Di frequente ci viene chiesto se per il frutto dell'arancio si debba usare la forma maschile o quella femminile; fra gli utenti che più recentemente hanno posto il quesito Paola Fabi da Roma, Fabrizio Di Peppo, dalla provincia di Pistoia e Chiara Vicari da Palermo.
"Arancia, s. f. Il frutto dell'arancio. Più com[unemente] Arancio": così nel Novo vocabolario della lingua italiana secondo l'uso di Firenze pubblicato dal 1870 al 1897, sotto la direzione di G.B. Giorgini e la supervisione del Ministro della Pubblica Istruzione E. Broglio, all'indomani dell'unità d'Italia, del quale fu ispiratore Alessandro Manzoni. Appare significativo che l'opera che si pone come proposta di una lingua unitaria con un modello chiaro e dichiarato fin dal titolo, un punto fermo insomma nella nostra storia linguistica, non possa mostrare in questo caso una soluzione univoca. Rilevante è anche che non si diano indicazioni sulla maggior appropriatezza, se non correttezza, di uno dei due termini, ma ci si esprima solo in termini di frequenza; ancor più rilevante appare questa mancanza di presa di posizione, se si considera che la voce che risulta meno comune è proprio quella "secondo l'uso di Firenze" come rilevato da Gabriella Giacomelli, che in Aree lessicali toscane, scrive: "Il nome del frutto è [...] maschile in tutta la Toscana, fuorché in zona fiorentina e valdarnese"; più recentemente Teresa Poggi Salani ha confermato arancia come caratterizzante le aree urbane di Firenze e Prato, in contrapposizione agli altri centri della regione che preferiscono arancio (T. Poggi Salani, A. Nesi, Prime considerazioni sugli esiti della ricerca MIUR "La lingua delle città").
La voce deriva dall'arabo persiano nāranğ, con caduta della n iniziale ritenuta parte dell'articolo (un *narancio > un arancio) (DELI). Si tratta quindi di un esotismo, come nel caso già trattato di cioccolata / cioccolato, penetrato assai presto nella nostra lingua: il TLIO Tesoro della Lingua Italiana delle Origini ce lo mostra come aggettivo indicante il 'colore tra il rosso e il giallo, come le arance', nella forma rancio, per la prima volta in documenti pratesi del 1247; con valore analogo si trova due volte nella Commedia di Dante (Inferno c. 23.100 e Purgatorio c. 2.9). La prima attestazione di arancio si ha ad indicare il colore nel Libro di varie cose che si disse Zibaldone dell'Andreini del XIV sec. (GDLI), mentre per l'albero da frutto è attestato dal TLIO nella Cronica del fiorentino Paolino Pieri (c.1305); infine per il frutto compare per la prima volta negli Statuti pisani (a.1327). Il primo a far uso della forma femminile sarebbe l'aretino Cenne de la Chitarra, vissuto tra fine del XIII e l'inizio del XIV secolo, seguito dal fiorentino Franco Sacchetti; fuori dalla Toscana sempre nel XIV secolo si trova attestato nel testo veneto della Navigatio Sancti Brendani di autore anonimo nella forma plurale naranzie.
Per i secoli successivi le fonti ci mostrano una notevole oscillazione nella resa delle forme, non solo legata al genere; restano comunque più diffuse le forme maschili sia al nord (per esempio in Sperone Speroni), che al sud (è usato da Tasso), ma anche in autori toscani (il GDLI attesta l'uso nel fiorentino Donato Giannotti, nel senese Pierandrea Mattioli e in Michelangelo Buonarroti il giovane), mentre le varianti femminili sembrano esclusive di autori veneti e fiorentini (la banca dati della BibIt Biblioteca italiana fornisce l'attestazione di Giovanbattista Ramusio, umanista, storico e geografo veneto, mentre il GDLI quella più tarda del fiorentino Carlo Dati). Oltre alle varianti già viste il corpus BibIt testimonia le forme composte pomo aranz(i)o - da parte del medico padovano Michele Savonarola (1384 - 1468), e pomo arancio in Masuccio Salernitano (morto nel 1475), e nella Priapea (1541) del beneventano Nicolò Franco e melarancia quasi esclusivamente in autori toscani (Luca Landucci, il Burchiello, il Bronzino, Pietro Aretino). Queste formazioni non sono infrequenti nella denominazione dei frutti in italiano (si ricordano le coppie analoghe pomo cotogno e mela cotogna, pomo granato e melagrana) e riflettono la diversa diffusione di mela e pomo per 'frutto del melo' nei dialetti della penisola.
Il XVII secolo vede l'azione normalizzatrice del Vocabolario degli Accademici della Crusca: nella prima edizione (1612) il frutto è melarancia, mentre arancia non è attestato; compare invece, accanto a melarancio, la forma arancio, che ricorre però sempre nel sintagma fior d'aranci, mentre melarancio indica chiaramente l'albero; non sono accolte le altre varianti testimoniate, né il sintagma pomo arancio. Nella seconda edizione (1623) le cose non cambiano sostanzialmente e solo nella terza (1691) è introdotto, accanto a melarancia, il lemma arancia; nella quarta Crusca (1729-1738) aumenta considerevolmente l'uso di arancia nell'apparato descrittivo e nella quinta edizione (1863-1923) ci si avvia verso una situazione a due termini, visto che alla voce melarancia si legge "il frutto del melarancio, comunemente Arancia" e parallelamente alla voce melarancio "sorta di agrume, lo stesso che Arancio, come dicesi comunemente"; altra novità rispetto alle edizioni precedenti è che la forma maschile vale sia per l'albero che per il frutto. In effetti negli anni che intercorrono tra le due ultime edizioni del Vocabolario degli Accademici sembra che la norma si orienti verso l'accettazione del doppio valore per arancio, tanto che nella Gramatica ragionata della lingua italiana, (Parma, fratelli Faure, 1771) di Francesco Soave si legge "Ma i nomi degli alberi, e dei frutti [...] terminati in -o sono maschili, e significan l'albero, terminati in -a son femminili, ed esprimono il frutto [...] S'eccettuin fico, arancio, cedro, e pomo, che terminan sempre in -o maschile, e significan tanto l'albero, come il frutto" (Parte I capo III).
Nell'ultima edizione della Crusca siamo alla sostanziale coincidenza con la proposta del Novo vocabolario citata in apertura; resta da delineare il panorama dialettale su cui questo si proponeva di agire. Possiamo avere un'idea di quale fosse la situazione dialettale italiana esaminando la carta dell'AIS relativa alle denominazioni del frutto dell'arancio (v. VII c.1272): a parte i tipi portogallo, diffuso in area nordoccidentale e meridionale, e melangola di area umbro-marchigiana, la gran parte della penisola (parte della Lombardia, Emilia, Toscana non fiorentina, Calabria, Salento, Sicilia e Sardegna), ha la forma maschile (nelle varianti naranzo, arancio, marrancio, arangio), mentre la forma femminile naranza è tipica dell'area nordorientale, melarancia è romagnolo e arancia è di area fiorentina. Se questa, o molto simile a questa, era la situazione su cui si cercava di intervenire nel tentativo di conseguire una lingua nazionale, sarebbe stato difficile non tener conto della quasi totale diffusione della forma maschile: seppure nel Vocabolario italiano della lingua parlata di Giuseppe Rigutini e Pietro Fanfani, "novamente compilato" agli inizi del Novecento (Firenze, Barbèra, [1903?]) sv arancio si legge "si dice anche del Frutto stesso; ma più comunemente Arancia", pochi anni dopo, Giulio Cappuccini nel suo Vocabolario della lingua italiana (Torino, Paravia, 1916 e 1935), alla voce arancia scriveva "Frutto dell'arancio. Ma solo nell'uso toscano; giacché altrove si dice Arancio anche il frutto". L'oscillazione continua a essere registrata da parte dei dizionari più recenti: nel Dizionario della lingua e della civiltà italiana contemporanea, di Emidio De Felice e Aldo Duro (Palermo, Palumbo, 1975), opera esplicitamente in contrasto con la precedente tradizione lessicografica toscanocentrica, troviamo alla voce arancio "La forma femminile arancia, per indicare il frutto, è la più propria e corretta, ma la forma maschile arancio è non solo più comune nell'uso familiare [...], ma anche in usi tecnici, come nei nomi commerciali delle essenze estratte dalla buccia dei frutti (olio essenziale di arancio dolce e di arancio amaro), largamente usate in profumeria, in liquoreria e farmacia". D'altra parte un dizionario "toscanista" come lo ZINGARELLI, che nella X edizione (1970) glossava l'uso di arancio per il frutto come "popolare", nella successiva ristampa della stessa edizione (1971) elimina la glossa; mentre la notazione "nel linguaggio comune" è presente ancora nell'edizione 2008 del Sabatini Coletti e il GRADIT 2007 considera l'uso "improprio", così come il Devoto-Oli, che solo nell'edizione del 1990 lo ha accolto.
Nell'uso attuale, di contro alla grande diffusione di arancio e alla sua legittimazione da parte della lessicografia, permane la sensazione di una maggior correttezza attribuita al femminile: le denominazioni ufficiali del marchio IGP "indicazione geografica protetta" presentano sempre il femminile e operatori del settore e produttori preferiscono usare la denominazione arance di -, nonostante la voce tradizionale delle aree interessate sia quasi sempre maschile. Sempre il femminile compare in locuzioni che hanno a che fare con usi commerciali come succo d'arancia - di uso comune anche in varietà che presentano il maschile come forma corrente, come è sottolineato a proposito della Toscana nel già citato studio di T. Poggi Salani e A. Nesi - o buccia d'arancia, in riferimento alla pubblicizzazione di prodotti cosmetici contro la cellulite (pelle a buccia d'arancia); anche il sintagma scorza d'arancia, usato soprattutto nei ricettari, è sensibilmente più diffuso di scorza d'arancio. Ancora a proposito del settore gastronomico è forse il caso di notare che per le preparazioni all'arancia non sarà da escludere il riecheggiamento del titolo della commedia, tuttora molto rappresentata, L'anatra all'arancia (Le canard à l'orange di M.G. Sauvajon), che in Italia ha avuto anche una versione cinematografica con lo stesso titolo (1975, regia di Luciano Salce); infine vale la pena di ricordare Arancia meccanica, titolo del film di Stanley Kubrick (A Clockwork Orange) del 1971, registrato nei dizionari (ZINGARELLI e GRADIT per esempio) col valore di "manifestazione di crudele vandalismo o di gratuita e feroce violenza di gruppo".
Il femminile è considerato più corretto in quanto l'opposizione di genere è tipica nella nostra lingua, a parte rare eccezioni, per la differenziazione 'albero' vs 'frutto', come già rilevava a fine Ottocento Eugenio Canevazzi: "[arancio] fu usato anche da' classici scrittori per Arancia; ma non è cosa da imitarsi, e chi vuol parlare con proprietà dirà sempre arancio la pianta e arancia il frutto, come diconsi pero, melo, pesco, ecc. gli alberi, e pere, mele, pesche ecc. le frutte dai medesimi prodotte" (Vocabolario di agricoltura, Rocca San Casciano, Cappelli 1892). D'altra parte a favore del maschile c'è che la stessa situazione (un'unica forma maschile per albero e frutto) è tipica della quasi totalità dei nomi degli agrumi (a partire dai più comuni, limone e mandarino, e poi cedro, bergamotto, pompelmo); lo stesso termine agrume la condivide: non sarà un caso che mandarancio è il nome di un nuovo frutto (1950) prodotto da un ibrido tra arancio e mandarino e che pur essendo clementina il frutto dell'altro ibrido ancora più recente (1963) tra mandarino e arancio amaro, esso viene spesso denominato al maschile anche nella stessa Toscana.
Come per altre voci è probabile che la lingua italiana continuerà a prevedere la compresenza delle due forme, con prevalenza del femminile nell'uso scritto e maggior diffusione del maschile nelle varietà regionali parlate di gran parte della penisola.
Per approfondimenti:
A cura di Matilde Paoli
Redazione Consulenza Linguistica
Accademia della Crusca
Piazza delle lingue: La variazione linguistica
5 maggio 2009
Evento di Crusca
Collaborazione di Crusca
Evento esterno
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