Rispondiamo ai numerosi quesiti giunti alla nostra redazione pubblicando questa risposta di Raffaella Setti sul grado di sinonimia delle locuzioni pari diritti e pari opportunità apparsa su La Crusca per Voi (n° 33, ottobre 2006, p. 17).
Sul grado di sinonimia delle locuzioni
pari diritti e pari opportunità
Le due espressioni, che appartengono alla terminologia del diritto e della politica, hanno significati e valori diversi anche se il loro frequente ricorso in abbinamento può farle apparire quasi sinonimiche. Ma le differenze di significato ci vengono confermate, oltre che nell'evidente diversa etimologia dei due sostantivi diritto e opportunità, dalle definizioni che ne danno i più recenti dizionari, che tengono conto ovviamente della storia e delle destinazioni che le due formule hanno avuto nell'uso e nella pratica legislativa e politica.
Per quel che riguarda l'etimologia, opportunità, definita nei recenti dizionari come 'circostanza favorevole, luogo e tempo adatto' deriva dal latino OB 'verso' e PORTUNU(M) 'vento che spinge favorevolmente la nave nel porto', mentre diritto, registrato nei vocabolari correnti con il significato di 'complesso di norme legislative o consuetudinarie che disciplinano i rapporti sociali' viene fatto risalire al latino tardo DIRECTUM che sostituisce il classico JUS, quando DIRECTUS prende il senso di JUSTUS (passaggio che passa anche attraverso la formula, VERBUM DIRECTUM 'buon diritto', 'giustizia'), evoluzione semantica che si ritrova anche nel germanico e nel celtico (cfr. C. Battisti e G. Alessio, Dizionario Etimologico Italiano, Firenze, Barbèra, 1975).
Sull'uguaglianza dei diritti di tutti i cittadini è imprescindibile il riferimento all'articolo 3 della Costituzione che recita: «Tutti i cittadini hanno pari dignità e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali». Ma lo stesso articolo prosegue aggiungendo una prescrizione fondamentale per la reale attuazione del principio affermato: «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese». All'affermazione del principio di uguaglianza quindi segue immediatamente un'indicazione riguardo ai compiti della Repubblica, dello Stato che deve dotarsi di strumenti finalizzati a mettere tutti nella condizione di poter godere dei diritti riconosciuti, predisponendo le giuste premesse perché si possano attuare in condizioni di effettive pari opportunità. Lo Stato, in tempi piuttosto recenti, si è dotato di una legge specifica (n° 125 del 10 aprile 1991) volta a promuovere azioni per le pari opportunità tra uomo e donna, in particolare nel mondo del lavoro: tali azioni, che si aggiungono al diritto della donna ad accedere al lavoro a condizioni non discriminatorie (art. 3 della Costituzione) puntano a tutelare la lavoratrice sul piano diverso della progressione di carriera. Come effetto della legge si è avuta l'istituzione nel 1996 di un Dipartimento per le Pari Opportunità con l'ufficio del Ministro per le Pari Opportunità presso la Presidenza del Consiglio (la prima Ministra per le Pari Opportunità è stata nel 1997 Anna Finocchiaro). Se, quindi, i diritti li possiamo collocare sul piano teorico dell'affermazione di principi, le pari opportunità rappresentano la ricaduta concreta messa in atto perché effettivamente gli stessi diritti si realizzino. Sul problema è tornato in più occasioni Carlo Azeglio Ciampi durante il suo mandato presidenziale, rilevando, con particolare rammarico, la scarsa rappresentanza politica delle donne in Italia e insistendo sulla necessità di servizi che aiutino le donne a conciliare lavoro e famiglia (alcuni brani di questi discorsi sono stati raccolti nel volume Dizionario della democrazia a cura di Dino Parasole, Milano, Edizioni San Paolo, 2005): «Oggi la presenza delle donne nelle istituzioni, nelle amministrazioni è crescente, e sempre più lo sarà... a parte la scuola, ma anche nelle altre amministrazioni ormai vediamo aumentare il numero delle donne che si laureano con ottimi voti, fanno dei buoni concorsi ed entrano; le vediamo arrivare gradualmente a posizioni di comando in quella amministrazione. Qui il passo avanti è enorme... mentre il cambiamento che va più lentamente e che capisco meno è quello della rappresentanza politica della donna» (Quirinale, 23 novembre 1999, incontro con Silvia Costa, presidente della Commissione nazionale per le pari opportunità tra uomo e donna, p. 279).
Sull'espressione pari opportunità, che i maggiori vocabolari concordano nel classificare come locuzione della lingua del diritto (o della politica), le definizioni proposte sono pressoché sovrapponibili e sintetizzabili in un 'insieme di norme e disposizioni che mirano a rendere effettiva l'uguaglianza di occasioni e di diritti tra uomini e donne e a rimuovere gli ostacoli che ne impediscano la realizzazione'; oltre al sesso sono considerati fattori di possibile discriminazione anche la razza, la religione, la classe sociale di appartenenza, ecc. Se è ricorrente nelle definizioni di molti vocabolari l'affermazione del principio che tutti i cittadini hanno gli stessi diritti, Il Vocabolario Treccani (Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani, II ed. 1997) aggiunge una notazione relativa all'origine della locuzione, indicandola come un calco dell'inglese equal opportunity. L'Oxford English Dictionary, sottolineandone la provenienza americana, registra la locuzione s.v. opportunity prima nella forma equality of opportunity con attestazioni dal 1891, poi nella forma attuale equal opportunity, s.v. equal con attestazioni a partire dal 1925; in italiano la prima fonte riportata è proprio la legge del 1991 anche se è verosimile che la locuzione circolasse anche prima di questa data.
22 giugno 2007
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