Si dice salsiccia o salciccia?

Sono veramente tanti gli utenti che da ogni parte d’Italia, Toscana compresa, ci chiedono se si debba dire salsiccia o salciccia e perché.

Risposta

Si dice salsiccia o salciccia?

Cibo tradizionale e tanto amato, simbolo per eccellenza di abbondanza alimentare e ricchezza, la salsiccia è, quotidianamente, sulla bocca di tutti. Come sostanza, naturalmente, così come parola.
Il suo vorace consumo sulle nostre tavole è stato descritto e “immortalato” nella nostra letteratura ininterrottamente sin dai tempi più antichi, e non è mancato chi, fra il serio e il faceto, ha dedicato a questo insaccato anche interi componimenti, eleggendolo a unico, vero emblema del gusto. Così, ad esempio, Agnolo Firenzuola chiudeva la sua ironica Canzone in lode della salsiccia (metà XVI sec.):

  Canzon, vanne in Fiorenza a que’ poeti,
E palesa i segreti
Della salsiccia, e di’ lor ch’al distretto
Questo cibo d’ogni altro è più perfetto.
(Rime burlesche e satiriche, XXX, vv. 76-79)

La prima attestazione a noi nota del termine, benché nella variante settentrionale sossiça, risale al XIII secolo, in un testo d’area bolognese (Serventese Lambertazzi, “Troppo li costa cara la sossiça / del porco, e la carne arostita, / ch’eli cavòno for de la stalla / a Tibaldello”; cfr. TLIO, s.v. salsiccia). Ma di salsicce, reali o metaforiche, è piena un po’ tutta la nostra letteratura, da Boccaccio (dove il termine salsiccia si trova anche impiegato scherzosamente per indicare l’organo genitale maschile) a Manzoni (“[...] legarli come salsicce, e condurli alla giustizia”, Fermo e Lucia, III, 8). Sicuramente reali erano, invece, quelle cui pensava Pellegrino Artusi mentre scriveva le ricette della sua Scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene (ess. Polenta di farina gialla colle salsicce, n. 232; Salsiccia colle uova, n. 243; Salsiccia coll’uva, n. 244; Pollo colle salsicce, n. 265; ecc.).

E tanto è comune e ampia la disponibilità dell’oggetto (in letteratura ma anche, naturalmente, nella nostra quotidianità) che, come spesso accade, specialmente nella terminologia d’area gastronomica, la voce conosce numerose varianti differenti da regione e regione, al punto da oscurare o mettere in dubbio – come testimoniano le numerose domande dei nostri utenti – la correttezza della forma da considerare normale, cioè salsiccia.
Il quadro delle varianti locali appare piuttosto complesso (cfr. AIS vol. V, c. 599): in Toscana, accanto a salsiccia, concorre in modo consistente anche salciccia (o sarciccia, con un fenomeno di rotacismo), forma che diviene ampiamente predominante nelle altre regioni centrali. Ancora più variegato è il panorama osservabile nel Sud e nelle isole, che spazia da sauciccia, sauziccia o sauzizza di Campania e Puglia, a sazizza, salzizza, sanzizza o altre forme simili in Basilicata, Calabria e Sicilia, fino a saltizza, sattizza o sattizzu in Sardegna. Nelle regioni del Nord, infine, predominano le forme salsisa, salsesa o sasisa in Liguria, Emilia Romagna, Lombardia e Veneto, susisa o susiccia in Piemonte. Difficile trovare salsicce, poi, nelle zone di confine e nella Svizzera italiana, dove si mangiano più che altro luganeghe o luganighe.
Tra le tante varianti segnalate, la più fortunata è decisamente salciccia, autorizzata e nobilitata, del resto, dalla penna di autori come Luigi Pulci, Pietro Aretino, Francesco Berni o Alessandro Tassoni (es. “si riscontrò con Sabatin Brunello / primo inventor de la salciccia fina, / che gli tagliò quella testaccia riccia / con una pestarola da salciccia”, La secchia rapita, I, 31).
Ma salsiccia e salciccia possono essere considerate forme equivalenti? Vediamo cosa dicono i principali strumenti lessicografici. Partendo dai dizionari storici più antichi, si può notare come la voce salciccia sia del tutto assente, ad esempio, nel Vocabolario degli Accademici della Crusca: nella prima così come nella quarta impressione, l’unica forma presente è salsiccia (“Spezie di salame. Carne minutissimamente battutta, e messa con sale, e altri ingredienti, come finocchio, curiandoli, nelle budella del porco. Lat. lucanica: da altri *Isicium, overo *Insicium”, I ed.). La variante salciccia è invece accolta, peraltro senza alcuna particolare controindicazione, nel TOMMASEO-BELLINI, dove si legge: “salsiccia, e salciccia”, con descrizione pressoché identica e attestazioni in letteratura di entrambe le forme. Passando agli strumenti moderni, per il GDLI la forma principale e preferita per indicare il nostro insaccato è salsiccia, mentre salciccia è inserita fra le varianti “antiche e regionali”. Anche nel GRADIT salciccia è identificata come “variante popolare”: il lemma principale, al quale si rimanda, è sempre salsiccia. La stessa restrizione, del resto, compare anche nei dizionari d’uso più comuni, come il Sabatini-Coletti 2006, il Devoto-Oli 2012 o lo ZINGARELLI 2012 (tutti s.v. salsiccia).
La posizione della lessicografia più recente, dunque, è chiara. Nonostante questo, sono molti i parlanti che ricorrono a questa variante, consapevoli o meno della sua “coloritura” popolare. Una semplice ricerca attraverso il motore di ricerca di Google, ad esempio, rivela che la forma salciccia ricorre almeno 200.000 volte (a fronte delle 4.900.000 di salsiccia) e non sempre in contesti in cui è evidente l’intento di abbassare il registro espressivo a un livello colloquiale o comico-ironico. A cosa si deve il successo di questa variante? Sostanzialmente, la forma salciccia viene percepita da molti come più “corretta” semplicemente perché in essa appaiono evidenti e ben distinguibili gli ingredienti principali dell’insaccato: il “sale” e la “ciccia” , cioè la carne. Si tratta, in altri termini, di un “accostamento paraetimologico” quasi automatico e ormai saldamente radicato nell’uso quotidiano.
A ben guardare, tuttavia, l’origine del termine salsiccia ha poco a che fare con la “ciccia”: secondo i principali dizionari etimologici, infatti, la voce deriverebbe dal latino tardo salsicĭa (neutro plurale, non sicuramente attestato), sovrapposizione di salsus e insicĭa ‘polpetta’, composto dalla preposizione in e da un derivato di secāre ‘tagliare’ (cfr. DELI e L’Etimologico, entrambi s.v. salsiccia). L’etimo, dunque, chiarisce e giustifica la presenza della s centrale di salsiccia e, in definitiva, conferma la maggiore correttezza di questa forma.

Merita un’ultima considerazione il già citato ricettario di Pellegrino Artusi: come si è visto, qui l’autore – un non toscano colto, ma sensibile agli usi della piazza – predilige e utilizza esclusivamente la forma salsiccia. Una scelta importante, dal momento che La Scienza in cucina, vero bestseller dell’epoca, riuscì a entrare rapidamente nelle case di moltissime famiglie italiane, da Nord a Sud, diventando non soltanto un punto fermo nella storia della nostra tradizione culinaria, ma anche un riferimento linguistico solido attraverso cui si poté fissare la moderna terminologia gastronomica italiana. Incluso, appunto, l’uso della forma salsiccia.

Concludendo, pur riconoscendo il valore acquisito per le sue attestazioni in letteratura e per la sua potenza, si potrebbe dire, “visiva”, salciccia resta variante popolare e regionalmente connotata, e si consiglia di limitarne l’uso a contesti familiari. In tutti gli altri casi, è senza dubbio preferibile ricorrere alla forma salsiccia.

 

Per approfondimenti:

  • AIS K. Jaberg - J. Jud, Sprach- und Sachatlas Italiens und der Südschweiz, Zofingen, Ringier & Co., 1928-1940
  • G. Frosini, La Scienza degli italiani. Storie di un libro fortunato in Pellegrino Artusi, La Scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene, ristampa anastatica della prima edizione del 1891, Giunti, Firenze 2011 (pp. 11-34)

 

A cura di Barbara Fanini
Redazione Consulenza Linguistica
Accademia della Crusca

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29 giugno 2012


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