A proposito di start-up i lettori ci chiedono lumi sulla grafia (unita o no, con o senza trattino), il genere e l’eventuale buon corrispondente italiano.
Start up o start-up o startup – tutte le grafie sono egualmente attestate nell’uso e nei dizionari, specie le prime due, normali nella lingua d’origine; ma la terza è in italiano in crescita e presumibilmente finirà per imporsi (noi, comunque, usiamo quella unita dal trattino, che per il momento ci sembra preferibile) – è una parola inglese (in uso dal Cinquecento), che come verbo corrisponde all’italiano cominciare, mettersi in moto, e come nome significa ‘avvio, inizio, accensione’.
Oggi start-up individua soprattutto una nuova impresa, tecnologicamente avanzata, che, a partire da un’idea iniziale e piccoli capitali, si mette in cerca di un assetto organizzativo ed economico e di investitori che credano nel suo progetto industriale e finanziario. Più genericamente il nome indica ormai qualsiasi azienda nascente di tipo e obiettivi moderni, una società esordiente, matricola in qualsiasi campo dell’imprenditoria, specie nell’informatica, nei servizi e nella finanza. Nell’inglese dell’economia start-up precede anche, in funzione di aggettivo, company, cioè ‘compagnia, ditta’.
I traducenti sia di start-up come nome (‘impresa, società, azienda esordiente’) sia di company, cui si accompagna come aggettivo, ci dicono dunque che il genere femminile è l’unico che spetta a start-up nel significato oggi prevalente in italiano, come del resto succede per lo più.
C’è però uno start up al maschile, spesso graficamente disgiunto, nel senso di ‘inizio, avviamento’ di qualcosa in campo imprenditoriale ed economico, che può avvenire ovviamente anche dentro un’azienda già consolidata o di tipo tradizionale. È probabile che la parola, ormai attestata dai lessici più recenti, sia entrata in italiano (lo ZINGARELLI ne data la presenza dal 1993) in quest’ultimo significato, che è il più antico registrato nel supplemento 2004 al GDLI. È attestata anche come nome maschile o femminile quando designa un imprenditore o un’imprenditrice agli inizi, ma in questo significato non ha avuto particolare fortuna.
Se nel suo significato maschile la parola è facilmente sostituibile con avviamento, lancio, è più difficile oggi sostituirla nel suo diffuso significato femminile con una parola italiana, perché start-up porta con sé anche un alone di tecnologia informatica avanzata dovuto all’inglese e all’uso della parola nel gergo telematico, dove vale ‘inizializzazione’. In italiano, parole come esordiente, matricola, non parliamo di principiante, hanno valori consolidati che mal si addirebbero al contorno di successo e modernità che l’anglismo porta con sé, pur non avendolo nel suo significato originario, perché lo ha acquisito dall’impiego in economia.
Per altro, il tratto embrionale, incipiente, contenuto nella parola è stato sviluppato da un neologismo semantico abbastanza fortunato negli anni scorsi e a start-up collegato: incubatore d’impresa, un’istituzione dedicata appunto a favorire la nascita delle start-up. I francesi al posto dell’anglismo non adattato usano nouvelle éntreprise e niente proibirebbe di adoperare in italiano nuova (o giovane) impresa. Sarebbe lecita anche neoimpresa e non mi dispiacerebbe. Ma dubito che gli economisti, ghiotti di anglismi come sono, gradiscano e, se non ci provano loro, nessuno riuscirà… nell’impresa di italianizzare le start-up.
28 luglio 2017
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