Spreciso

Tre utenti in tempi diversi ci hanno posto lo stesso quesito: due sono toscani e si domandano se l'aggettivo spreciso può considerarsi corretto in luogo di impreciso; più recentemente Giacomo Patermo, da Caltanissetta, docente di scuola secondaria superiore, propone nuovamente la domanda chiedendosi anche se il fatto che la forma sia attestata in un dizionario UTET (il dizionario citato è probabilmente il GDLI, ma potrebbe essere anche il GRADIT), ma non nei "più comuni dizionari", possa essere sufficiente come garanzia di "correttezza" del termine.

Risposta

Spreciso

Consultando i dizionari di lingua si nota un atteggiamento diverso da parte dei compilatori nei confronti dell'aggettivo spreciso: non lo si trova in nessuna edizione del Sabatini-Coletti, non nel De Felice-Duro, né nel Vocabolario Treccani, mentre è registrato in GRADIT 2000 e 2007, benché glossato come di "basso uso", in Devoto-Oli 2008, in ZINGARELLI 2007 e DOP 2007.
Spreciso è voce ben radicata in Toscana (non è forse un caso se due degli utenti che hanno posto il quesito sono toscani), tanto è vero che alcuni anni fa Gabriella Giacomelli, commentando la mancanza di consapevolezza, da parte degli abitanti della regione, di usare nel parlar familiare qualcosa di diverso dall'italiano standard, raccontava a modo di esempio: «... E una persona di buona cultura mi riferiva con indignazione di essere stata contestata per aver usato spreciso: "Vengono dal sud e vogliono insegnare l'italiano a noi toscani!"» (G. Giacomelli, Italiano e toscano nell'ALT, in L'Accademia della Crusca per Giovanni Nencioni, Firenze, Le lettere 2002, pp. 373-385: 384). La disparità nell'atteggiamento dei lessicografi potrebbe quindi essere annoverata tra i casi, abbastanza consueti, di voci appartenenti al patrimonio toscano che alcuni hanno scelto di inserire "di diritto" nei dizionari, ma che altri non accolgono proprio in quanto regionalismi "marcati".
Ma forse la questione è un po' più complessa, visto che gli stessi dizionari che registrano spreciso nelle edizioni più recenti non lo attestano in quelle anteriori al 1990 (Devoto-Oli lo registra dal 1990, ZINGARELLI a partire dal 1994, DOP solo nel 2007; diverso il caso del GRADIT la cui prima edizione risale al 2000). Oltretutto la voce non sembra attestata in letteratura, con la sola eccezione in un passo de Il partigiano Johnny del piemontese Beppe Fenoglio ("Il fuoco di disturbo fascista era sporadico e spreciso"), opera pubblicata a cura di Lorenzo Mondo nel 1968, dopo la morte dell'autore avvenuta nel 1963; questa è la prima delle due sole testimonianze riportate da GDLI (l'altra è un intervento di T. Bolelli su "La Stampa" di cui parleremo in seguito) ed è la ragione per cui i dizionari che registrano spreciso sono concordi nel datarlo 1963.

 

Che un termine di uso toscano non sia stato registrato dai vocabolari di impronta "toscanista" fin dalle prime edizioni può apparire strano; ma non lo è più se si pensa che spreciso non compare nelle edizioni del Vocabolario degli Accademici della Crusca né nei vocabolari ottocenteschi, ivi compreso il Novo vocabolario secondo l'uso di Firenze. La voce, del resto, non è registrata neanche nei repertori vernacolari di area fiorentina, né in quella sorta di summa della dialettalità toscana che è il Vocabolario dell'uso toscano di Pietro Fanfani (1863), né nelle Giunte e osservazioni apportate a esso da Giuseppe Rigutini (1864). Che un termine come spreciso, del tutto coerente con il sistema dell'italiano (s- iniziale con valore negativo premesso a aggettivi è presente in lingua, per quanto non molto frequentemente: si pensi per esempio a scortese, sgradevole, spiacevole), non appaia nei repertori vernacolari potrebbe essere spiegato con la sensazione di "italianità" che suggerisce; è un fatto però che compaia in alcuni repertori, tutti del secondo Novecento a dire il vero, di area toscana occidentale: nel Vocabolario versiliese di Gilberto Cocci, nel Vocabolario carrarese di Luciano Luciani, in quello di Sarzana, Fosdinovo e Castelnuovo Magra di Giorgio Masetti, in quello di Monte Argentario e Isola del Giglio di Pietro Fanciulli e infine in quello pistoiese di Lidia Gori, Stefania Lucarelli e Gabriella Giacomelli, le cui date di edizione vanno dal 1956 per il primo al 1984 per l'ultimo citato. Inoltre le inchieste dell'Atlante Lessicale Toscano (ALT-Web), databili all'incirca dal 1973 al 1984, pur testimoniando spreciso anche in area centrale, sembrano mostrare maggior radicamento della voce in area occidentale. Si può forse supporre che la toscanità di spreciso non sia riferibile, almeno storicamente, all'area fiorentina, il che potrebbe costituire il motivo dell'assenza nella tradizione lessicografica ottocentesca.

 

Tornando alle attestazioni nei dizionari contemporanei, abbiamo visto che appaiono tutte posteriori al 1990, mentre sappiamo che l'uso della voce da parte di Beppe Fenoglio, che costituisce per il GDLI la legittimazione dell'ingresso in lingua, risale a quasi un trentennio prima. Non è da escludersi che la registrazione nei dizionari sia la conseguenza dell'interesse suscitato da un saggio di Tristano Bolelli, datato 3 aprile 1980, di cui riportiamo una parte: «Ammettiamo che una parola non sia registrata in nessun vocabolario della lingua italiana, neppure nella nuova edizione del Devoto-Oli [probabilmente ed. 1973], ma figuri solo in un vocabolario vernacolare periferico come quello versiliese di Gilberto Cocci, ignoto ai più, e si presenti non solo come molto usata ma di irreprensibile fattura. Tale parola può essere usata senza che l'insegnante adoperi la matita blu o rossa? Nel caso in esame direi assolutamente di sì: si tratta dell'aggettivo spreciso e del sostantivo sprecisione che in Toscana sono usati da un gran numero di anni e che vengono comunemente accettati .
L'obiezione che si può fare è che esistono impreciso e imprecisione ma occorre fare attenzione. Spreciso non ricopre il significato di impreciso ed indica piuttosto, riferito a persone, chi abitualmente non ha la qualità della precisione. Una sarta, per esempio, è sprecisa quando manca di quella lodevole capacità o pratica che consiste nel rifinire con esattezza gli abiti mentre impreciso è di solito usato col significato di "poco chiaro, indefinito, indeterminato". Prendiamo il seguente passo di Carducci: "Io credeva aver a discutere in seno alle commissioni per poi addivenire ad un giudizio generale, e che non può essere monco e impreciso, incerto."
In questo caso non sarebbe giusto spreciso ma se si dice che il tale è spreciso nel lavorare, ci si riferisce ad un lavoro abitualmente raffazzonato, non condotto a regola d'arte. Certo, occorre vedere i contesti e saper usare le due voci che non hanno esattamente lo stesso valore. Solo che impreciso è registrato dai vocabolari, spreciso, no. E qui mi viene in mente Giacomo Leopardi che, giudicando una parola, non registrata dal vocabolario della Crusca, ben formata, efficace ed espressiva, lasciava perdere la Crusca» (T. Bolelli, Parole in piazza. Avventure e disavventure di vocaboli vecchi e nuovi al microscopio del linguista, Longanesi, Milano 1984, p. 27 sg.). In un altro brano di pochi mesi posteriore (22 luglio 1980) lo studioso scrive: "Quando, tempo fa, proposi che nel vocabolario italiano fosse accolto ufficialmente l'aggettivo spreciso non sospettavo che si sarebbe acceso un dibattito..." (Ibid. p. 39) e il dibattito doveva essere stato vivace perché ci ritorna ancora alcuni anni più tardi sulle pagine del quotidiano "La Stampa": "Ho adoperato 'spreciso', che non è riportato da nessun lessico e che con piacere ho visto usato in una prosa di quel fine francesista che fu Carlo Pellegrini". Aggiungiamo qui per inciso che, mentre Tristano Bolelli, bolognese di nascita, si era formato a Pisa e lì aveva insegnato, Carlo Pellegrini, docente a Firenze, era nato a Viareggio, in Versilia. L'intervento su "La Stampa" è datato 7 ottobre 1986; pochissimi anni dopo il termine comincia a essere accolto dai dizionari.

 

Nel primo intervento, accanto alla questione, sempre dibattuta, intorno a quale sia la fonte primaria per la legittimazione dello status di appartenenza alla lingua (rovesciando i termini della questione posta dal professor Patermo), Bolelli poneva un secondo importante tema: quello del rapporto semantico con impreciso. La differenziazione nel significato dei due termini sembra colta, per quanto con qualche lieve distinguo, dai dizionari che riportano spreciso: tutti citano per questo termine il riferimento a lavoro o a esecuzione e la definizione comune sembra poter essere 'non preciso, trascurato'; mentre, per impreciso il valore pare piuttosto 'che non è definito con precisione, vago', 'approssimato, poco dettagliato', 'non esatto'. Bolelli sottolineava anche il riferimento a persona, un tratto non sempre sufficientemente rilevato nei dizionari e che appare invece preponderante nella tradizione toscana parlata: le attestazioni fornite dall'Atlante Lessicale Toscano sopra citato si riferiscono proprio al concetto di 'disordinato' riferito a persona e spreciso vi appare come l'equivalente dei termini trasandato e sciatto, ma anche cialtrone e sciamannone.

 

Resta da superare una sorta di perplessità di fronte a quella scelta apparentemente isolata di Beppe Fenoglio; in realtà spreciso e anche il sostantivo sprecisione (attestato solo in GRADIT), per quanto sporadicamente, circolavano da tempo in ambienti anche colti e non toscani: li si trova per esempio negli Scritti storici e letterarii del vicentino Fedele Lampertico (1882), in una postilla a un lavoro di Giuseppe Malagoli, firmata P.G.G. nell' "Archivio Glottologico Italiano"(17, 1913) del linguista di origine istriana Pier Gabriele Goidanich (il quale però visse in Toscana, ebbe moglie toscana e dichiarò, nella Prefazione alla sua Grammatica italiana ad uso delle scuole del 1918, "d'aver perciò toscana la sua lingua familiare"). Continuano a essere usati negli anni successivi in pubblicazioni sempre di buon livello culturale, in testi di critica d'arte e letteraria: in Nuovi studi di diritto economia e politica del 1934, ne Il libro italiano: rassegna bibliografica generale, pubblicato dal Ministero dell'educazione nazionale nel 1938, nella Rivista di letterature moderne e comparate (1952), in La Rassegna della letteratura italiana (1955 e 1956), in Sele arte (1962), in Critica d'arte (1967 e 1995), e così via. Per questo tipo di testimonianze, che credo abbiano ben poco a che vedere con il parlato tradizionale toscano (oltretutto non fiorentino), ha probabilmente individuato il tramite di diffusione Emidio De Felice il quale, nel Dizionario critico dei sinonimi italiani (1991) alla voce impreciso, imprecisione scrive: "Nel linguaggio o gergo scolastico dei docenti si sono affermate anche le forme spreciso e sprecisione (una versione dall'inglese sprecisa, un tema d'italiano con molte sprecisioni di lingua)". Può darsi che proprio la scuola, o meglio alcuni dei suoi insegnanti, siano stati il veicolo tramite il quale i termini si sono diffusi, in modo frammentario e discontinuo, anche in aree non toscane.

 

Veniamo infine alla delicata questione posta dal professor Patermo: anche se, insieme a Tristano Bolelli, possiamo concordare con Leopardi che, di fronte a una parola "ben formata, efficace ed espressiva" e, aggiungiamo, ben confortata da un uso diffuso, si può "lasciar perdere la Crusca", dobbiamo certamente considerare "corretta" una voce "ben formata ecc." e così egregiamente sostenuta, quando essa viene recepita da alcuni fra i dizionari più prestigiosi; ma se, nonostante tutto ciò, un mezzo potente come la stampa di larga diffusione nazionale non la accoglie - negli anni successivi all'invito di Bolelli né "La Stampa", né "Repubblica", né il "Corriere" attestano spreciso o sprecisione, mentre li si trova in alcuni articoli del "Tirreno" - né lo fa la letteratura contemporanea, è assai difficile che quella voce, benché "corretta", si affermi nella lingua comune. Non certo un errore, quindi, l'impiego di spreciso in riferimento a qualcosa di 'trascurato nell'esecuzione' (e non a qualcosa di 'non sufficientemente dettagliato'), ma forse un uso inatteso in un contesto che richieda un livello di lingua standard.

 

A cura di Matilde Paoli
Redazione Consulenza Linguistica
Accademia della Crusca

 

 

2 aprile 2010


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