I nomi dei fiumi sono tutti maschili perché si sottintende la parola fiume? Come spiegare allora il genere femminile di Dora Baltea e Dora Riparia? È forse un'influenza francese? In dialetto, Piave è di genere femminile, in lingua è maschile: perché? Qual è la forma corretta? Per rispondere alle molte le domande che riguardano il genere dei fiumi pubblichiamo la risposta di Massimo Fanfani.
Per chi volesse approfondire segnaliamo anche l'articolo dello stesso autore Fiumi maschili, fiumi femminili.
Sul genere dei nomi geografici: la questione dei fiumi
È ben comprensibile che sentendo usare da alcuni il Bormida da altri la Bormida, che trovando scritto talvolta l’Adda ceruleo talaltra l’Adda cerulea,ci si chieda quale sia il genere di quei fiumi: il maschile o il femminile? La questione non è peregrina, perché nell’italiano contemporaneo il genere di alcune categorie di nomi geografici è in una situazione ambiguamente fluida, sebbene alcuni elementi siano stabili, si notino delle linee di tendenza abbastanza chiare e da tempo siano all’opera processi di normalizzazione tuttavia non sempre risolutivi.
Naturalmente ci sono delle categorie che non presentano problemi in quanto i loro soggetti sono ormai di un unico genere. Ad esempio sono femminili i nomi delle principali città (tutta Roma, la Napoli bene, la Palermo normanna, ecc.), perfino quelli che un tempo erano o potevano esser impiegati al maschile, in sostanza quelli terminanti in -o, -e, -i (Milano, Napoli, Firenze, ecc.: nei Promessi Sposi Manzoni usa Milano come maschile e il Milano, seppur di rado, capita di sentirlo ancor oggi): in questi casi il definitivo passaggio dall’antico o popolare maschile al femminile è dovuto al sostantivo città che tutti avvertono più o meno sottinteso. Ugualmente sono femminili i nomi delle isole (tranne qualche eccezione come Il Giglio nell’arcipelago toscano, Il Tino nel golfo spezzino, e alcune isolette minori che rientrano piuttosto nella categoria degli “scogli”, come Il Toro e Il Vitello nell’arcipelago del Sulcis); maschili invece i nomi dei mari e degli oceani. I laghi sono maschili perché in genere si presentano costituiti dal modulo lago di x (con x che sta per la località o l’abitato nei pressi del lago): Lago di Avigliana, Lago di Como, Lago d’Orta,ecc. A meno che non si usino i sostituti latineggianti (il Verbano, il Ceresio, ecc.), non sono molti i laghi designabili con il solo nome specifico: il Garda, il Trasimeno, lo Scaffaiolo (e in questi ultimi due casi non si tratta della località, ma del nome proprio del lago).
In altre categorie sono presenti nomi di entrambi i generi, ma la loro distribuzione è stabile e quasi sempre chiaramente indicata dalla desinenza: si prendano i nomi degli stati (il Portogallo, la Spagna, il Belgio, la Francia,ecc.; non sono molti gli stati privi di una terminazione determinante il genere: il Liechtenstein, il Nepal), quelli delle regioni italiane (il Trentino, il Veneto, la Liguria, la Lombardia, ecc.; il Molise), quelli delle cittadine, dei borghi e dei paesi (Monteforte Irpino, Monteleone Sabino, Campiglia Marittima, Rosignano Marittimo, Sesto Fiorentino, Massa Lombarda, ecc.).
Più complessa e varia la situazione dei nomi dei monti e dei fiumi: i primi spesso di origine recente, antichi o antichissimi i secondi. Per i monti va considerato che i sostantivi comuni che designano i diversi tipi di rilievi nelle varie regioni d’Italia sono sia maschili (monte, colle, corno, dosso, picco, pizzo, poggio, sasso, ecc.) che femminili (montagna, alpe, cima, croda, forca, pala, punta, sella,ecc.). Così quando si cominciarono ad attribuire dei nomi specifici alle singole montagne, ci si orientò ora per il maschile ora per il femminile (Dente del Gigante, Monte Nero, Pizzo Martello, Cima di Camino, Punta Sella,ecc.). Tuttavia in ambito colto – nell’uso degli scienziati, dei geografi, degli alpinisti – si è poi verificata una certa convergenza sul maschile, dato che l’iperonimo più comune, monte, è maschile. Di conseguenza diversi antichi nomi di montagne originariamente femminili (Amiata, Falterona, Gallinola, Ortigara,ecc.), oggi si trovano usati al maschile, mentre restano femminili quei nomi che designano, più che singoli monti, dei gruppi montuosi: La Maiella, La Marmolada.
Se gli uomini del passato non s’interessavano molto delle montagne, tanto da lasciarle in gran parte anonime, i fiumi furono sempre di vitale importanza. Fin dalle origini le varie comunità umane, oltre ad attribuir loro un nome, li collegarono sovente a divinità fluviali, quasi per propiziarseli e testimoniare la religiosa considerazione in cui li tenevano.
Come in latino, anche nei dialetti italiani e nella lingua comune sono prevalenti i fiumi di genere maschile. Si prendano i venti fiumi italiani dal corso più lungo: quindici sono maschili e dei cinque che originariamente erano femminili (Adda, Brenta, Dora Baltea, Piave e Secchia), oggi ha conservato saldamente il suo genere solo la Dora Baltea, probabilmente anche perché costituito da due elementi in -a, il secondo dei quali sentito come un aggettivo femminile. Già questo dato ci mostra non solo la preponderanza del maschile, ma anche la tendenza a uniformare i nomi femminili al genere prevalente.
Tale tendenza si è manifestata negli ultimi secoli sostanzialmente in ambito colto in seguito allo sviluppo dei viaggi e dei commerci e rientra nella moderna volontà di normalizzare la lingua e le varie terminologie, eliminando varianti, oscillazioni, irregolarità. E così, attraverso le indicazioni della comunità scientifica (nel nostro caso soprattutto quella dei geografi), l’opera dei grammatici e dei lessicografi, la cinghia di trasmissione costituita dalla scuola e degli apparati burocratico-amministrativi, si è avuta una generale codificazione sempre più uniforme dei nomi geografici, non senza forti resistenze negli usi ormai radicati a livello popolare. Come per i nomi stranieri si è cominciato ad attenersi alle grafie non adattate e a translitterazioni ufficiali e non si è scritto più Sciampagna, Repubblica dell’Equatore, Chioto, Brusselle ma Champagne, Equador, Kioto, Bruxelles (anche se i più diffusi dei vecchi adattamenti sono rimasti); come si sono via via ridotte le varianti lessicali dei nomi italiani, così si è preteso di intervenire anche sul piano morfologico, cercando per quanto possibile di attribuire alle singole categorie di nomi geografici un genere unico, quello del termine comune di riferimento: quindi, come si è visto, le “città” e le “isole” dovrebbero essere tutte femminili; i “mari”, i “monti” e i “fiumi” tutti maschili.
Ma se già non è facile riuscire a ottenere dei risultati sul piano lessicale, l’intervento su quello morfologico è ancora più delicato e incerto. E infatti il tentativo dei geografi e dei grammatici di uniformare il genere dei nomi geografici si può dire che abbia avuto successo solo nel caso delle città, mentre negli altri settori ha avuto dei riscontri limitati, o addirittura, come per i fiumi, ha dato luogo a nuova incertezza.
Per la verità, nel caso dei fiumi, non sussistono dubbi sul genere maschile in presenza di una terminazione in -o (Arno, Po, Reno, Tanaro, Ticino, Volturno, ecc.) oppure in -i (Agri, Chienti, Liri, ecc.). Anche la maggior parte dei fiumi che terminano in -e sono maschili (Adige, Tevere, Chiese, Fortore, Belice, ecc.), sebbene non manchino i femminili (Aniene, Greve, Sieve), mentre per quelli terminanti in -a ci aspetteremmo il femminile come in effetti è per molti di essi (Bormida, Olona, Scrivia, Sesia, Trebbia,ecc.). È proprio su questi ultimi due gruppi di femminili che i geografi e i grammatici hanno cercato di agire, gli uni adeguandoli in gran parte al genere prevalente o impiegando il solito modulo uniformante (il fiume Sesia, ecc.); gli altri raccomandando il maschile.
Ci sono riusciti in particolare per i fiumi del Veneto e del Trentino, una regione dove il governo delle acque è stato sempre oggetto di considerazione e di studio: i numerosi interventi di tecnici ed esperti, gli scritti di persone colte su quei fiumi hanno costituito la base, durante l’Ottocento, per l’uniformazione del genere che poi si è riflessa anche nella lingua popolare, tanto che già un secolo fa corsi d’acqua originariamente femminili (Brenta, Fella, Livenza, Piave, Sarca) erano usati comunemente al maschile. Invece in altre aree, dove l’influenza della lingua dotta è rimasta alla superfice o ha inciso debolmente, il genere è rimasto quello tradizionale. In Toscana, ad esempio, per quanto nei libri di geografia si usi di solito il maschile per fiumi come Cecina, Cornia, Fiora, Magra (più difficile stabilire il genere per i fiumi con iniziale vocalica: Albegna, Egola, Elsa, Era), nell’uso popolare non si rinuncia al femminile, anche se in qualche caso si notano delle incertezze o delle oscillazioni: il Magra / la Magra. Tali oscillazioni aumentano per quei parlanti di altre zone che non hanno dimestichezza con dei nomi che al di fuori dell’ambito locale sono scarsamente conosciuti e usati.
Il problema sta proprio qui: di fronte al nome di un fiume, specie se minore o minimo, di cui non si è sicuri del genere, e la terminazione non aiuta, un parlante qualsiasi non ha altra via d’uscita che applicare la semplice regola che può aver desunto dall’esempio delle guide geografiche o dalle grammatiche di scuola: i fiumi sono generalmente maschili, visto che vi si può sempre sottintendere il sostantivo comune di riferimento: “il fiume Fiora” → “il Fiora”. Ciò crea ovviamente una situazione ambigua in relazione all’uso locale, che tende a farsi incerto anch’esso.
Non è facile prevedere come evolveranno le cose in questa sorta di braccio di ferro fra le moderne spinte uniformanti e l’aspirazione delle singole comunità locali a conservare le loro radici linguistiche e dunque anche le forme originarie dei loro toponimi e microtoponimi. Molto dipenderà dagli individui e dalla loro consapevolezza linguistica. Molto dipenderà dalle realtà particolari, diverse le une dalle altre, e quindi più o meno inclini a conservare religiosamente ogni traccia del passato.
27 luglio 2015
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