Sono molte le domande dei nostri lettori che ci chiedono quale sia la forma corretta tra reboante e roboante. Alcuni ci domandano anche se esista il verbo re-/roboare e i sostantivi re-/roboanza e re-/roboato.
Già nel 2012 una breve scheda nella sezione Grammatica italiana del portale Treccani rispondeva alla domanda molto frequente su quale sia la forma giusta tra reboante e roboante, indicando molto sinteticamente che, sebbene la forma roboante sia la più diffusa, quella “corretta” è reboante, perché deriva dal latino reboantem, participio presente di reboare ‘risuonare’. In questa scheda cercheremo di aggiungere ulteriori informazioni, nonché di rispondere alle altre domande dei nostri lettori sul verbo e sui sostantivi derivati dalla stessa base etimologica.
Anzitutto, come dicevamo, la forma che deriva direttamente dal latino è reboante, oggi lemmatizzata in tutti i dizionari sincronici dell’italiano e attestata per la prima volta nel 1872 in una scheda dal Tommaseo-Bellini (cfr. DELI; è assente invece nel Vocabolario degli Accademici della Crusca):
Reboante agg. più che part. pass. del lat. reboare. Nel ling. letter. taluno l’adopra per troppo sonoro, non tanto de’ suoni, quanto de’ sensi che eccedono il conveniente nell’amplificazione e ne’ vanti. Facondia, versi reboanti. È voce di biasimo; ma l’orig. bestiale e i clamori politici la faranno diventare tra poco di lode.
Anche le citazioni riportate dal GDLI risalgono all’Ottocento (o a poco prima, come nel caso di Jacopo Vittorelli), sia nel significato di “che risuona con forza, rimbombando ed echeggiando” [1], sia in quello figurato di “che ha tono elevato ma contenuto insignificante (un discorso, uno scritto)”, ossia dallo stile oratorio vuoto e tronfio [2], sia in quello, relativo a persona, “che parla o scrive in tono molto retorico” [3] (con una citazione tratta da Benedetto Croce):
[1] Dei lumi correvano quasi inseguendosi, piccole comete a code fumiganti; un bisbiglio, un sussurro, un canto d’in fondo, echeggiato sotto la volta e ripercosso quasi sformato, reboante, a tratti. (Gian Pietro Lucini [1867-1914], Gian Pietro da Core, Milano, Casa Editrice Galli, 1895, p. 240)
[2] Oh con festosi reboanti carmi / risponder degnamente anch’io potessi / al rovinoso strepito d’armi / e al fiero grandinar de’ colpi stessi. (Jacopo Vittorelli [1749-1835], Il tupè [1772], in Idem, Opere edite e postume, tomo II, Bassano, Tipografia di An. Roberti, 1841, p. 47)
[2] E chi sono costoro che si sollevano in nome dell’offesa morale? Prendeteli a uno a uno, guardate nella loro vita, [...] e poi ditemi se hanno proprio il diritto di compiere questo dovere; se tutte queste reboanti parole delle quali s’empiono la bocca, il dovere, il diritto, il gusto, il bello, il buono, la dignità, il rispetto, non sono per la maggior parte di essi suoni, fiati, accozzamenti di sillabe dei quali sconoscono il senso. (Federico De Roberto [1861-1927], Gli amori, Milano, Casa Editrice Galli, 1898, p. 179)
[3] E pure esso [Agostino Paradisi] e gli altri gracili poeti o rimatori di Modena e Reggio, e i tumidi e reboanti di Parma e Piacenza, qualche tòcco lasciarono e qualche impronta, almeno formale, nel lavoro di trasformazione della lirica. (Giosuè Carducci [1835-1907], Letture del Risorgimento italiano, Bologna, Ditta Nicola Zanichelli, 1896, p. XXIII)
[3] Anche nei dibattiti del parlamento la rettorica non si gravida né si tollerava: qualche brav’uomo, reboante oratore dell’Estrema, finì coll’essere decorato dell’epiteto virgiliano di «Eolo, padre dei venti». (Benedetto Croce [1866-1952], Storia d’Italia dal 1871 al 1915, a cura di Giuseppe Galasso, Milano, Adelphi, 2023 [edizione digitale])
Vista la registrazione del 1872 nel Tommaseo-Bellini e le attestazioni relative prevalentemente al XIX secolo, la parola è senz’altro un latinismo ossia un prestito dal latino adattato alla fono-morfologia italiana (sui latinismi si legga almeno la scheda di Riccardo Gualdo su specimen): deriva, come già detto, dal latino rebŏans -antis, participio presente (con valore attivo) del verbo reboāre ‘risuonare, rimbombare’, un composto iterativo (con il prefisso re-) di boāre ‘strepitare, risuonare’, dal greco con bôan ‘gridare, chiamare a voce alta’ (DELI). Come suggerisce lo stesso DELI, molto probabilmente si tratta di una voce di origine onomatopeica, ossia il cui suono cerca di riprodurre quello del referente stesso: in questo caso sarebbe connesso con il muggito dei buoi (in lat. bōs, bovis, con cui originariamente si indicava sia il maschio castrato che la femmina della razza bovina).
Nonostante la forma etimologica sia quella in re-, le forme prevalenti sono quelle in ro-; basti confrontare il numero di occorrenze di reboante/i e roboante/i in alcuni corpora di italiano scritto per vedere chiaramente che la seconda forma è prevalente rispetto alla prima: nel corpus PTLLIN abbiamo 1 solo esempio di reboante e 3 di roboante; in CORIS (Corpus di Riferimento dell’Italiano Scritto in cui sono inseriti testi di narrativa, prosa accademica, prosa giuridica e stampa) ritroviamo 15 occorrenze di reboante e ben 120 per roboante; in DiaCORIS (il Corpus Diacronico di Riferimento dell’Italiano Scritto) 6 esempi di reboante e 17 di roboante; nel LIS (Lessico dell’Italiano Scritto) reboante ha solo 2 occorrenze, mentre roboante 8; nell’archivio storico della “Repubblica” (che va dal 1984 ai giorni nostri) troviamo 228 attestazioni di reboante e ben 3.594 di roboante mentre in quello del “Corriere della Sera” 813 per reboante e 2.276 per roboante; nell’archivio storico della “Stampa” (dal 1867 al 2005) 1.128 occorrenze per reboante e 2.080 per roboante; la differenza si nota ancor più nel corpus contemporaneo della “Stampa” (dal 2006 ad oggi): 32 occorrenze di reboante e 848 per roboante.
La prevalenza delle forme in ro- rispecchia una tendenza propria dell’italiano, riscontrabile fin dalle origini, ossia la labializzazione della vocale protonica (cioè che precede la della vocale tonica/accentata) davanti a un suono labiale come può essere appunto la /b/ (tecnicamente consonante occlusiva bilabiale sonora). In questo contesto fonologico la labializzazione della vocale consiste nel passaggio da una vocale palatale (/i/ ed /e/) a una labiale ossia pronunciata attraverso l’aiuto delle labbra (/o/ e /u/): nel nostro caso specifico, la consonante labiale (la /b/) influenza l’articolazione della vocale, che passa da /e/ a /o/: reboante > roboante. Possiamo rilevare questo fenomeno in altre parole come domandare da dimandare (a sua volta da demandare) eremita/romito e ribelle/rubello (cfr. Paolo D’Achille, Breve grammatica storica dell’italiano, IV ed., Roma, Carocci, 2019, p. 49; Maurizio Dardano, Nuovo manualetto di linguistica italiana, Bologna, Zanichelli, 2017, p. 224). Come per domandare, domani (da demani > dimani), somigliare (da semegliare > simigliare), anche per roboante, e, come vedremo, per il verbo roboare e i sostantivi roboato e roboanza, le forme con vocale labiale hanno prevalso su quelle con vocale palatale, probabilmente, nel nostro caso, per accentuarne la suggestione fonosimbolica data dall’origine onomatopeica della voce latina e anche per un’assimilazione progressiva alla vocale successiva.
Rispondiamo ora ai nostri lettori che ci chiedono delucidazioni sul verbo da cui deriva il participio presente in questione: il verbo latino reboāre (appartenente alla prima coniugazione ma difettivo perché mancante di molti modi e tempi verbali: reboo, -as, -are) è in effetti passato all’italiano, tant’è che nell’italiano del Seicento troviamo alcune attestazioni di reboare ‘risuonare con forza, rimbombare, echeggiare’ (GDLI), da cui anche ‘tuonare con la voce nel parlare severo’, la cui coniugazione all’indicativo presente potrebbe suonare un po’ cacofonica (ma rispecchia perfettamente la sua origine onomatopeica): io rèboo, tu rèboi, egli rèboa, ecc.:
nel ginnasio reboar s’intese / verbuccio popolar, sordido, osceno / che l’onestà delle sue orecchie offese? (Stefano Vai [1592 - 1650], Per la revoluzione del seminario romano, in Rime di Stefano Vai, rimatore pratese del secolo XVII, Bologna, Presso Gaetano Romagnoli, 1863, p. 45)
Rileviamo altre sporadiche attestazioni nei secoli successivi alla citazione di Vai, come in Bresciani [4], e poi anche tra Otto e Novecento, ad esempio in Capuana [5] (infinito con valore sostantivato) e, nel significato di ‘pronunciare con voce alta e forte’ in Faldella [6] e in Palazzeschi [7]:
[4] Da quel cascare precipitoso, il romore, chiuso fra la stretta chiostra del tempio, esce per la lunga strozza di quella fossa, reboando con quel rombo sonoro e profondo che riesce in un muglio di vento tempestoso (Antonio Bresciani [1798 - 1862], Opere, 17 voll., Roma-Torino, 1865-1869, vol. X (1866), p. 269)
[5] Il marchese di Roccaverdina, con le mani dietro la schiena, sembrava assorto nel contemplare lo spettacolo dei fitti lampi che si accendevano nell’oscurità della serata, seguiti dal quasi non interrotto reboare dei tuoni. (Luigi Capuana [1839-1915], Il Marchese di Roccaverdina, introduzione di Sergio Campailla, Roma, Biblioteca economica Newton, 1998, p. 7 [nella versione PDF consultabile online al sito liberliber.it])
[6] È il programma di Cristo! – reboava l’ingegnere Broca. (Giovanni Faldella [1846-1928], Sant’Isidoro: Commentarii di guerra rustica, Firenze, Vallecchi, 1972, p. 395)
Troviamo anche un esempio in cui re- etimologico è passato a ro-:
[7] Palazzeschi, 1-512: Alla fine parlò, ma che dico parlò, roboò, strascicando le parole smisuratamente [...]. (Aldo Palazzeschi [1885-1974], La piramide, scherzo di cattivo genere e fuor di luogo, Firenze, Vallecchi, 1926, p. 51)
Sembrerebbe che il verbo non abbia trovato largo uso nell’italiano contemporaneo, tant’è che il GDLI lo registra come antico e letterario, il GRADIT come di B[asso] U[so] e non è lemmatizzato in nessun dizionario sincronico (come il Devoto-Oli online, lo Zingarelli 2025, il Sabatini-Coletti e il Vocabolario Treccani online).
Quindi possiamo rispondere ai nostri lettori che il verbo italiano reboare esiste ma risulta ormai desueto e la sua diffusione è rimasta circoscritta all’àmbito letterario.
Un discorso simile si può fare per il sostantivo reboato, derivante dal latino tardo reboātus, anch’esso dal verbo reboāre (DEI), attestato già nel commento al Paradiso (canto XII, vv. 10-21) di Francesco di Bartolo da Buti (c. 1324-1406):
luoghi cavernosi danno reboato a la voce che perquote [sic!] nell’aire vacuo, e l’aire vacuo riperquote [sic!] nell’aire rinchiuso, e così rimbomba la voce. (Commento di Francesco da Buti sopra la «Divina Commedia» di Dante Alighieri, a cura di Crescentino Giannini, 3 voll., Pisa, Nistri, 1858-62, vol. III, p. 361)
Il termine reboato, come il verbo reboare, è registrato solo nel DEI, nel GDLI (come antico e letterario) e nel GRADIT come LE[tterario] con il significato di ‘rimbombo, boato’, mentre non è lemmatizzato in nessuno dei dizionari dell’uso contemporaneo, che registrano invece, naturalmente, la voce boato (da boatus, sostantivo della IV declinazione derivante dal verbo latino boāre, cfr. supra). Google libri ci offre tuttavia alcuni isolati esempi recenti della variante roboato.
Infine il sostantivo reboanza (o, più spesso, roboanza), di cui non abbiamo rilevato alcuna registrazione lessicografica, compare sporadicamente sui quotidiani: nell’archivio della “Repubblica” (1984ss.) roboanza e reboanza hanno ciascuna 2 attestazioni, nell’archivio del “Corriere della Sera” roboanza ne ha 8 e reboanza 4, in quello storico della “Stampa” (dal 1867 al 2006) roboanza 4 e reboanza 9 (di cui solo 3 nella seconda metà del XX secolo). Bisogna precisare che tutte queste occorrenze non sono recentissime: si arrestano alla prima metà degli anni Novanta e le più numerose, nel caso degli archivi storici del “Corriere della Sera” e della “Stampa” risalgono alla fine dell’Ottocento e all’inizio del Novecento. Riportiamo le due attestazioni più datate e le due più recenti, a titolo esemplificativo:
E Roma era lieta di goderne gli onesti frutti, quando si accorse che alla tirannia dei preti, e a volte anche innocua, era sottentrata quella dei Catilina in 24°, padroni della piazza, che colla roboanza delle voci tribunizie di essa padroneggiavano. (Le combriccole radicali in Roma, “Corriere della Sera”, 24/4/1883, p.1)
Fino ad oggi, per spirito di innovazione e per una eccessiva ricerca di elementi esotici, quasi si potesse solo col fragore delle cifre e colla roboanza dei nomi, imporsi negli agoni, dove invece occorre ardire e passione, i [sic] erano trascurati tanti elementi locali, per darsi al grande acquisto. (Come sono stati riordinati i padri per i campionati delle tre maggiori divisioni, “la Stampa”, 14/9/1932, p. 4)
A spargere odor di «reazionarismo» è forse stato il libretto di Luigi Illica, il cui gusto floreale e simbolista riflette l’esotismo in voga all’epoca («Iris» andò in scena la prima volta nel 1899, cinque anni prima della «Butterfly» pucciniana, ambientata sempre in Giappone), ma soprattutto il celebre «Inno al sole», la cui reboanza dette luogo a utilizzazioni retoriche (nel 1960 divenne addirittura sigla delle Olimpiadi romane). (Giuseppina Manin, L’Opera di Roma: «L’Iris di destra? Solo sciocchezze», “Corriere della Sera”, 4/1/1996, p. 25)
Se, scaduti ormai i termini, fosse davvero finito in prescrizione quel diktat di Razza e Civiltà che – pubblicato con littoria roboanza nel numero Maggio-Luglio del 1941, subito dietro un articolo sul Ku-Klux-Klan – comandava i docenti fascisti di smetterla di interrogarsi sulle origini dei Politici Italia, Etruschi compresi? (Sergio Frau, Quei costruttori di torri giunti dall’isola del Mar di Atlante, “la Repubblica”, sez. Cultura, 26/3/2003, p. 50)
Nonostante la parola non sembri avere una larga circolazione, i meccanismi derivativi che l’hanno formata ci permettono di desumerne il significato. Il suffisso -anza (dal lat. -antĭa) concorre a formare sostantivi astratti a partire da sostantivi e aggettivi in -ante (per lo più participi presenti che hanno ormai assunto valore aggettivale), come abbondanza da abbondante (a sua volta dal verbo abbondare), ignoranza da ignorante (da ignorare): dunque re-/roboanza è ben derivato da re-/roboante (da re-/roboare) e ben rende il concetto astratto della condizione/caratteristica di essere reboante (per approfondire si veda Franz Rainer, Il «suffisso» -(z)a, in Grossmann-Rainer 2004, pp. 305-306; si legga anche la risposta di Livio Gaeta sui nomi di qualità derivanti dagli aggettivi in -nte). Attualmente, possiamo rilevare la parola (con netta prevalenza della forma in ro-) in alcuni romanzi recenti [10], nonché nel Manuale di letteratura contemporanea di Casadei e Santagata a proposito dello scrittore Arbasino [9] e in alcuni manuali di retorica forense [8]:
[8] Di fronte a questa pretesa la “classe” forense oggi annaspa faticosamente, dimenandosi fra il «cinismo giudiziario» dei giovani avvocati e praticanti, e la «rinculante sottomissione [...] la roboanza priva di scrupoli» dei numerosi «avvocaticchi e avvocatoni». (Retorica e deontologia forense, a cura di Maurizio Manzin, Paolo Moro, Milano, Giuffrè Editore, 2010, p. 99, la cit. con roboanza è in M. Manzin, L’ordine infranto. Ambiguità e limiti delle narrazioni formali nel diritto dell’età post-moderna, “Tigor: rivista di scienze della comunicazione”, I.1, 2009, pp. 31-41, p. 38)
[9] Ecco allora che il romanzo-saggio e il romanzo-enciclopedia si fondono nella prospettiva di Arbasino, che coniuga il compito di rappresentare la complessità del mondo con un’ironia critiche che impedisce di cadere nella roboanza ottocentesca. (Alberto Casadei, Marco Santagata, Manuale di letteratura contemporanea, Roma-Bari, Laterza, 2014 [edizione digitale])
[10] Quando sono saliti sul ring, Simone ha sentito gli altoparlanti che snocciolavano con reboanza gallica la ricchezza del palmarès di Le Turbo: champiooon de France, champiooon universitaire de France et d’Otremer, champiooon d’Europe... (Antonio Franchini, Quando vi ucciderete, maestro?, Venezia, Marsilio, 2016 [edizione digitale])
In definitiva confrontando alcuni corpora di italiano parlato ci rendiamo conto che l’aggettivo reboante/roboante, e ancor più i sostantivi reboanza/roboanza e reboato/roboato, nonché il verbo reboare/roboare sono utilizzati prevalentemente in testi di italiano altamente sorvegliato. Tutte le parole sono di basso uso, tranne roboante, variante della forma etimologica reboante, che è utilizzata frequentemente nei testi giornalistici.
Miriam Di Carlo
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