Alcuni lettori ci chiedono spiegazioni in merito all’espressione dante causa; in particolare, i dubbi riguardano la formazione del plurale: dante causa o danti causa?
Dante causa è tecnicismo specifico del diritto civile, una locuzione sostantivale e aggettivale composta dal participio presente di dare e causa e usata nell’ambito giuridico per designare “chi cede un diritto a un altro soggetto (cfr. GRADIT). Letteralmente, il dante causa è ‘colui che dà (dante) il motivo (causa) alla trasmissione di un diritto’ (così in ZINGARELLI 2018, ma più propriamente qui causa non è ‘motivo’ ma ‘titolo giuridico’, cioè l’atto o il fatto che fa sorgere il diritto). Si contrappone all’avente causa, tecnicismo specifico composto dal participio presente di avere e causa, ovvero colui che “acquisisce un diritto da colui che ne è titolare” (cfr. GRADIT).
Perché possa verificarsi un acquisto a titolo derivativo occorre un valido titolo d’acquisto, cioè un atto o fatto giuridico che giustifichi l’acquisto da una determinata persona, ed occorre altresì che il dante causa sia titolare del diritto che deve venire (in tutto o in parte) trasmesso. (Pietro Trimarchi,Istituzioni di diritto privato, Giuffrè Editore, 2011)
Per quanto riguarda la data di prima attestazione ZINGARELLI 2018, Devoto-Oli 2018, e Sabatini-Coletti 2006, datano l’espressione a “prima del 1923”. A partire dalla quarta edizione del Dizionario moderno di Alfredo Panzini del 1923 (è dunque ipotizzabile che questa edizione sia la fonte dei dizionari prima citati) troviamo a lemma dante causa come “colui o il fatto di colui, che dà origine a un rapporto di diritto” preceduto dalla dicitura “abl. assoluto latino” a indicarne la sua natura di latinismo.
Consultando Google Libri si trovano attestazioni in italiano risalenti al XIX secolo:
La società concessionaria doveva rispettare e mantenere e dare esecuzione al contratto di cottimo [...] nei modi e forme, e colle condizioni stesse alle quali al 6 luglio 1864 era tenuto a farlo l’impresa sua dante causa. (Cassazione di Torino, 18 luglio 1866, in La legge: monitore giudiziario e amministrativo del Regno d'Italia, 1866, p. 912)
Colui che contratta con l'acquirente dopo la trascrizione è tenuto a consultare i registri ipotecari contro il suodante causa non già contro il primo alienante. Se tali registri non sieno stati opportunamente consultati per atti antecedenti alla trascrizione, l'errore del primo acquirente nuoce al suo avente causa, ma gli atti posteriori non sono di nocumento. (La legge: monitore giudiziario e amministrativo del Regno d'Italia, Roma, Ufficio di direzione ed amministrazione, 1876, p. 575)
Si tratta di una locuzione polirematica; ciò significa che l’insieme delle parole che la compongono, dante e causa, assume un significato tecnico unitario che non è desumibile da quello delle singole parole. Tuttavia, in testi ottocenteschi d’ambito giuridico coesistono due usi del sintagma dante causa: da una parte la polirematica con significato unitario, anche attuale, già visto di “colui che cede un diritto” e dall’altra l’uso del sintagma “participio presente + sostantivo” non associato al significato tecnico in cui il participio è usato con valore verbale:
[la corte] pose in disparte la giurisprudenza regolata dal Codice di procedura civile in vigore nel tempo in cui si ordinava il rinvio, e nel tempo in cui essa pronunciava il suo giudizio, per la quale è stabilito che la nuova legge intese a modificare l'antico rigore, volle la nullità in relazione alla contravvenzione, non volle estenderla ai capi della sentenza, rispetto ai quali i suoi precetti furono osservati e che sono indipendenti da quello che racchiude il viziodante causa all'annullamento. (Corte di cassazione in Torino, Udienza del 19 aprile 1866, in La legge: monitore giudiziario e amministrativo del Regno d'Italia, Firenze, Tipografia letteraria e degli ingegneri,1866, p. 510)
In questo esempio, dante causa non è ‘colui che trasmette un diritto’; qui il participio non ha valore di sostantivo e il soggetto grammaticale della frase è il vizio ‘che dà causa all’annullamento’ ovvero che ‘causa, provoca, comporta l’annullamento’.
Ma nel linguaggio comune, a partire dall’Ottocento, l’uso del participio presente di dare è andato sempre più diradandosi: nel 1830, nella seconda edizione del Dizionario critico de’ verbi italiani conjugati dell’abate Marco Mastrofini, a proposito della coniugazione del verbo dare, si trova una voce dedicata al participio dante,dove si legge:
Dante: participio pochissimo usato: pur ve ne sono degli esempi. Bocc., Decam.: danti migliore interpretazione a’ versi; e g. 4, n. 2: danti a ciuascun che muore; nel B. Jacopon., si legge: daente per dante, ma più non si tollera.
Dunque il participio presente di dare era “pochissimo usato” già nella prima metà del XIX secolo. Se però è gradualmente scomparso nell’uso comune, si è invece mantenuto fino a oggi nella lingua giuridica, in cui espressioni e formule fisse tendono a tramandarsi (e di fatto vi sopravvive il participio presente non solo di dare ma dei verbi in generale, molto più che nella lingua comune dove è impiegato per lo più con funzione aggettivale o sostantivale). Rarissimi sono comunque i casi in cui lo troviamo usato con valore verbale:
Neppure è condivisibile l’Argomento basato su una pretesa artificiosità dei passaggi, cioè sulla necessità di istallare moderne scalette in ferro, dato l’accentuato dislivello del locale per raggiungere le aperture danti accesso alle aree condominiali. (Giurisprudenza italiana, vol. 154, Unione tipografico-editrice torinese, 2002, p. 276)
[…] un’azienda in stato di insolvenza giudizialmente accertata (o anche solo di semplice crisi accertata dal Ministero e dante diritto all’ammissione in c.i.g.s delle maestranze occupate). (Fabrizio Aprile e Roberto Bellè, Diritto concorsuale del lavoro, Assago, Wolters Kluwer, 2013)
Lo si ritrova invece con alta frequenzaall’interno, per l’appunto, del nostro dante causa (47.900 occorrenze su Google Libri in data 19.3.18). L’uso frequente, ma esclusivo del linguaggio giuridico, ha portato a una cristallizzazione di dante causa. Di conseguenza si è verificata da parte di chi lo utilizza una graduale perdita della consapevolezza dell’origine e del dominio della struttura morfologica del costrutto, tale da causare oggi incertezze persino nel riconoscere in dante il semplice participio presente del verbo dare. Può accadere dunque che si utilizzi la locuzione consapevoli del significato specifico, squisitamente tecnico, ma se ne ignori l’origine grammaticale, morfologica (per gli esempi vedi oltre).
La scomparsa del participio presente di dare nella lingua comune, la sua rarefazione, come abbiamo visto, anche nella lingua del diritto e la cristallizzazione della locuzione dante causa nel linguaggio giuridico sembrano aver portato alla percezione del participio dante come invariabile nel numero all’interno della polirematica. Se non si riscontrano problemi per la declinazione di causa che dà vita alla variante dante cause (“obbligazioni scadute al momento dell’avvenuta successione e già non soddisfatte dal suo dante cause” in F. Ballati e A. Marino, Il procedimento di convalida di sfratto, CEDAM, 2011, p.72) – benché il plurale cause sia pochissimo utilizzato poiché l’atto o il fatto che fa sorgere il dirittonella trasmissione è spesso unico o identificato come tale – i dubbi sorgono sul plurale di dante, anche se i dizionari e la grammatica in merito sono molto chiari.
Del resto basta considerare il tecnicismo avente causa, direttamente contrapposto a dante causa: la costruzione delle due locuzioni è identica e non vi è alcun dubbio sulla possibile formazione del plurale di avente; trattandosi di un participio presente con funzione di sostantivo, il plurale è possibile ed è aventi, come in locuzioni comuni (sebbene ancora di ambito giuridico) del tipo aventi diritto. La stessa regola vale per dante, il cui plurale è danti, certamente raro e perciò avvertito talora come scorretto (nonostante le illustri attestazioni già in Boccaccio riportate da Mastrofini). Di conseguenza il plurale “naturale” di dante causa è danti causa.
Eppure, si è visto, il tecnicismo è spesso percepito come invariabile, come dimostrano anche le attestazioni in rete e su Google Libri:
I posteggi sono assegnati secondo il criterio dell’anzianità di esercizio attività nel mercato dallo stesso soggetto giuridico eventualmente cumulato con i dante causa. (Regolamento comunale del commercio su area pubblica del comune di San Giovanni Valdarno, 2015)
Si rileva che le coerenze del locale cantinato posto al piano interrato, indicate in atto di provenienza, individuano il locale cantinato così come acquistato dai dante causa dell’esecutato. (Avviso di vendita, Tribunale ordinario di Torino, Sezione esecuzioni immobiliari, 20 marzo 2017)
Nella lingua talvolta avviene che l’errore si converta in uso e col tempo, solitamente molto, l’uso può diventare regola. Ad oggi registriamo l’impiego di dante causa invariabile discretamente diffuso, ma non ancora tale da porsi come accettabile alternativa al plurale regolare né tantomeno come regola da seguire. Da una rapida ricerca sulla banca dati giuridica De Jure (in data 19.3.2018), per la quale si ringrazia Federigo Bambi, risulta che danti causa compare in 6.515 documenti (la banca dati raccoglie sentenze, dottrina, legislazione dal 1986 a oggi); i dante causa in 76. Anche su Google Libri (in data 19.3.2018) si registrano attestazioni nettamente superiori del plurale come danti causa: 47 occorrenze di “i dante causa”, contro le 559 di “i danti causa”; 63 occorrenze di “dei dante causa”, contro le 771 di “dei danti causa”; 5 occorrenze di “ai dante causa”, contro le 301 di “ai danti causa”.Non solo i numeri ma anche i dizionari della lingua italiana suggeriscono il plurale con danti, il cui uso dunque, oltre a essere corretto a dispetto della percezione diffusa, è preferibile e consigliato.
A cura di Luisa di Valvasone
Redazione Consulenza Linguistica
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17 aprile 2018
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