Alcuni lettori chiedono informazioni sul verbo scotolare e, in particolare, se l’espressione scotolare la tovaglia ‘scuotere la tovaglia’ sia da considerare italiana o meno.
I vocabolari dell’uso dell’italiano che registrano il verbo scotolare (DISC, GRADIT, Garzanti 2020, Devoto-Oli 2024, Zingarelli 2025,), lo considerano un termine tecnico-specialistico usato prevalentemente nel lessico settoriale tessile nel significato ‘battere il lino o la canapa per separare le fibre tessili da quelle legnose’ (il GRADIT documenta anche il valore ‘dividere i lembi di una foglia di tabacco dalla sua costola’, assunto dal tipo nel lessico della lavorazione del tabacco: GRADIT, s.vv. scotolare, scotolatura). Come si ricava dalle attestazioni offerte dal GDLI (s.v. scotolare), nell’accezione tessile appena richiamata il verbo occorre per la prima volta sul finire del XV secolo (1482-1515), nel Diario di Tommaso di Silvestro da Orvieto (“L’arte de scuotulare lino”), e risulta poi discretamente attestato nel XVIII secolo, quando lo si rintraccia nelle Note apposte al Malmantile di Lorenzo Lippi da Anton Maria Salvini o da Anton Maria Biscioni (1731), nelle Rime piacevoli (1733) di Giovan Battista Fagiuoli e nel Ragionamento sopra le cause e sopra i rimedi dell’insalubrità d’aria della Valdinievole (1761) di Giovanni Targioni Tozzetti:
Si batte e si scotola il lino per purgarlo dalla lisca. (Il Malmantile racquistato di Perlone Zipoli, colle note di Puccio Lamoni e d’altri, Firenze, Nestenus-Moücke, 1731, p. 784)
Qual brava al linaiuol dà brutti titoli, / se fia che il lino suo ben non le scotoli [...]. (Rime piacevoli di Gio: Battista Fagiuoli fiorentino. Parte quinta, Lucca, Marescandoli, 1733, p. 80)
Non pretendo già di sostenere che il lino e la canapa quando si macerano, quando si asciugano e quando si maciullano, scotolano e pettinano, sieno una droga innocente [...]. (Ragionamento del dottor Giovanni Targioni Tozzetti sopra le cause, e sopra i rimedi dell’insalubrità d'aria della Valdinievole, Firenze, Stamperia imperiale, 1761, vol. II, p. 366)
Manlio Cortelazzo e Paolo Zolli, considerando scotolare nell’accezione appena illustrata, hanno ipotizzato una derivazione del verbo dal sostantivo scòtola, nome con cui si designa la stecca in legno (o in ferro) usata per la battitura del lino o della canapa (DELI, s.v. scòtola). Questa ipotesi sarebbe convincente sul piano semantico, visto che l’oggetto si collega strettamente all’operazione della battitura di lino o canapa. Inoltre, sarebbe convincente anche la successione cronologica delle attestazioni, poiché la parola scòtola (da Giovanni Alessio considerata un deverbale da scuotere modellato sul sostantivo spàtola: Alessio 1967-1968, pp. 432-433) si legge già in un volgarizzamento del Trattato d’agricoltura di Pietro de’ Crescenzi della prima metà del Trecento, quindi oltre un secolo e mezzo prima della prima occorrenza di scotolare nell’accezione tessile ‘battere il lino o la canapa per separarne le fibre’ (cfr. TLIO, s.v. scòtola):
se il tempo sarà umido, con molti panni scaldato [scil. il lino] al fuoco si prepara alla gramola, e con iscotole la mondificazione si compie: poi si pettina, e poi si fila [...]. (Trattato della Agricoltura di Piero de' Crescenzi, ridotto a migliore lezione da Bartolomeo Sorio, 3 voll., Verona, Vicentini-Franchini, 1851-1852, vol. I, p. 274)
Altri studiosi, invece, come da ultimo Alberto Nocentini (e in precedenza anche Alessio: cfr. DEI, s.v. scotolare), hanno avanzato per scotolare un’ipotesi etimologica differente, proponendo per il verbo una derivazione da un latino tardo *excutulāre, iterativo di excutĕre ‘scuotere, far cadere a terra’ (l’Etimologico, s.v. scotolare; si osservi che nel latino tardo è documentato anche scutĕre per excutĕre: Du Cange, VII, p. 380). Rispetto all’ipotesi di una derivazione del verbo da scòtola, questa seconda spiegazione appare preferibile per due motivi complementari. Il primo è che già in latino, nel codice diplomatico del monastero di San Colombano di Bobbio (sec. VI-XIII), si rileva un uso di excutĕre in riferimento specifico al lino (“linum excussum” ‘lino gramolato’: Sella 1937, p. 137); appare plausibile, dunque, che l’accezione tessile di scotolare in italiano possa continuare usi propri già della base della forma latina ricostruita. Il secondo motivo è invece legato alla presenza del tipo scotolare in area italoromanza con significati più generici, assimilabili a quello ‘scuotere, far cadere a terra’ proprio di excutĕre (ThLL, s.v. excutio); in molti dialetti meridionali, infatti, il tipo scotolare vale soprattutto ‘scuotere con forza’ (talvolta ‘bacchiare’), come registrano i dizionari per scutulari in Sicilia (VS), scotulare in Calabria (NDDC), scotulare/scutulare in Salento (VDS), scutəlà in Abruzzo e Molise (DAM), skutəlà in Basilicata (Bigalke) o scutulà a Napoli (D’Ascoli, s.v. scutulià/-là).
È importante sottolineare che anche il significato non settoriale è attestato anticamente in Italoromània. Già tra XIV e XV secolo, infatti, in alcuni volgari meridionali (in aree dove oggi il tipo vale prevalentemente ‘scuotere con forza’) si rintracciano usi del verbo estranei all’accezione tessile. Lo si incontra, infatti, a inizio Trecento (1321-1337) nel Libru di Valeriu Maximu translatatu in vulgar messinisi di Accurso di Cremona, dove vale ‘muovere con forza, far crollare’ (TLIO, s.v. scotolare), ma anche, in un uso figurato che muove sempre da ‘scuotere’, nella cosiddetta Canzona napoletana, un componimento popolare di età angioina circolato oralmente tra fine XIV e inizio XV secolo e poi fissato in forma scritta, in diverse redazioni, intorno al 1470:
Certu in veritati da ritiniri [‘trattenere’] esti con troppu gran studiu [‘zelo’] quillu beni di lu quali la fragili possessiuni scutullata per cussì ligeri suyhu [‘soffio’] di violencia potti tostu [‘rapidamente’] scurriri. (Valeriu Maximu translatatu in vulgar messinisi per Accursu di Cremona, a cura di Francesco A. Ugolini, Palermo, Mori-Centro di studi filologici e linguistici siciliani, 1967, vol. II, p. 228)
Soro mia, tu hay bon tempo / non te poy alamantare [‘lamentare’], / que hay lo marito jovaneto [‘giovinetto’] / que te fay scotolare. (Ora may, que ffora n ço, in Rosario Coluccia, Tradizioni auliche e popolari nella poesia del Regno di Napoli in età angioina, in “Medioevo Romanzo”, II /1975, pp. 44-153: p. 139)
Dai dati appena esposti, dunque, emerge come in molte aree dialettali meridionali il tipo scotolare sia valso in passato e valga ancora oggi perlopiù ‘agitare, scuotere’; in quasi tutte le aree precedentemente citate (ad eccezione di Salento e Basilicata), inoltre, i vocabolari richiamati attestano anche la compresenza, con semantica analoga, del tipo con suffisso iterativo scotoliare (forse più diffuso in tempi recenti in alcune aree, come la napoletana, anche per la maggiore connotazione espressiva). A partire da questi dati, e ricordando che i dialetti parlati in un’area possono condizionare il corrispondente italiano regionale (soprattutto sul piano del lessico), si spiega agevolmente l’uso di scotolare nel significato generico ‘agitare, scuotere’ anche negli italiani regionali di Campania, Basilicata, Molise, Abruzzo, Puglia, Calabria e Sicilia (cfr. Mammana 1997, pp. 141 e 146); più nello specifico, inoltre, quantomeno in Puglia, in Sicilia e a Napoli è documentato con certezza anche il sintagma che ha attirato la curiosità dei nostri lettori, ossia scotolare la tovaglia ‘scuotere con energia la tovaglia per lasciar cadere le briciole’: questo, data la sua ampia diffusione, sarà da considerare sul piano linguistico un “regionalismo meridionale” (Amenta-Castiglione 2003, p. 294 n. 17), così come, ad esempio, calare la pasta (cfr. GRADIT, s.v. calare).
In conclusione, la questione relativa agli usi di scotolare può essere sintetizzata in questo modo: l’uso e il significato settoriale di scotolare, in riferimento alla lavorazione del lino, sono propri dell’italiano, mentre l’accezione generale (usata in particolare in riferimento a tovaglie) è un regionalismo di ampia diffusione nel Sud Italia; quindi, se si usa scotolare (o scotoliare) quando si agita una tovaglia per lasciare cadere le briciole, si fa ricorso a una forma locale (di un dialetto o di un italiano regionale), mentre se lo si fa in riferimento alla battitura di canapa e lino, si ricorre a un’accezione propria di un linguaggio settoriale dell’italiano.
Nota bibliografica:
Salvatore Iacolare
24 marzo 2025
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