Se mi spolgo e non mi spoglio vengo dalla Toscana

Alcuni lettori chiedono informazioni sulla forma toscana mi spolgo per ‘mi spoglio’. Le richieste documentano questo uso, specificamente per la Toscana centro-meridionale, e riguardano il suo statuto, se dialettale o accettabile come grammaticalmente corretto anche in italiano.

Risposta

La forma mi spolgo ‘mi spoglio’ è già attestata nelle Regole per la toscana favella del letterato e grammatico senese Girolamo Gigli (ringrazio l’amico e collega Paolo De Simonis per avermi indicato questa fonte). Gigli, come è noto, fu un sostenitore del senese rispetto al fiorentino nelle discussioni settecentesche sulla norma linguistica, polemizzando con l’Accademia della Crusca fino a esserne espulso. Le sue osservazioni sui dialetti toscani sono preziose per la ricostruzione dei fenomeni fonologici e morfosintattici. Nello specifico, Gigli discute l’alternanza tra forme in -glio e forme in -lgo, concludendo:

Sicché notate che sta la regola addietro accennata, che dovunque al gl segue io, e ia, può anteporsi anche la L al G, come doglio e dolgo, e di più nella seconda persona singolare del futuro desiderativo dicesi dogli, e dolghi. Così vuol dirsi del verbo Coglio, che fa pure colgo; e cogli e colga; e toglio similmente; tuttoché d’altra coniugazione; ma non soglio, né voglio, né spoglio, benché corrottamente si dica mi spolgo. (Gigli 1721, p. 124)

La forma mi spolgo è riportata nella monografia Toscana di Luciano Giannelli. Nel capitolo dedicato al dialetto senese, l’autore osserva quanto segue:

I verbi in /-co/ e /-go/, a livello di senese rustico, si comportano come in fiorentino rustico, (/ˈkreski/ ‘cresci’, /ˈlɛggi/ ‘leggi’ ecc.). Da notare però una maggior frequenza di verbi in /-go/: /spɔlgo/‘spoglio’, /ˈvɔlgo/ ‘voglio’, /ˈpargo/ ‘paio’. (Giannelli 2000, p. 58)

In nota, Giannelli aggiunge alcune osservazioni agli esempi registrati a testo e ne fornisce il paradigma, dove la desinenza della 3a persona plurale è -ano, tipica delle varietà toscane, e manca la 1a plurale, che nell’uso toscano è sostituita dal costrutto si + 3a singolare, come noi si fa.

Rustici e di fatto pregressi, e molto marginale anche in passato /ˈpargo/. La coniugazione: /ˈspɔlgo ˈspɔldʒi ˈspɔldʒe spolˈdʒete ˈspɔlgano/ e anche /ˈspɔʎe/ ‘spoglia’ e /spoˈʎete/ ‘spogliate’; /ˈpargo ˈpargi ˈpare paˈrete ˈpargano/; /ˈvɔlgo vɔi vɔle voˈlete ˈvɔlgano/; raro /vɔlgi/ ‘vuoi’. (Giannelli, cit., ibid.)

Giannelli documenta la persistenza della forma e la inserisce in un paradigma condiviso anche da altri verbi. La definizione di rustica e pregressa associa questa forma ai livelli di dialetto meno sensibili a fattori socio-stilistici, quindi più conservativi e, spesso, residuali. È noto che nei processi di cambiamento linguistico alcune varianti, sentite come antiquate o marginali, restano confinate a usi più limitati, dal punto di vista sociale, ad esempio in aree rurali, demografico, nell’uso degli anziani, e stilistico, in usi meno influenzati dall’italiano, o comunque dalla scolarizzazione.

La sostituzione delle forme etimologiche spoglio, spogliamo, spogliano, con laterale palatale [ʎ] dal latino *spoliare, con spolgo, spolgiamo, spolgano, è il risultato di un meccanismo di estensione analogica per cui certi schemi flessivi si applicano anche a forme inizialmente non collegate, sulla base di corrispondenze formali e di restrizioni semantiche. Nel sistema verbale toscano (e poi italiano), i paradigmi regolari come scelgo scegli sceglie scegliamo scegliete scelgono, colgo cogli coglie cogliamo cogliete colgono, spingo spingi spinge spingiamo spingete spingono, hanno influenzato la morfologia di altri verbi sulla base di parziali somiglianze. In particolare, i verbi con 1a persona sg. e 3a persona pl. etimologiche in -g-, come colgo <*colligere, scelgo < *exeligere, spingo < *expingere, ecc. alternano con un esito palatale quando *l o *n precedevano una vocale anteriore [e i] o una semivocale [j], come in cogliamo, cogliere, scegliamo, scegliere, spingiamo, spingere. Inoltre, alcuni verbi con -ng-o originario presentavano alternanti palatalizzate come piagnamo, piagnere accanto a piangiamo, piangere. Queste corrispondenze sembrano avere favorito nell’antico toscano la reinterpretazione dei paradigmi di dolere, salire e venire, porre, privi di -g- originario, come paradigmi in -g-o/-g-ono (Rohlfs 1968, par. 535), cfr. dolgo/ dolgono, salgo/ salgono, vengo/ vengono, pongo/ pongono. Nelle varietà toscane (/italiane) l’estensione di -g- ha interessato anche 1a/2a/3a sg. e 3a pl. del congiuntivo presente, per cui insieme a vengo/ vengono abbiamo venga (1a/2a/3a sg.), vengano (3a pl.). Le alternanti toscane ponghiamo accanto a poniamo, tolghiamo, annotate in Buommattei (1795, pp. 181, 182), sembrano riflettere una secondaria tendenza al livellamento. Si noti che, per contro, vi sono dialetti italiani nei quali sono conservati gli esiti etimologici, come viaɲu/ vɛnimu/ˈvɛnunu ‘vengo/ veniamo/ vengono’ (Monterosso Calabro, VV). 

Il paradigma con ampliamento -g- è documentato nei testi del XIII-XIV secolo, in alternativa con le formazioni etimologiche. Così, la consultazione del corpus OVI dell’italiano antico mostra che già nel ’200 e nei primi del ’300 le forme in -g- erano diffuse sia nei testi fiorentini che senesi e in generale nei testi toscani o toscanizzati. A titolo d’esempio, nelle opere di Dante compare sia tengo, cap. 15 parr. 7-9, che tegno cap. 12 parr. 1-9, nella Vita Nuova e, similmente, nella Divina Commedia, rimango, Inf. VIII v. 34, e rimagno, Inf. VIII v. 110, vegno, Inf. VIII v. 34, e vegnono, Inf. VII v. 44, accanto a ritenga, Par., X v. 69, e pongon, Par. XXV, v. 89, ecc. (cfr. Spina 2007). Mancano invece attestazioni antiche di spolgo/ spolgono. Quest’ultima forma sembra comunque più recente, riguardando un verbo della prima coniugazione, mentre generalmente questo schema interessa i verbi della seconda classe. Ciò spiega le alternanti spoglie e spogliete, rifatte su quelle in -ere, riportate da Giannelli (2000).

Rohlfs (1968, par. 535) ricorda che l’ampliamento -g- si è affermato nel toscano anche in altri paradigmi: così, sullo schema leggo, leggiamo, leggono, troviamo fuggo, fuggiamo, fuggono, ecc., e alcune forme dell’antica lingua, come seggo/ seggono o veggo/ veggono. Proprio queste ultime forme sono ancora residuali nei dialetti rustici toscani, cioè con condizioni d’uso simili a quelle di spolgo, spolgano. Questo fenomeno si interseca in parte con la diffusione di -k- e -g- come marca di 1a persona sg. (Rohlfs 1968, parr. 535, 536), dovuta all’influenza di forme etimologiche come dico e piango. Troviamo questi ampliamenti in molti dialetti italiani, sia settentrionali, ad esempio nel mantovano a dak ‘(io) do’, a stak ‘(io) sto’ (Revere), sia meridionali, ad esempio nei dialetti abruzzesi, cfr. stɔngo ‘sto’, dɔngo ‘do’, vɛngo ‘vengo’ (Mascioni, AQ), e calabresi, cfr. vigə, vedo’, sungə ‘sono’, krɛgə ‘credo’, accanto a vɛngə ‘vengo’, ecc. (Cerchiara, CS). Fenomeni analoghi emergono anche in altre aree romanze, si veda lo spagnolo vengo, tengo (Pellegrini 1950).

Il paradigma spolgo/ spolgano è definito U-pattern, ‘schema-U’, da Maiden (2016), in quanto caratterizzato dalla corrispondenza fra la 1a sg. e la 3a pl.; inoltre, come osservato, il tema in -g- sussume anche il congiuntivo presente. Secondo Maiden, i processi di riorganizzazione morfologica di questo tipo applicano un “morphomic pattern”, cioè un modello formale non riconducibile a proprietà funzionali. Questa idea sembra implicare che la morfologia è indipendente dal significato, e che quindi può rendere più opaco il legame tra le forme e il loro contenuto, come nel caso in esame, dove l’inserzione di -g- ha l’effetto di differenziare ven-g-o/-ono dalla maggior parte delle altre forme del paradigma. Tuttavia, non si capisce perché le lingue dovrebbero oscurare la loro proprietà essenziale, cioè rendere leggibile il pensiero tramite la relazione tra suoni e significati. Sembra perciò naturale pensare che i fenomeni morfologici implichino una logica profonda, anche se non sempre evidente. È possibile che lo schema in -g- rifletta le diverse proprietà interpretative delle persone. Mentre la 2a sg. e la 1a /2a pl. conservano la flessione specializzata, la 1a sg e la 3a pl. accettano un ridotto suppletivismo (nella radice), suggerendo un diverso legame con il contesto dell’enunciazione. La 3a sg. ha un certo grado di incertezza. Ad esempio, in altri paradigmi, come i perfetti forti, va con 1a sg. e 3a pl., cfr. feci, facesti, fece, facemmo, faceste, fecero.

Alcune domande riguardano la correttezza della forma, sia rispetto all’italiano, sia rispetto al dialetto. Ricordiamo che il termine lingua è ambiguo. Dal punto di vista della teoria linguistica si riferisce a qualsiasi sistema linguistico naturale, che realizza cioè le proprietà essenziali del linguaggio in quanto capacità della nostra mente/ cervello. Spesso, invece, lingua è impiegato per riferirsi a una varietà linguistica definita da uno statuto socio-politico e culturale riconosciuto, sostenuto da strumenti istituzionali e mediatici che fissano una norma, come l’italiano standard. Rispetto alla norma italiana, spolgo non è una forma corretta. Peraltro, la forma spolgo è tutt’altro che una sorta di errore, ma, come abbiamo notato, rientra in un complesso quadro strutturale ben attestato nei dialetti toscani. Poiché i sistemi linguistici che chiamiamo dialetti sono a loro volta “lingue naturali”, per mi spolgo si può porre la questione della grammaticalità. Una forma è grammaticale in quanto è parte della conoscenza linguistica del parlante che la usa e la capisce: nel nostro caso di quel particolare vernacolo che la contiene.

Nota bibliografica:

  • Benedetto Buommattei, Della lingua toscana, Venezia, Giuseppe Orlandelli, 1795 (16431); ediz. a cura di Michele Colombo, Accademia della Crusca, 2007.
  • Luciano Giannelli, Toscana, Pisa, Pacini, 2000.
  • Girolamo Gigli, Regole per la toscana favella, per la più stretta, e larga osservanza in dialogo tra Maestro, e Scolare, Roma, Nella stamperia di Antonio de’ Rossi, 1721.
  • Martin Maiden, The Romance Verb. Morphomic Structure and Diachrony. Oxford, Oxford University Press, 2018.
  • Giovan Battista Pellegrini, Grammatica storica spagnola, Bari, Leonardi da Vinci Editrice, 1950.
  • Rossella Spina, L’evoluzione della coniugazione italoromanza. Uno studio di morfologia naturale, Catania, Ed.it, 2007.

Leonardo Maria Savoia

28 maggio 2025


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