Strinto o stretto? Due forme per il participio passato di stringere

Alcuni lettori ci chiedono chiarimenti sulla forma del participio passato del verbo stringere, in particolare desiderano conoscere l’origine della forma strinto.

Risposta

Accanto alla forma stretto – la più diffusa – è possibile imbattersi in una forma meno usata del participio passato del verbo stringere, che è strinto. La forma largamente più in uso, stretto, può essere definita panitaliana, in quanto distribuita in modo omogeneo in tutte le aree linguistiche del paese. Così come gran parte dei participi passati in italiano, anche stretto può assumere sia la funzione aggettivale – con il significato di ‘premuto, serrato fortemente’ o ‘di dimensioni ridotte rispetto alla larghezza’ – sia funzione sostantivale con il significato più frequente di ‘braccio di mare di larghezza non rilevante o di estensione molto variabile’ (stretto di Messina, stretto di Gibilterra) o genericamente con il significato di ‘passaggio molto angusto’.

La forma strinto è registrata dai principali dizionari di lingua italiana (GRADIT, Zingarelli 2022, Devoto-Oli 2022 e Vocabolario Treccani online) come regionalismo toscano. Lo Zingarelli riporta strinto come forma popolare toscana del verbo stringere per il quale “in tutta la coniugazione arcaica si ha la variante gn quando la g è palatale” (per esempio strignere invece di stringere; è così anche per altri verbi della seconda coniugazione come spegnere/spengere). Solamente il Vocabolario Treccani registra che la forma toscana strinto assume esclusivamente il significato di ‘premuto, serrato fortemente’ sia come aggettivo sia come participio passato.

Il Grande Dizionario della Lingua Italiana (GDLI) registra la voce strinto come aggettivo toscano col primo significato di ‘premuto, serrato con forza’ – attestato in un brano di Francesco Redi tratto dall’opera Esperienze intorno a diverse cose naturali del 1671 – nelle accezioni di ‘arrotolato, avvolto strettamente’, ‘eccessivamente aderente al corpo’, ‘molto ravvicinato’, ‘appassito, avvizzito’ e in senso figurato ‘che segue rigorosamente una teoria, una dottrina’. L’attestazione più antica riportata dal GDLI è il femminile istrinta, tratta dal Filocolo di Giovanni Boccaccio (1336), che testimonia il significato di ‘spinto, stimolato, costretto da cause esterne a compiere una determinata azione o scelta’:

Il sentirsi piagnere della intera fede quale mai né ti ruppi, né desiderai di romperti, m’ha mossa lagrimare e istrinta a scriverti.

Lo stesso dizionario riporta la prima attestazione di stretto nel Decameron di Boccaccio, quindi intorno al 1370. Attraverso la consultazione del Corpus TLIO, è possibile retrodatare l’uso di stretto già tra il 1230 e il 1250 nelle Rime di Giacomo da Lentini:

ca ss’io veglio – o sonno piglio,
lo mio cor no ’nsonna,
senno schietto – sì m’à stretto
pur di voi, madonna.

Rispetto all’origine del participio passato del verbo stringere, le grammatiche storiche dell’italiano concordano sul fatto che stretto derivi dal participio latino strictus. Così sembra che la forma strinto possa essere nata per analogia dai participi passati di altri verbi in -ere, come fingere - finto; dipingere - dipinto; vincere - vinto.

Gerhard Rohlfs, nella sua Grammatica storica, nel vol. II, Morfologia (Rohlfs 1968), al paragrafo 623, parlando dei participi forti in -to, scrive:

In alcuni casi s’è abbandonata l’antica forma latina per rimodellarla sul tema del presente, cfr. finto (fictus), franto (fractus), pinto (pictus), vinto (victus).

E Pavao Tekavčić nella sua Grammatica storica dell’italiano (1972), nel vol. II, Morfosintassi, al paragrafo 1051, scrive:

Nel participio dei verbi latini con il cosiddetto infisso nasale l’apparizione o meno dell'infisso era imprevedibile, non segnalata da niente nel sistema. Cfr.: PLANGERE - PLANCTUS, TINGERE - TINCTUS, VINCERE - VINCTUS ecc. Il latino parlato ha generalizzato il lessema con l’infisso (con /n/), estendendolo anche al participio [...].

Invece Paolo Di Giovine, nel suo lavoro Il gruppo CT latino in albanese (1982), sostiene l’ipotesi dell’esistenza di una forma latina volgare *strĭnctu- parallela alla forma attestata strĭctu-. Di Giovine poggia la sua ipotesi sulle testimonianze che arrivano da diverse aree della Romània come il romeno strimt ‘stretto, angusto, gretto’, alcuni dialetti dell’Italia settentrionale e meridionale e il logudorese istríntu ‘stretto, avaro’. A queste attestazioni delle lingue romanze si aggiunge la forma albanese shtrenitë che vuol dire ‘costoso, avaro’. Il significato originario di ‘avaro’ del termine albanese deriverebbe dallo stesso valore semantico di strictus (*strictu-) della tarda latinità, testimoniato dalle continuazioni di alcune lingue romanze – come italiano, romeno e logudorese, che usano il significato di ‘stretto’ nel senso di ‘tirato, avaro’ – e dalla testimonianza di Firmico Materno (IV secolo d.C.), che usa strictus nel senso di ‘spilorcio’:

faciet strictos, avaros, sordidos, et qui […] laetiae gratiam vitant. (Math. 5,2).

Così Di Giovine conclude affermando che la forma albanese shtrenitë permette di ricostruire una base latina *strĭnctu-, aggiungendo che ciò

induce a ritenere che, là dove, nella Romània, compaiono participi con nasale [...] non si tratti, in genere, di rifacimenti romanzi; anzi, il fatto che la maggior parte dei dialetti in questione sia di tipo conservativo, in zone spesso geograficamente isolate, dà motivo di credere che già nel latino volgare, e in epoca piuttosto antica, una forma *strĭnctu-, popolare, rifatta sul tema dell’infinito stringĕre (o del presente stringo), coesistesse con il più antico *strĭctu-, e che successivamente abbia prevalso ora l’uno ora l’altro tipo di formazione.

Si potrebbe dunque affermare che il participio passato del verbo stringere in italiano derivi direttamente dal latino strictus e che nel fiorentino si sia mantenuta anche una forma derivante dall’esito volgare strinto. Le ipotesi sull’origine di quest’ultima forma sono due: da un lato si può ipotizzare, con Di Giovine, l’esistenza di una forma *strĭnctu- propria del latino volgare ricostruita sulla base di alcune forme presenti in lingue non romanze; dall’altro lato si può ritenere che si tratti di una forma costruita analogicamente o sulla base del presente latino stringo o dell’infinito stringere o anche sulla base del perfetto latino strinxi.
Il doppio ramo ereditario da cui arriva il participio passato di stringere è riscontrabile anche in altre aree linguistiche della penisola oltre che nell’area toscana.
Per esempio, nel siciliano abbiamo l’esito dotto strittu e l’esito popolare strinciutu. Traina nel suo Nuovo Vocabolario Siciliano-Italiano (1868) alla voce strinciri ‘stringere’ indica il participio passato strinciutu ma, poco più avanti, mette a lemma strittu registrandolo non solo come sostantivo maschile indicante un ‘luogo stretto’, ma anche come aggettivo da stringere. Lo stesso fa Mortillaro con il suo Nuovo Dizionario Siciliano-Italiano (1853). Nel siciliano sembra delinearsi quindi una separazione funzionale tra le due forme. L’esito dotto si è cristallizzato come aggettivo mentre l’esito volgare sembra essere utilizzato esclusivamente con funzione verbale.

I due esiti si riscontrano in altre aree meridionali, così come testimoniano alcuni vocabolari dialettali.
Per l’area napoletana, per esempio, sia il Vocabolario napoletano-italiano di Andreoli (1887) sia il Dizionario dialettale napoletano di Altamura (1956) riportano a lemma sia la forma strinto/strenta sia stritto/stretta. Non sembra esserci però, in quell’area, una distinzione in termini di funzione e di significato. Quanto all’etimologia, Altamura fa derivare la forma strinto direttamente dalla forma latina strinctus.
Simile la situazione in Puglia, sia nell’area meridionale sia in quella estrema. Infatti, il Dizionario barese-italiano di Gioia, Mele e Signorile (2020) registra la forma strinde e la forma stritte come aggettivi maschili e con uguale significato: ‘stretto’. Ma Antonio Garrisi nel suo Dizionario Leccese-Italiano (1990) sembra delineare una realtà più complessa. Infatti, se nel lemma stringere indica come participio passato la forma stringiuti (come per il siciliano), poco più avanti mette a lemma sia l’aggettivo strintu, con significato di ‘stretto, serrato’, sia la forma strittu, con medesima funzione e significato. Inoltre, Garrisi dedica una entrata a sé per la forma femminile strinta registrata come sostantivo col significato di ‘stretta, crampo, spasmo’.
Infine il Dizionario dei dialetti della Calabria meridionale di Martino e Alvaro (2010) registra l’aggettivo strittu col significato di ‘stretto’ e il sostantivo stringiuta con il significato di ‘stretta’ intesa come l’operazione dello stringere.

Possiamo dunque concludere affermando che la forma del participio passato del verbo stringere nell’italiano è stretto, e deriva dal participio latino strictus, mentre la variante fiorentina strinto testimonia una forma residuale di probabile origine volgare che è rintracciabile (o che comunque ha riscontri in forme analoghe) anche in altre aree linguistiche della penisola, a livello sia dialettale, sia di italiano regionale. Va detto infine che la forma strinto, ricorrendo soprattutto in parlanti con basso livello di scolarizzazione, può essere percepita da chi usa lo standard come indice di una competenza linguistica inferiore e pertanto socialmente più bassa. È meglio, dunque, fuori dell’ambiente familiare o amicale e anche in contesti di media formalità, usare stretto.

Nota bibliografica:

  • Antonio Altamura, Dizionario dialettale napoletano, con introduzione storico-linguistica e note etimologiche, Napoli, Fausto Fiorentino Editore, 1956.
  • Raffaele Andreoli, Vocabolario napoletano-italiano, Torino, Paravia, 1887.
  • Paolo Di Giovine, Il gruppo CT latino in albanese, Roma, Università di Roma. Istituto di glottologia, 1982.
  • Antonio Garrisi, Dizionario Leccese-Italiano, Cavallino, Capone, 1990.
  • Giuseppe Gioia, Gaetano Mele, Francesco Signorile, Per non dimenticare: dizionario barese-italiano, italiano-barese, Bari, Wip, 2020.
  • Giuseppe Antonio Martino, Ettore Alvaro, Dizionario dei dialetti della Calabria meridionale, Vibo Valentia, Qualecultura, 2010.
  • Vincenzo Mortillaro, Nuovo Dizionario Siciliano-Italiano, Palermo, Stamperia di P. Pensante, 1853.
  • Pavao Tekavčić, Grammatica storica dell’italiano, Bologna, Il Mulino, 1972.
  • Antonino Traina, Nuovo Vocabolario Siciliano-Italiano, Palermo, Pedone Lauriel, 1868.


Luca Lo Re

16 giugno 2023


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