Siciliano lamieḍḍa

Un nostro lettore chiede se in siciliano sia “esatto” utilizzare lamieḍḍa, presunto diminutivo di làmia, per indicare la strada che passa sotto una struttura ad arco o a volta, costruzione che in genere mette in comunicazione due abitazioni (e sovrastata o meno da vani abitati), mentre la stradina sottostante collega due vie urbane.

Risposta

Preliminarmente occorre osservare che, quando trattiamo di voci dialettali, è assai difficile stabilire se sia “esatto” o meno utilizzare una certa forma. Le varietà locali non sono in genere standardizzate e, pertanto, non sono (state) sottoposte al cosiddetto processo di codificazione che determina la necessità di operare delle scelte tra forme concorrenti. Per il dialetto, più che stabilire se una forma si possa dire o non si possa dire, si può osservare se essa fa parte o meno dell’uso corrente (o se è conosciuta solo dalle persone più anziane). Questa condizione si accerta consultando le fonti lessicografiche disponibili e arricchendo, eventualmente, il materiale documentario mediante apposite interviste ai parlanti. 

La voce lamieḍḍa sembrerebbe effettivamente un diminutivo della parola dialettale làmia. Quest’ultima esiste anche nell’italiano (per cui si veda, ad esempio, il GRADIT di De Mauro e il Vocabolario Treccani online) dove è giunta attraverso i dialetti del sud Italia. Il termine – che si deve a greco λάμια ‘aperture profonde’ – ha in effetti origine nei dialetti meridionali dove è molto diffuso e ancora oggi assai vitale, come mostra la sua ampia documentazione lessicografica (le attestazioni più antiche della parola si trovano nel Libro de la destructione de Troya, volgarizzamento napoletano trecentesco da Guido delle Colonne, e nel Filocolo di Boccaccio; cfr. http://tlio.ovi.cnr.it/TLIO/).

Naturalmente, nei dialetti meridionali, la voce làmia si riferisce a diversi referenti: in Salento designa ora il ‘tetto a volta’ della casa, ora la ‘terrazza o la loggia sul tetto delle case costruite a volta’,  ora la ‘casa di campagna col tetto a volta’, tipica del paesaggio rurale salentino (cfr. Vocabolario dei Dialetti Salentini-VDS di G. Rohlfs); in Lucania, e in particolare in alcuni centri del versante Jonico, come per esempio Rotondella, essa si riferisce, invece, a una ‘struttura urbanistico-architettonica ad arco, sormontata o meno da vani abitati’, mentre lo spazio sottostante non collega necessariamente due strade.

Per la Sicilia il Vocabolario Siciliano di G. Piccitto, G.  Tropea e S.C. Trovato (d’ora in poi VS) documenta il termine làmia per un centro del messinese (Barcellona Pozzo di Gotto) col valore di ‘solaio’, mentre dal Vocabolario inedito di G. Mangiò Trischitta (XIX-XX sec.) si trae l’accezione ‘volta di un edificio’.  Non è invece documentato il significato di ‘struttura ad arco o a volta, che mette in comunicazione due abitazioni, e sovrastata o meno da vani abitati’ per il quale esistono invece numerosi altri tipi lessicali:

  • ànnatu/ànnitu (a Caltavuturo, in provincia di Palermo, e in alcuni punti agrigentini come Caltabellotta e Burgio): la parola appartiene alla stessa famiglia lessicale di italiano andito.
  • arcova/arcòviu (a Casteltermini e a Niscemi, in provincia di Agrigento e Caltanissetta, rispettivamente): il significato di ambito urbanistico si aggiunge, dunque, a quello registrato in VS ‘parte della camera delimitata da un arco e destinata ad accogliere il letto, nelle case di antica costruzione’;
  • baddadörö (a Nicosia): la voce, appartenente alla stessa famiglia lessicale di italiano ballatoio, è così definita nel Vocabolario nicosiano di S.C. Trovato (in corso di redazione): ‘nell’architettura urbana, vano stradale, in forma di arco, sovrastato da abitazioni, che mette in comunicazione due strade’.
  • bbàgghiu (a Palermo): in Sicilia vale generalmente ‘cortile, specie delle case rustiche’, ma anche ‘ampia casa colonica i cui ambienti interni danno su un cortile’, ‘terrazzo’ (cfr. VS);
  • cannuni/cannuneḍḍṛu (in alcuni punti agrigentini): con un probabile riferimento a canna, materiale usato in passato per le costruzioni in muratura;
  • catòiu (a Bronte, in provincia di Catania): i significati prototipici sono quelli di ‘tugurio, abitazione terranea assai umile’ e ‘magazzino o stalla a pianterreno’ (cfr. Vocabolario Storico-Etimologico del Siciliano-VSES di A. Varvaro);
  • coppo (a Trapani): in Sicilia la parola designa tra l’altro un ‘recipiente di carta avvolta a forma di cono’ o anche il ‘cavo della mano’;
  • dammusu/tammusu (a Gratteri, in provincia di Palermo): i significati più antichi sono quelli di ‘volta curva, arco’ e ‘costruzione, a volte sotterranea, con soffitto a volta curva, usata come deposito e rifugio o carcere’ (cfr. Vocabolario Storico-Etimologico del Siciliano-VSES di A. Varvaro);
  • hanèia/hanea (a Bivona): vedere sotto;
  • patu (a Cammarata e San Giovanni Gemini, nell’agrigentino): la voce sembra richiamare lo spagnolo patio;
  • pirticatu/ purticatu (in diversi centri in provincia Palermo, Caltanissetta, Agrigento);
  • sirràgghiu (a Paceco, in provincia di Trapani): la voce vale genericamente ‘luogo chiuso’ (cfr. VS);
  • stacu (a Isnello, in provincia di Palermo): la parola non è registrata nei repertori dialettali e resta di etimologia ignota.
  • turchettu (in alcuni punti dell’agrigentino): voce di etimologia e schema motivazionale ignoti. 


ànnitu (foto di G. Romana)

Nell’elenco riportato è interessante notare che tra le parole che designano la struttura urbanistico-architettonica in questione si hanno anche catòiu (di origine greca) e dammusu (di origine araba). Potrà essere utile sottolineare che queste due voci presentano diverse accezioni comuni (entrambe significano anche ‘sotterraneo’; ‘stanza a pianterreno’; ‘granaio ricavato tra la volta e il pavimento dell’ambiente sovrastante’); al tempo stesso, esse richiamano etimologicamente il medesimo “motivo”: quello di ‘grotta/caverna/sotterraneo’ come è il caso, appunto di làmia (cfr. Dizionario Etimologico Italiano-DEI, di C. Battisti e C. Alessio).

Ora, poiché in Sicilia la parola làmia non ha mai il significato (che hanno le parole dell’elenco) di ‘costruzione ad arco affiancato o sovrastato da abitazioni’, non è facile stabilire se la parola lamieḍḍa (peraltro non documentata per la Sicilia, ma diffusa nei dialetti salentini e registrata  in VDS, nelle forme lamèḍḍa, lammèḍḍa, limèḍḍa, ramèḍḍa con il solo significato di ‘lama del coltello’) possa essere usata per designare lo spazio sottostante l’arco, cioè il sottopassaggio che mette in comunicazione due strade.

È vero invece che molti dei nomi dell’elenco riportato sopra, mentre designano la caratteristica struttura architettonica comprendente un arco o una volta, possono anche essere usati per indicare genericamente l’arco, oppure lo spazio sotto l’arco, o, ancora, lo spazio sopra l’arco. Avviene, dunque, che in molti casi tali voci abbiano come significato anche quello di ‘solaio’ o ‘terrazzo’ (spazio sovrastante) oppure di ‘corridoio’ o ‘cunicolo’ (spazio sottostante); per converso, in altri casi, l’intera struttura può essere semplicemente chiamata arcu (così ad Alimena, in provincia di Palermo, a Canicattì in provincia di Agrigento, e a Nicosia – centro di parlata galloitalica – dove la parola arcö è sinonimo del già visto baḍḍadörö).
È inoltre interessante considerare che una delle poche parole siciliane che si riferisce inequivocabilmente e univocamente alla struttura architettonica in questione è l’arabismo hanèia (peraltro attestato soltanto a Bivona, centro siciliano in provincia di Agrigento), voce che si deve a arabo ḥaniyyah e che significa, ancora una volta, ‘arco’. Bisogna comunque tenere presente che i diversi nomi di questa struttura, in origine motivati dalla presenza di un elemento ad arco o a volta, oggi possono anche riferirsi a vani stradali non necessariamente in forma di arco.

La situazione appare, dunque, di grande complessità giacché alla ricchezza di forme si accompagna una ricchezza di sfumature semantiche. Tale complessità potrebbe essere esemplarmente riassunta nello schema riportato sotto, dove si mostra, a campione, come tre voci siciliane che apparentemente potrebbero essere viste come sinonimi presentino invece interessanti distinzioni sulla base di minuziose specificità di significati:


Lo schema permette di fare anche qualche considerazione sulle voci possibilmente utilizzate per designare lo spazio sottostante la struttura ad arco. Si è già detto che la voce lamieḍḍa – che il lettore ha segnalato con lo scopo di sapere se sia possibile utilizzarla per designare il sottopassaggio – non è registrata nei vocabolari dialettali. In genere, lo spazio di attraversamento viene indicato ponendo prima del nome l’avverbio ‘sotto’. Così, per esempio, laddove si usa il nome ànnatu, il sottopassaggio verrà detto sutta l’ànnatu, laddove si usa il nome arcu si dirà sutta l’arcu. D’altra parte, se si considera che una parola come ànnatu significa inoltre ‘cunicolo d’accesso’ o ‘corridoio’, non si potrà neanche escludere che usando ànnatu ci si riferisca anche al sottopassaggio oppure che la parola ànnatu sia usata per designare (anche) tale spazio di attraversamento (per converso, l’intera struttura potrà dirsi sutta l’ànnitu o sutta l’arcu). Ma non si potrà neanche escludere che si possa utilizzare la stessa parola in forma diminutiva, come nel caso della parola annateḍḍu. Questa, col suo significato di ‘corridoio’, si “candiderebbe”, in effetti, a essere usata per indicare un sottopassaggio (eventualmente anche laddove l’intera struttura non si chiami ànnatu).

Per sopperire alla carenza di documentazione lessicografica, è stato chiesto ad alcune persone anziane qual è la parola per designare il sottopassaggio: alcuni hanno risposto currituri che vale ‘corridoio’, molti altri vaneḍḍa/vanieḍḍa, che vale anzitutto ‘vicolo, viuzza, spesso cieca, di città o di paese’ (VS). Non è facile stabilire se lamieḍḍa sia il risultato di una reinterpretazione di vanieḍḍa a partire da làmia. È pacifico però che la voce siciliana làmia appartiene comunque alla ampia famiglia di parole semanticamente connesse alla struttura urbanistica-architettonica di cui stiamo trattando, pur non essendo usata per designarla. Pertanto non è possibile escludere che lamieḍḍa possa essere utilizzata o sia (stata) utilizzata per indicare il sottopassaggio. 

Ciò che è certo è il fatto che, allo stato attuale, non esiste documentazione lessicografica o materiale orale raccolto dalla viva voce dei parlanti siciliani che attestino l’uso della parola lamieḍḍa nel significato prefigurato nella richiesta dell’utente.


Roberto Sottile

Piazza delle lingue: La variazione linguistica

26 novembre 2019


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