Alcuni lettori chiedono se il verbo rappresentare possa essere usato nel senso di ‘fare presente’ e quali differenze intercorrano tra i verbi rappresentare, riferire e comunicare.
I verbi rappresentare, riferire e comunicare rientrano tra le 2.000 parole fondamentali del Nuovo vocabolario di base della lingua italiana (De Mauro, Chiari 2016). Come spesso accade con le parole basilari, possono avere più significati e usi.
Il verbo rappresentare deriva dal latino repraesentāre, a sua volta da praesens -ĕntis ‘presente’: il prefisso re- è stato sostituito dal doppio prefisso ra(d-), che nasce dalla fusione dei prefissi r(i)- e a(d)- (cfr. DELI e l’Etimologico s.v. rappresentare). La prima attestazione scritta della voce si trova in uno dei più antichi documenti in volgare dell’Italia centrale, la Formula di confessione umbra, databile al 1065: “sie tu rapp(re)sentatu an(te) c(on)spectu D(e)i” [‘ti presenterai (letteralmente: sii tu presentato) davanti al cospetto di Dio’] (Castellani 1973, p. 102). Oltre ad avere funzione transitiva, il verbo può avere funzione copulativa con il significato di ‘essere, costituire’, come esplicita il dizionario Sabatini-Coletti 2024: “per lui la famiglia rappresenta tutto”. Con valore di verbo transitivo ha molti significati: ‘riprodurre la realtà mediante figure o immagini’ (“il dipinto rappresenta una scena di caccia”); ‘descrivere’ (“Mastro Don Gesualdo rappresenta la società siciliana dell’Ottocento”); ‘simboleggiare’ (“la lupa dantesca rappresenta la cupidigia e l’avarizia”); ‘recitare, mettere in scena’ (“rappresentare una commedia”); ‘operare in nome di altri’ (“rappresentare il popolo in Parlamento”).
Tra i vari significati c’è anche quello di ‘fare presente, esporre, illustrare’, a cui faceva riferimento la domanda di un lettore, che il GRADIT marca come “comune”, il Vocabolario Treccani online come “non comune”, lo Zingarelli 2024 come “raro o letterario”; il Devoto-Oli 2024 non gli attribuisce alcuna marca e quindi implicitamente lo considera proprio della lingua standard. Si tratta di un uso che ricorre frequentemente nel linguaggio burocratico e politico, soprattutto con riferimento a fatti, situazioni o problemi che vengono portati a conoscenza di autorità o organi istituzionali:
Monti ha spiegato: “Nelle prossime ore metterò a punto un quadro ormai ben delineato e domani mattina sarò in grado di rappresentare al capo dello stato le conclusioni di questo lavoro”. (Monti: “Le parti sociali disponibili a sacrifici concreti per bene comune”, Repubblica.it, 15/11/2011)
[…] manifestazioni indette in Puglia, Abruzzo e Campania per rappresentare al governo le esigenze di 18mila docenti assunti con il piano straordinario della riforma. (Bari, Renzi contestato dagli insegnanti: “Noi deportati”, Repubblica.it, 10/9/2016)
In questa accezione il verbo ha importanti attestazioni letterarie; lo troviamo ad esempio nei Promessi Sposi (cap. XXVIII): “già da qualche tempo il tribunale della sanità andava rappresentando a quello della provvisione il pericolo del contagio, che sovrastava alla città”. Il Carducci lo usa in uno scambio epistolare in relazione con una proposizione subordinata (GDLI s.v. rappresentare n. 12): “Dopo le premure fattemi, incombe il debito di rappresentare alla S.V. Ill.ma che ogni idea di modificazione sarebbe sconsiderata e contro le buone tradizioni storiche e artistiche”.
Il verbo riferire deriva per trafila dotta dal latino refĕrre ‘riportare’, formato dal prefisso re- ‘indietro, di nuovo’ e fĕrre ‘portare’ (la voce latina è stata inserita nella coniugazione dei verbi in -ire, com’è accaduto con altri verbi prefissati che hanno alla base il latino fĕrre: conferire, deferire, inferire. Cfr. RIF, s.v. ferre). Il verbo ha come significato primario quello di ‘riportare ad altri quanto è a propria conoscenza’: “a riferire le parole del Pontefice è stata l’agenzia di stampa iraniana” (I. Sca., Il Papa e l’inviato iraniano “Il problema è Netanyahu”, “la Repubblica”, 5/1/2025). I Latini dicevano “Relata refero” [‘Riferisco ciò che mi è stato riferito’]: la frase si usa quando si riportano notizie apprese da altri, delle quali non s’intende assumere la responsabilità (Tosi 1991, n. 64). La prima attestazione menzionata dal GDLI in questo significato risale al XIV secolo (Libro de la destructione de Troya, volgarizzamento napoletano trecentesco da Guido delle Colonne). La forma pronominale riferirsi ‘avere relazione’ è documentata già nel XIII secolo (ante 1292, Bono Giamboni, Il Libro de’ Vizî e delle Virtudi).
Anche il verbo comunicare è una voce dotta, proveniente dal latino communicāre, che ha alla base l’aggettivo commūnis ‘comune’ e significa ‘rendere comune, far partecipi altri di qualcosa’ e quindi ‘far conoscere, far sapere’: “Dopo dodici anni di assenza, Louis, trentenne scrittore di successo, torna a trovare la sua famiglia per comunicare una notizia importante” (Trame, “la Repubblica”, 8/12/2016, sez. Cinema). Nella forma pronominale il verbo significa ‘fare la comunione, ricevere l’eucaristia’ attraverso il valore di ‘prendere parte alla mensa eucaristica’. In questa accezione religiosa è presente all’inizio del XIII secolo nel Ritmo di Sant’Alessio, poemetto di area marchigiana che narra la vita di Alessio, giovane di nobile famiglia che proprio nella notte delle nozze fugge in Oriente per inseguire un suo ideale di povertà e di misticismo (TLIO s. v. comunicare): “et tuttavia se giva orando / et ad Deu se pigitanno, / et senpre gia communicanno” (vv. 251-253) [‘e nondimeno andava pregando e chiedendo pietà a Dio e sempre andava comunicandosi’].
In definitiva, tanto rappresentare quanto comunicare sono sinonimi solo parziali di riferire, che fra i tre è quello in cui il significato di ‘riportare’ e quindi di ‘informare’ è quello centrale.
Nota bibliografica:
Maurizio Trifone
19 settembre 2025
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