Sulla distinzione tra verbi copulativi e verbi predicativi

Molte richieste giunte in redazione riguardano la distinzione tra verbi predicativi e verbi copulativi. In particolare Tommaso Fragassi ha chiesto una spiegazione, con qualche esempio, dell'uso in forma assoluta dei verbi copulativi.

Risposta

Sulla distinzione tra verbi copulativi
e verbi predicativi

In base al significato e alla funzione sintattica che assumono all'interno della frase, è possibile anzitutto osservare che i verbi vengono di norma distinti in due grandi categorie: i 'predicativi' e i 'copulativi'. «I verbi predicativi hanno un significato compiuto e possono essere usati anche da soli: piove; Remo corre; lo studente legge (un libro). I verbi copulativi servono a collegare il soggetto a un nome o a un aggettivo e hanno quindi una funzione analoga a quella del verbo essere, che come sappiamo si chiama copula» [Maurizio Dardano - Pietro Trifone, La lingua italiana, Bologna, Zanichelli, 1985, p. 192].

I verbi copulativi sono dunque così definiti perché, pur avendo alcuni di essi in particolari contesti anche un significato autonomo, vengono impiegati per unire o legare un nome ad un altro elemento, solitamente costituito da un nome, da un aggettivo, oppure da un avverbio, che all'interno della frase acquisisce funzione predicativa. Per avere senso compiuto, i copulativi necessitano pertanto di un 'complemento predicativo', che generalmente ha la funzione di descrivere o comunque precisare una qualità o un attributo del soggetto, oppure del complemento oggetto, determinando e completando in tal modo (rispettivamente quindi, come complemento predicativo del soggetto, oppure dell'oggetto) il significato del verbo o predicato.

 

Il termine 'copulativo' (dal lat. tardo copulatīvu(m), derivato dal lat. cōpula(m) 'unione, legame') è infatti di norma riferito a verbi, la cui funzione, in un determinato contesto, è in realtà volta «a stabilire un rapporto tra il soggetto frasale e il suo predicato. [...] Nella sua funzione copulativa, essere risulta pertanto desemantizzato, poiché svolge la funzione sintattica di collegare il soggetto e la sua predicazione [...]. Altri verbi oltre a "essere" possono svolgere funzione copulativa; ad es. diventare, sembrare, apparire, chiamarsi. Anche in questi casi il verbo, con ridotto significato lessicale proprio, serve essenzialmente a legare il soggetto con il suo complemento predicativo» [Gian Luigi Beccaria (a cura di), Dizionario di linguistica e di filologia, metrica, retorica, Torino, Einaudi, 2004 (nuova ed.), s.v. copula].

 

Il principale verbo copulativo è dunque essere: Gloria è anestesista; Andrea è simpatico. Tuttavia, nella lingua italiana tra i copulativi rientrano molti altri verbi, quali apparire, dimostrarsi, divenire, diventare, mostrarsi, parere, restare, rimanere, risultare, riuscire, rivelarsi, sembrare, stare ecc.: l'esito della vicenda appare scontato; ti stai dimostrando superficiale; Anna diventerà ingegnere; il ragazzo divenne triste; Antonio non si è mostrato riconoscente; il suo racconto mi pare verosimile; i bambini restavano seduti; l'uomo rimase allibito; il conto risultò sbagliato; ogni tentativo riuscì vano; si è rivelato una persona gretta; Andrea e Davide ci sono sembrati sinceri; Lucia non stava attenta. Talvolta, il complemento predicativo può essere espresso da un avverbio, oppure da un sostantivo retto da preposizione: Anna restò in piedi; restare o restarci male; la bottiglia rimane a galla; tua madre è rimasta senza parole; rimanere o rimanerci male; state in silenzio, senza parlare; Lucia sta male; perché te ne stai in disparte?.

 

In particolare, tra i copulativi si possono distinguere le seguenti classi verbali:

 

a) Verbi effettivi, che sono tutti intransitivi e quindi sempre volti in forma attiva. Possono esprimere uno stato, come ad esempio restare, rimanere e stare: la situazione rimane grave; una trasformazione, come divenire o diventare: il cielo diventa nuvoloso; oppure un'apparenza, come apparire, parere o sembrare: questa bimba sembra intelligente.

 

b) Verbi appellativi, sia attivi che passivi e dunque costruiti, rispettivamente, con il complemento predicativo dell'oggetto, oppure del soggetto, come nel caso di appellare, chiamare, denominare o soprannominare: gli amici lo hanno soprannominato il Gatto.

 

c) Verbi elettivi, attivi o passivi, come creare, eleggere, nominare ecc.: Cicerone fu eletto console; i compagni hanno nominato Elena capoclasse.

 

d) Verbi estimativi, sia attivi che passivi, quali considerare, credere, reputare, ritenere, stimare ecc.: lo reputo sleale; ritengo Fabrizio un amico.

 

Si può notare che, all'interno di questa categoria, sono compresi verbi come diventare, che presentano esclusivamente valore copulativo, ma anche verbi predicativi, i quali hanno dunque la normale funzione di 'predicare' o 'dire' qualcosa in relazione all'evento che descrivono, potendo inoltre svolgere, in diversi contesti, una funzione copulativa. Così, ad esempio, non si deve confondere l'uso copulativo del verbo essere con il suo normale uso predicativo, nel significato di 'esistere', 'trovarsi' ecc.: questo termine nella lingua italiana non c'è; tra un'ora sarò di nuovo a casa.

 

In base a quanto è stato fin qui considerato, è possibile concludere che, impiegando ad esempio un verbo come rimanere in funzione copulativa, possiamo avere la seguente costruzione: la situazione rimane grave. In questo caso, l'aggettivo e complemento predicativo grave è necessario perché all'interno della frase si possa completare e determinare il senso del verbo rimanere, che ha qui un valore simile a quello della copula, in quanto lega appunto il soggetto (la situazione) al complemento predicativo (grave). Nell'esempio successivo, invece, la voce verbale è usata nel suo normale valore predicativo: te ne vai? Io, invece, rimango. In questo caso, il verbo rimanere mantiene dunque il senso di «fermarsi in un luogo, restarvi, trattenervisi» [GRADIT, s.v. rimanere].

 

Pertanto, mentre i verbi predicativi esprimono un senso compiuto, i verbi copulativi o comunque aventi funzione copulativa, analogamente al verbo essere adoperato come copula, «hanno un contenuto semantico generico e servono a collegare il soggetto a un nome o a un aggettivo (che costituisce il complemento predicativo, [...])» [Luca Serianni, Grammatica italiana. Italiano comune e lingua letteraria, Torino, Utet, 1989, p. 382]. Tuttavia, alcuni verbi che hanno funzione copulativa possono essere usati anche in modo assoluto. A tale proposito, esaminando a titolo esemplificativo alcune forme verbali nei loro usi assoluti, riporto infine quanto è attestato nel GRADIT alle rispettive voci.

 

Il verbo rimanere può assumere, in tal caso, il significato di «restare intesi: come siamo rimasti?, allora rimaniamo così». Il verbo riuscire può invece essere impiegato in forma assoluta nella seguente accezione: «concludersi con un esito positivo: l'esperimento è riuscito»; è inoltre interessante, sotto il profilo sintattico e semantico del verbo, l''evolversi' che il dizionario di De Mauro delinea nella quarta accezione della voce: «4b di qcn., avere attitudine, capacità in qualche campo: riesco bene nella matematica | con un complemento predicativo, diventare, dimostrarsi: è riuscito un ottimo medico; risultare, classificarsi: è riuscito secondo nella gara 4c ass., avere successo, fortuna: r. nel lavoro, nella vita». Per quanto riguarda il verbo parere, il GRADIT riporta una definizione d'ambito familiare: «sembrare meglio, sembrare più opportuno: fai come ti pare!, fai sempre quello che ti pare!, puoi vestirti come ti pare»; oltre alle locuzioni «ti pare?, non ti pare?, vi pare?, non vi pare?, per chiedere consenso e approvazione all'interlocutore». Analogamente, sembrare accoglie la seguente accezione familiare: «parere più opportuno, giusto, conveniente: fai come ti sembra»; oltre alle espressioni «ti sembra?, non ti sembra?, vi sembra?, non vi sembra?, per chiedere consenso e approvazione all'interlocutore».

 

 

 

Per approfondimenti:

  • Gian Luigi Beccaria (a cura di), Dizionario di linguistica e di filologia, metrica, retorica, Torino, Einaudi, 2004 (nuova ed.).
  • Maurizio Dardano - Pietro Trifone, La lingua italiana, Bologna, Zanichelli, 1985.
  • DELI = Dizionario Etimologico della Lingua Italiana, di Manlio Cortelazzo e Paolo Zolli, ripubblicato in seconda ed. in volume unico con il titolo Il nuovo etimologico, a cura di Manlio Cortelazzo e Michele A. Cortelazzo, Bologna, Zanichelli, 1999 (con CD-rom).
  • GRADIT = Tullio De Mauro, Grande dizionario italiano dell'uso, Torino, Utet, 1999, 6 voll., con l'aggiunta del vol. VII, Nuove parole italiane dell'uso, 2003 (con CD-rom).
  • Lorenzo Renzi - Giampalo Salvi (a cura di), Grande grammatica italiana di consultazione, vol. II, I sintagmi verbale, aggettivale, avverbiale. La subordinazione, Bologna, il Mulino, 1991.
  • Giampaolo Salvi, Le frasi copulative, in L. Renzi - G. Salvi (a cura di), pp. 163-189.
  • Giampaolo Salvi, I complementi predicativi, in L. Renzi - G. Salvi (a cura di), pp. 191-226.
  • Luca Serianni, Grammatica italiana. Italiano comune e lingua letteraria, Torino, Utet, 1989.

 

 

 


A cura di Manuela Cainelli

Redazione Consulenza Linguistica
Accademia della Crusca

28 marzo 2008


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