Un lettore di Siena ci chiede se il verbo stolzare, che conosce in uso in area senese e aretina, sia una forma italiana o un regionalismo; una domanda simile ci pone un lettore di Roma, a proposito di stólzo particolarmente usato in Toscana e Umbria per indicare uno 'spavento improvviso': è voce dialettale o un arcaismo di lingua?
Le forme stolzare e stolzo, il cui significato più recente si può riassumere in 'sobbalzare, sussultare (per la sorpresa, la paura o altro)' e 'sobbalzo, sussulto improvviso', sono ben conosciute agli studiosi di linguistica, i quali in particolare ne hanno studiato l'origine etimologica: voce longobarda o latina? Derivati dal latino volgare *extollutiāre 'andare al trotto', secondo l'ipotesi di Napoleone Caix, o dal longobardo *stultjan 'camminare con le gambe rigide, a sbalzi', come sostenuto in un primo tempo da Carlo Alberto Mastrelli? O invece si tratta di continuatori del latino tardo astella(m) 'scheggia', come recentemente propone l'Etimologico di Alberto Nocentini?
Proprio a motivo di questo interesse sappiamo che la presunta prima attestazione, risalente ai primi del XIV secolo, si trova in un passo dell'Acerba di Cecco d’Ascoli. Ecco come la riporta Mastrelli (L'origine germanica dell'italiano regionale stolzare, stolzo, Firenze, 1965):
"Perché se l'acqua è fredda, in vetro messa
Opposta al Sole, arde il bianco panno;
Se calda è l'acqua, questo effetto cessa?"
Dico che l'acqua fredda fa repulsa
Di questi raggi che nel vetro danno
Si che lo caldo verso ’l panno stulsa.
(cap. V, vv. 55-60 o come in Mastrelli vv. 3843-8)
Altre antiche attestazioni ci vengono dalle Cronache della città di Perugia dal 1309 al 1491 note come Diario dei Graziani riportate già da Caix (Studi di etimologia italiana e romanza, Firenze, 1878) e da Perugia viene anche un verso, citato da Mastrelli, di Cesare Caporali, nato nel capoluogo umbro nel 1531: "Così gira fortuna e fugge e stolza!"
Per la Toscana abbiamo poi la testimonianza, che tanto peso avrà nei secoli successivi, dal seicentesco Vocabolario di alcune voci aretine, compilato "per ischerzo" da Francesco Redi, in cui troviamo "Stolzare: lo dicono gli Aretini di cosa che scappi di mano o d'altronde con violenza e quasi balzando. Schizzare. Anco a Roma dicono stolzare".
Ancora seicentesche sono le testimonianze di area romana nel Maggio romanesco overo Il palio conquistato poema epicogiocoso nel linguaggio del volgo di Roma di Giovanni Camillo Peresio (1688) e nel Meo Patacca overo Roma in feste ne i Trionfi di Vienna poema giocoso nel linguaggio romanesco di Giuseppe Berneri (1695). Sempre al XVII secolo risale l'attestazione, con diverso significato, nel poema mitologico in dodici canti Endimione (1626) dell'abruzzese Giovanni Argoli.
Già da queste testimonianze possiamo intravedere l'area di diffusione del termine, che possiamo allargare grazie alla testimonianza della Raccolta di voci romane e marchiane, poste per ordine di alfabeto con le toscane corrispondenti (1768) – in cui marchiano vale 'della Marca di Ancona', ovvero marchigiano – di Giuseppe Antonio Compagnoni, dove stolzare e stolzo compaiono per 'sbalzare' e 'sbalzo'.
Per l'inquadramento areale delle forme a partire dal XIX secolo siamo confortati poi dalle molte testimonianze della lessicografia dialettale, per le quali rimandiamo ancora a Mastrelli, che ne tratteggia così il profilo geografico:
... le parole stolzare e stolzo sono ben rappresentate nell'Umbria, nell'Aretino, nel Senese, in particolare nel Grossetano e nel Lazio settentrionale, di modo che il loro confine orientale si mantiene sul crinale dell'Appennino Umbro-Marchigiano con alcune puntate nelle Marche [...].
A settentrione, questa coppia di parole raggiunge tutta la Val Tiberina e il Casentino dilagando così nell'Aretino, senza però spingersi troppo nel Valdarno [...].
Più a occidente viene raggiunta Siena con una linea che pur mantenendosi all'altezza di Arezzo tende a flettere verso il meridione [...] tanto da non arrivare a Volterra, il confine occidentale, passando per Montalcino, arriva nel Grossetano orientale (Monte Amiata e Pitigliano). Infine si riversa nel Lazio nordoccidentale mantenendosi sulla riva destra del Tevere, che, insieme al bacino della Nera costituisce il confine meridionale (p. 231).
I repertori dialettali successivi e le ricerche anche molto recenti confermano sostanzialmente le sue parole. Possiamo quindi dire che si tratta di voci antiche, sicuramente testimoniate in un’area centrale piuttosto vasta, che comprende anche la porzione orientale della Toscana, ma non l'area fiorentina.
Torniamo alla domanda dei lettori: si tratta di voci italiane?
Negli Studi di lingua parlata, un elenco di voci umbre commentate, del senese Antonio Livini, docente dell'Università di Perugia, pubblicati sul Borghini, (anno II, 1864, p. 755) si legge:
STOLZO-STOLZARE. Il chiariss. prof. Luigi Filippo Polidori [marchigiano trasferitosi a Firenze], di cui l'amicizia mi onora, dava per equivalenti di stolzo e stolzare le parole sbalzo e sbalzare e bene a ragione. Ma credo che potrebbero valere scossa, dare una scossa; dicendosi m'ha fatto dare una scossa, uno scrollo . . . per la paura; tale essendo il significato di stolzare, che nell'Umbria adoperasi a esprimere quel sussulto repentino, da cui uno è preso, se all'improvviso appare cosa, onde egli abbia paura.
Le due parole, di cui si tratta, mancano affatto nei Vocabolari; però le si trovano registrate nell'importante lavoro di Pietro Fanfani «VOCABOLARIO DELL' Uso Toscano» come proprie della provincia Aretina. Il che conferma anche un'altra volta, essere l'Umbria rispetto alla lingua, non che al resto, sorella della Toscana, che vi discende gradatamente per la provincia di Arezzo e di Cortona.
Effettivamente le due parole "mancavano affatto nei vocabolari"? Certo non compaiono in nessuna delle prime quattro edizioni del Vocabolario degli Accademici della Crusca né in nessuno dei principali dizionari di lingua ottocenteschi.
Ma le possiamo rintracciare in alcuni antichi dizionari bilingui: nel Tesoro de las tres lenguas, española, francesa y italiana di Girolamo Vittori (1644) troviamo "stolzare, Senes. dicono di cosa che scappi per violenza, improvisamente [sic]di mano, o d'altro che la stringa, eschapper, escapar". Nel Vocabolario italiano-turchesco, compilato dal m. r. p. f. Bernardo da Parigi [...] Tradotto dal francese nell'italiano con la fatica dal p. f. Pietro d'Abbavilla (1665) si scrive: "Stolzare, quando una cosa scappa per violenza improvisamente [sic] di mano, ò d'altra cosa, che lo [sic] stringa". Credo sia facile notare in entrambi i casi la somiglianza della descrizione con quella data dal Redi nel suo Vocabolario aretino.
Nel secolo successivo troviamo stolzare nel Dictionaire Italien et François [...] di Giovanni Veneroni (1729): "Stolzare, écheper de la main par force, ou violance, sauter comme les sauterelle. Item. bondir La fortuna stolza, la fortune varie, change, échappe" la cui prima parte di nuovo riecheggia la definizione del Redi e l'esempio relativo alla fortuna ricorda il verso di Cesare Caporali.
Nello stesso Ottocento troviamo stolzare e stolzo nel Grand Dictionnaire Français-Italien Composé Sur Les Dictionnaires De L'Académie De France Et De La Crusca [...] Nouvelle Édition Notablement Corrigée, Ameliorée Et Augmentée, di Francesco d'Alberti di Villanuova (1828), benché siano definite voci aretine e vi sia esplicito rimando al Redi (non erano invece presenti nell'edizione 1788). Le voci appaiono anche nel Dizionario delle lingue italiana ed inglese, di Giuseppe Baretti (ottava edizione del 1831): “Stolzare v. n. to slip from, to escape from. Stólzo, s. m. slipping, escaping from” (assenti nell'edizione 1787).
Si possono trovare anche in alcuni vocabolari dialettali come “traduzione” di lingua (toscana): nel Vocabolario bresciano-italiano, di Giovanni Battista Melchiori (1817) alla voce Biœscà, equiparata agli italiani Sdrucciolare. Smucciare. Scivolare , troviamo l’espressione “Biœscà vergot fœra de ma” con l’equivalente Stolzare e la descrizione “Dicesi di cosa che scappi di mano o d'altronde con violenza e quasi balzando” che è identica a quella del Redi. Un po’ diversa la spiegazione che troviamo nel Vocabolario parmigiano-italiano [...] accresciuto di più che cinquanta mila voci, di Carlo Malaspina (1859) per l’espressione “SICUT IN CÈLO, Stolzò. Dicesi tra scherz. e iron. quando un oggetto fragile ci scappa di mano, dà in terra e va in cocci”.
Evidentemente alcuni trovavano il verbo, e il sostantivo, particolarmente perspicui, mentre altri negavano loro l’accesso alla lingua in quanto voci non fiorentine: Filippo Ugolini nel suo Vocabolario di parole e modi errati che sono comunemente in uso (1855) scriveva: “STOLZARE dicesi di cosa che scappi di mano, o d'altronde, con violenza e quasi balzando: l'Alberti la trasse dal Vocabolario aretino del Redi; e qui si nota, perché odesi tutto dì dal popolo metaurense”. Voci “errate” sì, ma “comunemente in uso”, come recita il titolo, almeno in qualche luogo della penisola.
L’Ottocento ci appare quindi ancora sospeso tra accoglimento e censura delle voci, censura che pare accolta nel secolo successivo visto che nessuno dei dizionari che abbiamo consultato le riporta.
E oggi? Oggi la maggior parte dei vocabolari ignora sia il sostantivo che il verbo, mentre li registrano lo ZINGARELLI 2003 (2002) e il Vocabolario Treccani online, così come il GARZANTI online e il GRADIT, che ne danno una limitazione di area: stolzare e stolzo sono glossati come toscani in GARZANTI, GRADIT e Vocabolario Treccani; in ZINGARELLI alla glossa "[di area] centrale" si aggiunge la restrizione all’ambito letterario. Il motivo per cui queste opere registrano in particolare il verbo stolzare è l'uso che ne fa Luigi Pirandello, da tutti indistintamente citato. Sempre Pirandello è l'unico autore novecentesco riportato nel GDLI, che in aggiunta menziona per il verbo soltanto il Vocabolario aretino del Redi e il già ricordato Argoli, e per il sostantivo le Novelle popolari senesi (1879) di Ciro Marzocchi, il Vocabolario senese del Cagliaritano e il citato Maggio romanesco del Peresio. Inoltre se testiamo il corpus della LIZ (per le forme stolzo o stolzare o stolza o stolzò) l’unico risultato sono le testimonianze pirandelliane, mentre quello di BiBit Biblioteca italiana non dà alcuna occorrenza; se anche allarghiamo la ricerca al corpus di Google libri, il XIX secolo presenta solo attestazioni in opere lessicografiche o in studi di interesse linguistico.
Il passo pirandelliano citato dal GDLI è dalla novella Pubertà (Novelle per un anno): "Tutt'a un tratto, Mr Walston si sentì intronare le orecchie da un grido e, sollevando gli occhi dal libro, vide stolzare la sua alunna, come se qualche cosa le fosse passata per le carni all'improvviso". Il GRADIT riporta, senza citazione, il titolo della novella Cinci anch’essa in Novelle per un anno (“A un tratto, tutt'assorto com'è, chi sa che gli passa per le carni, stolza, e istintivamente alza la mano a un orecchio. Una risatina stride da sotto la muriccia”). ZINGARELLI riporta invece un breve passo – “Rocco stolzò alla voce e si voltò” – dal romanzo L’esclusa (1901); GARZANTI e il Vocabolario Treccani online citano lo stesso frammento – “come se un brivido gli passasse per le carni, stolzò e subito si mise a piangere” – da Sedile sotto un vecchio cipresso, di nuovo una novella. In realtà Pirandello usa il verbo almeno altre due volte, ancora in due novelle: Guardando una stampa (“Il Rosso, scendendo, si volta a guardarlo, per un'idea che gli balena: strappa uno dei papaveri che avvampano al sole, lì sul ciglio, e va a ficcarne il gambo amaro in bocca ad Alfreduccio che subito stolza, facendo boccacce e sputando”) e Un cavallo nella luna (“Nino, fosse per il sangue rimescolato, fosse per il dispetto acerrimo, o fosse per la corsa e per il sudore, si sentì all'improvviso abbrezzare, stolzò e si mise a battere i denti, con un tremore strano di tutto il corpo”).
Ma perché lo scrittore siciliano, che negli stessi passi usa abbrezzare ("Patir freddo per la brezza [...] abbrividire" registrato nella V edizione del Vocabolario degli Accademici della Crusca) e muriccia (che compare già nella prima edizione dello stesso Vocabolario), usa un termine "ripudiato" dalla lessicografia? A quanto pare Pirandello trovava il verbo stolzare, che doveva aver ben presente nell’uso romano e laziale data la sua lunga permanenza nella capitale, particolarmente efficace. Inoltre si può forse azzardare l’ipotesi che Pirandello trovasse in stolzare l’equivalente del siciliano agrigentino arrisantari (la voce mi è stata suggerita da Luca Lo Re, studioso siciliano, a cui va il mio ringraziamento), che significa appunto ‘sobbalzare (dalla paura)’, come evidente in questo passo da Fatti e fattazzi, commedia di Pino Giambrone autore contemporaneo di teatro dialettale: "Anninè, chi ti successi u papà? Anninedda - Mi pungivu lu itu. ’Stu sceccu mi fici scantari e mi fici arrisantari". Pirandello quindi avrebbe potuto operare una scelta consapevole (come si sa, il percorso di studi dello scrittore fu specificamente linguistico e dialettologico in particolare): una voce non fiorentina, ma ben attestata in area toscana e centrale, che andava a coincidere semanticamente con una voce siciliana.
Per quanto consapevole, quella dell'autore agrigentino resta una scelta isolata che non sembra aver avuto seguito: da un sondaggio su Google libri limitato al nostro secolo risultano pochissimi i testi in cui compaiono stolzo e stolzare e quasi sempre sono di autori legati all'area della diffusione delle voci a livello tradizionale. Ai nostri due lettori possiamo quindi rispondere che si tratta di localismi legati all'area centrale della penisola.
A cura di Matilde Paoli
Redazione Consulenza Linguistica
Accademia della Crusca
Nota di aggiornamento:
È stata pubblicata la scheda del TLIO relativa al lemma stolzare.
Piazza delle lingue: La variazione linguistica
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