello/a che è o quelli/e che sono, non si perderebbe praticamente nulla sul piano semantico e si guadagnerebbe in concisione: perché allora dire affronteremo quella che è la questione dei mezzi pubblici anziché affronteremo la questione dei mezzi pubblici? Perché parlare delle decisioni di quelli che sono i nostri rappresentanti invece che delle decisioni dei nostri rappresentanti? Come è stato giustamente rilevato, frasi del genere si trovano prevalentemente nel parlato spontaneo di media formalità (interviste, dibattitti televisivi, ecc.) e in effetti si spiegano se si considerano alcuni meccanismi tipici del parlato, anzitutto le strategie con cui il parlante rallenta il “dinamismo comunicativo”: l’inserimento di quello/a che è, quelli/e che sono gli consente di guadagnare secondi preziosi per cercare la parola più adatta da dire. D’altra parte, il sintagma consente anche di dare alla stessa parola un significato meno preciso, ma più ampio e generico. Pertanto, l’espressione da un lato tende ad allargare l’orizzonte semantico, dall’altro può essere accostata ad altri “mitigatori”, come per (cosìdire, come dire?, una specie di, con i quali il parlante prende le distanze dalle proprie affermazioni, rendendole meno perentorie, e quindi meno criticabili. La ridondanza (che è anch’essa, in generale, una caratteristica del parlato più che dello scritto) può anche servire a mettere il rilievo quanto si dirà (sottolineandone, grazie al verbo essere la concretezza) e a suscitare nell’ascoltatore un senso di attesa.

Nei testi scritti, che possono giovarsi di un più lungo tempo di pianificazione (nonché di una rilettura), con conseguente possibilità di ricercare il termine preciso, il costrutto risponde meno alle funzioni appena indicate. E infatti nello scritto l’espressione è molto meno frequente, e comunque viene spesso percepita come ridondante e fastidiosa. Non mancano, per la verità, esempi anche nella prosa letteraria novecentesca (soprattutto all’interno di discorsi diretti), come dimostrano le attestazioni del PTLLIN, dove però il costrutto appare quasi sempre giustificato sul piano semantico e sintattico. Eccone qualche esempio: “Volevo vederli camminare, scorrazzare, scavallare, esprimersi sopra quello che è il loro suolo” (Aldo Palazzeschi, I fratelli Cuccoli, 1948); “-Hanno ancora meno possibilità d’intendersi di due che non fumino? - Due volte meno. Uno si mette ad avere quello che è il fumo, crede che lo avrà in comune con l’altro, crede che gli si avvicina, e invece si accorge che se n’è andato più lontano” (Elio Vittorini, Le donne di Messina, 1949); “Un nipote vostro non doveva sposare la figlia di quelli che sono i vostri nemici e che sempre vi hanno tirato i piedi” (Giuseppe Lanza Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo, 1957; si noti la presenza di una ulteriore relativa, coordinata); “NON È NEANCHE LONTANO QUELLO CHE È IL NOSTRO PENSIERO, LA NOSTRA VITA” (Alberto Arbasino, Anonimo lombardo, 1960); “Ma come non si vuol riconoscere quella che è la verità delle cose?” (Carlo Cassola, La ragazza di Bube, 1960); “Proseguì: Ogni cosa deve essere studiata e inserita per quella che è la sua natura, equesto anche nei programmi economici” (Paolo Volponi, La strada per Roma, 1991); “Ma noi, signori miei, parliamo di queste piccinerie, e non di quella che è la vera novità del giorno!” (Alessandro Barbero, Bella vita e guerre altrui di Mr. Pyle, gentiluomo, 1996).

Ma le attestazioni più numerose, e più significative, si registrano nel parlato: il corpus di testi compresi del LIP ne offre infatti parecchi esempi, tra cui i seguenti (semplifico, qua e là, le trascrizioni): “quel soggetto ha conseguito un determinato reddito a prescindere da quelli che sono i coefficienti” e “noi passiamo direttamente a vedere quelle che sono le foto” (Firenze); “un dibattito politico che preceda poi tutte quelle che sono eh quelli che sono i momenti istituzionali” (si noti l’incertezza nella scelta del genere), “io dico proprio anche in termini di studio eh quelle che sono le cause, non solo le cause ma soprattutto quelli che sono gli scenari che si aprono adesso”, “io vi parlerò tra poco eh a proposito del di quelli che sono i vantaggi della Semeraro” e “ti consente di essere in grado di appunto eh proprio eh seguire […] passo passo quelli che sono appunto i vari contratti di lavoro o comunque gli affari” (Milano, dove si concentrano le occorrenze); “una versione del complotto calunnioso che non risparmia nemmeno quelli che sono i suoi affetti più cari”, “io posso parlare soltanto di quelli che sono i centri di noi medici” e “i dettagli di quelli che sono i personaggi i beniamini buoni o cattivi che vediamo interagire in quelli che sono i film di fantascienza di horror di fantasy negli ultimi anni” (Napoli); “i motivi che hanno portato questo movimento all'occupazione è fondamentalmente far conoscere quelle che sono le migliaia di cose che dicevo prima” e “al di là di quelle che sono le relazioni scientifiche che avrò modo di ascoltare” (Roma).

La più recente segnalazione del costrutto si deve a Roberta Cella (Storia dell’italiano, Bologna, il Mulino, 2015, p. 160). La studiosa considera il tratto un “esempio di cambiamento strutturale in atto” (la locuzione sembrerebbe usata “quasi che il semplice articolo non bastasse più a determinare il nome”) e rileva che questa “innovazione tende a generalizzarsi, a essere cioè utilizzata anche al di fuori del contesto informale in cui è nata (anzi, molti parlanti la sentono più scelta ed elegante”; se davvero riuscisse ad importi, sostituendo l’articolo determinativo in ogni tipo di discorso e in ogni circostanza, ciò comporterebbe un profondo mutamento strutturale dell’italiano”. Vero, ma le ostilità nei confronti del costrutto testimoniate dai tanti quesiti pervenutici sembrano indicare che il processo è ancora all’inizio e non è affatto detto che si completi.

Paolo D’Achille


Integrazione del 14/10/2024:

Aggiungiamo, a integrazione della risposta di Paolo D’Achille, una citazione da un testo pubblicato sul Blogspot di Apollonio Discolo [Nunzio La Fauci] in cui si segnalano due precedenti interventi dello studioso sul costrutto e si riportano due esempi precoci e significativi del costrutto quello a che è…quelli e che sono…:

“Un gruppo di studiosi fascisti docenti nelle Università italiane sotto l’egida del Ministero della Cultura Popolare ha fissato nei seguenti termini quella che è la posizione del Fascismo nei confronti dei problemi della razza” si legge in effetti, come esordio, nel primo fascicolo (agostano) della prima annata (1938) della rivista La difesa della razza. Non serve altro, qui si opina.
Il dato mostra altresì freddamente come lo sviluppo in questione non sia cominciato proprio ieri. [….] Erano stavolta i primi anni Sessanta del secolo scorso: un’epoca di “intellettuali”. Diversamente da oggi, letteratura e cinema, anche per le loro implicazioni politiche e di vita civile, agitavano gli interessi del pubblico di quotidiani e rotocalchi. Nel loro Operazione Gattopardo. Come Visconti trasformò un romanzo di “destra” in un successo di “sinistra” (edizione più recente, Feltrinelli, Milano 2023), Alberto Anile e M. Gabriella Giannice riferiscono appunto di numerose interviste concesse alla stampa da Luchino Visconti nel corso della lunga gestazione del suo film ispirato al romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa [1963].  In una di esse, secondo la citazione di Anile e Giannice il regista si sarebbe espresso così (anche qui il corsivo è aggiunto): “Non conosco ancora l’esatto binario su cui correrà il mio Gattopardo [...]. Il nome mi affascina di per se stesso, come un aroma forte di odori e di sensazioni. Comunque, mi lascerò guidar da quella che è l’improvvisazione del momento, ma quello che ho in mente di trattare a fondo è la non accettazione dell’immobilismo storico del Lampedusa”. (Luchino Visconti, araldo di “quella che è...” , 7/10/2024)


12 gennaio 2016


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