Una lettrice ci ha chiesto delucidazioni in merito al genere grammaticale della parola acme.
La parola acme è un grecismo, ossia una parola greca entrata in italiano per via dotta (da ἀκμή traslitterato akmḗ ‘punta’), introdotto in epoca moderna, dapprima, secondo il GRADIT, con il significato di ‘stadio della maggior gravità di una malattia’ in ambito medico (dal 1780) e poi con quello oggi maggiormente usato di ‘punto o periodo culminante’ (dal 1925), diversamente dall’inglese, in cui quest’ultimo precede cronologicamente l’accezione propria della medicina (OED). In italiano acme è un sostantivo invariabile di genere femminile (su questo concordano sia i dizionari contemporanei e storici, quali il GDLI, il GRADIT, lo Zingarelli 2022 e il Devoto-Oli 2022, sia i dizionari di medicina, come il Corvi e il Garnier-Delamare-Panzera), così come era femminile anche nella lingua di partenza. Per quanto riguarda la pronuncia, oggi la parola è più comunemente pronunciata piana, ossia àcme, ma il GDLI nel Supplemento 2009 registra anche la pronuncia tronca acmè, sul modello greco (sulla pronuncia dei nomi greci rimandiamo a una risposta di Giovanni Nencioni del 1995 pubblicata sulla “Crusca per voi”, n. 11 (ottobre 1995), p. 14; per altri termini d’origine greca entrati in italiano e non solo, cfr. Tesi 1994).
Da tempo il termine, tuttavia, viene usato più spesso al maschile, come testimoniano i dati raccolti da Sgroi (2006) e i risultati (r.) ottenuti dalla ricerca delle stringhe sua acme per il femminile e suo acme per il maschile (dati aggiornati al 04/02/2022) nelle pagine in italiano di Google (sua acme 4.410 r.; suo acme 15.700 r.) e negli archivi di alcune testate giornalistiche (nella “Repubblica” sua acme ha 17 r., suo acme 117 r.; nel “Corriere della Sera” rispettivamente 69 r. e 198 r.). In Google libri troviamo esempi di acme sia al maschile che al femminile già a partire da inizio Ottocento:
Dalla ingruenza morbosa fino al suo stato, cioè al suo acme, la regola universale è quella di mantener fresca l’aria dell’ambiente. Quando il morbo è nel suo decremento e si avvicina alla crisi, è necessario un dato grado di calore, perché a quell’epoca il corpo medesimo non ne suol generare bastevolmente. (Giovanni Cristiano Reil, Della conoscenza e della cura della febbre, traduzione italiana di Jacopo Panzani, Venezia, Pasquali, 1805, p. 274)
Riguardo al carattere ambedue l’epidemie nella sua acme erano egualmente mere e perfette, soltanto nella seconda il carattere gastrico-nervoso era più perspicuo ed eminente nella più gran parte dei casi cholerici. (Giovanni Dietz, Il cholera in principal riguardo alla sua diagnosi, patogenia e cura, Roma, Tipografia delle belle arti, 1835, p. 27)
Gli esempi arrivano fino ai giorni nostri e acme mantiene tale oscillazione di genere anche in testi non appartenenti all’ambito medico:
Nel paragrafo XXXVIII l’infatuazione raggiunge la sua acme e Dante, allettato dalle lusinghe di un possibile sentimento per la donna pietosa e gentile, sembra disposto a cedere alla tentazione. (Donato Pirovano, Amore e colpa: Dante e Francesca, Roma, Donzelli, 2021)
È un filo che unisce più luoghi del poema ma che trova il suo acme proprio qui, nel canto corrispondente al XXVII dell’Inferno ove Guido da Montefeltro aveva introdotto Bonifacio nell’atto del suo essere fraudolento. (Roberto Antonelli, Dante poeta-giudice del mondo terreno, Roma, Viella, 2021, p. 256)
Se confrontiamo le attestazioni in Google libri grazie alla funzione Ngram Viewer, possiamo vedere come l’uso di acme al maschile sia sempre stato maggioritario rispetto al suo uso al femminile:
Data la netta prevalenza di acme come sostantivo maschile in testi scritti, alcuni repertori lessicografici (sia passati che contemporanei) hanno aggiunto ora un semplice segnale di attenzione ora una nota di approfondimento per indirizzare i lettori verso il genere grammaticale corretto dal punto di vista etimologico. Già nel Dizionario moderno di Alfredo Panzini (9ª edizione, Milano, Hoepli, 1950) si legge che acme “è femminile, non maschile come qualche volta si vede”. Nel corso degli anni Ottanta, nel Vocabolario della lingua italiana di Aldo Duro (1986) si trova scritto: “la parola si sente talvolta usata al masch.”; lo Zingarelli 2022 riporta accanto alla qualifica grammaticale “s.f.” la segnalazione “evit. m.” (evitare il maschile) e inserisce la forma lo acme tra i 106 errori “più frequenti e insidiosi nello scrivere e nel parlare italiano” (“Nota d’uso”, s.v. errore); il Devoto-Oli 2022 aggiunge una spiegazione più completa in una scheda di approfondimento della voce, che riportiamo qui per esteso:
La parola è di genere femminile, al pari della voce greca da cui deriva: akmḗ ‘punta’. Tuttavia viene talvolta usata erroneamente al maschile, anche perché l’articolo determinativo non consente in questo caso di distinguere il genere. I nomi in -e possono essere maschili o femminili; individuare il genere può creare dubbi o incertezze specialmente con parole di uso poco comune (Devoto-Oli 2022, s.v. acme)
Il problema è ben noto non soltanto ai lessicografi, ma anche ai grammatici. Nella Grammatica di Serianni (Serianni 1988, § 29, p. 93,) si legge infatti che “i nomi in -e che non rientrano in qualche classe suffissale […] possono essere maschili o femminili […]. Incertezze possono sorgere di fronte a nomi poco usuali, anche presso parlanti e scrittori colti. Così acme, femminile […], è trattato erroneamente come maschile in Tomasi di Lampedusa ("il loro acme", Il Gattopardo, 117)”. A questo, aggiungiamo un altro esempio letterario, reperito grazie alla consultazione del PTLLIN (il Primo Tesoro della Lingua Letteraria Italiana del Novecento a cura di De Mauro), che è invece conforme alla norma: “un’acme molto simile alla frenesia” (Achille Campanile, Gli asparagi e l’immortalità dell’anima, Milano, Rizzoli, 1974, p. 21).
Dunque le incertezze sul genere della parola sono molteplici e provengono in parte dall’elisione dell’articolo determinativo l’ (molto meno spesso si incontra acme preceduto dall’articolo indeterminativo, che, in tal caso, ci consentirebbe tramite la presenza dell’apostrofo di riconoscere immediatamente il genere femminile; vero è anche che, data la progressiva frequenza con cui viene apostrofato un maschile e con cui spesso manca l’apostrofo dopo un’ femminile, l’affidabilità dell’apostrofo è da mettere in dubbio, senza contare che nel parlato tale distinzione non può essere individuata) e dalla terminazione finale in -e, e in parte dalla scarsa frequenza con cui la parola viene usata nello scritto e nel parlato di tutti i giorni. A queste motivazioni, Sgroi (2006) aggiunge l’influenza del fattore semantico, ovvero acme ha molti sinonimi di genere maschile, quali apice, apogeo, culmine, vertice.
Probabilmente, uno dei fattori decisivi che hanno portato ieri come oggi a considerare acme di genere maschile è la scarsa familiarità che i parlanti hanno con la parola. A dimostrazione di questo, infatti, possiamo notare che lo stesso problema sembra non verificarsi con la parola acne ‘infezione suppurativa delle ghiandole sebacee’, termine più comune e anch’esso di origine greca, del tutto analogo dal punto di vista morfologico ad acme (si ipotizza addirittura che etimologicamente acne derivi da acme, GDLI). Negli archivi della “Repubblica” e del “Corriere della Sera” non vi sono risultati per “suo acne”, mentre per “sua acne” ne abbiamo 4 sulla “Repubblica” e 2 sul “Corriere della Sera”; le pagine in italiano di Google riportano 3.450 r. per il femminile “sua acne” e 945 r. per il maschile “suo acne” (tutti i dati sono aggiornati al 04/02/2022). Un ultimo dato ci viene fornito da Ngram Viewer:
Concludiamo questo quadro con uno sguardo al francese e allo spagnolo. Sia il Trésor de la Langue Française (TLFi ) in rete (s.v. acmé) che il Diccionario de la lengua española della Real Academia Española (s.v. acmé) marcano acme come femminile e maschile. Inoltre, entrambi offrono alcune riflessioni metalinguistiche. Il primo, nella sezione Remarque (osservazione), dice che “Les dict. hésitent sur le genre du mot (…). La docum. d’ex. reflète cette hésitation (…); cette différence de genre correspond peut-être à la différence d’accept., celle qui touche à la philos. étant, comme son modèle gr., du fém., ou provient de ce que les uns pensent, en l’employant, au mot usuel sommet ou à l’expr. plus haut degré, les autres directement à l’usage gr. » [‘I dizionari esitano sul genere della parola (…). La documentazione esemplificativa {gli esempi del TLFi} riflette questa incertezza (…); questa differenza di genere forse corrisponde alla differenza di accezione, essendo - quella che pertiene alla filosofia - femminile come il suo modello greco, o deriva dal fatto che alcuni pensano, impiegandola, alla parola {più} comune sommet {vertice} o all’espressione plus haut degré {più alto grado}, altri direttamente all’uso greco’]. Il secondo, invece, alla voce acmé riporta la nota “U. menos c. f.”, cioè ‘usado menos como femenino’ [‘meno usato al femminile’].
In conclusione, possiamo dire che, in base all’etimologia, il genere della parola acme è il femminile (così anche era in greco), ma l’uso di acme al maschile si è progressivamente affermato e, come è noto, la grammatica deve a volte inchinarsi al Signor Uso di manzoniana memoria.
Nota bibliografica:
Kevin De Vecchis
5 dicembre 2022
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