Sull’origine di cafone (con qualche osservazione e consiglio a proposito delle etimologie in rete)

Alcuni lettori ci chiedono quale sia l’etimologia della parola cafone.

Risposta

Sul significato corrente di cafone nell’italiano comune c’è poco da dire: si tratta infatti – com’è noto – di un termine spregiativo e ingiurioso per indicare una persona rozza, di cattivo gusto o maleducata. Più complessa è invece la questione dell’origine di questa parola.

Quel che è certo è che il termine cafone proviene dai dialetti meridionali e si è esteso al resto d’Italia dopo l’Unità. È sicuro, inoltre, che il suo significato originario – che ancora si conserva nel sud d’Italia – è quello di ‘contadino’ (in una celebre pagina del romanzo Fontamara di Ignazio Silone, ambientato nella Marsica abruzzese, è descritta la piramide sociale che vede proprio i cafoni, ovvero i contadini, all’ultimissimo gradino: “In capo a tutti c’è Dio, padrone del cielo. Questo ognuno lo sa. Poi viene il principe Torlonia, padrone della terra. Poi vengono le guardie del principe. Poi vengono i cani delle guardie del principe. Poi, nulla. Poi, ancora nulla. Poi vengono i cafoni. E si può dire ch’è finito”). Il passaggio semantico da ‘contadino’ a ‘persona molto zotica e maleducata’ – documentato per cafone a partire dal Settecento in napoletano e in siciliano (cfr. LEI XIII, coll. 666-667), ma avvenuto, probabilmente, già molto prima – è del resto assai frequente (si pensi a bifolcoburino, pacchianovillano, zappaterra) e si può dire frutto del punto di vista cittadino.

Il radicamento della parola cafone nei dialetti del Sud è comprovato, tra l’altro, da locuzioni come pane cafone (una forma di pane della tradizione culinaria campana) e dai tanti suoi derivati, tra i quali segnaliamo: pugliese cafoneria ‘stanzone nelle grandi masserie usato come ricovero per i braccianti forestieri’, abruzzese cafunische ‘ciotola di terracotta dei pastori’, siciliano cafuniari ‘mangiare in fretta e con voracità’, quindi calabrese ncafunari di analogo significato, napoletano ncafonire ‘divenir rustico’ (cfr. ancora LEI XIII, coll. 669-670). Ma interessanti sono anche alcune formazioni italiane novecentesche registrate nelle Appendici (1950 e 1963) di Bruno Migliorini al Vocabolario moderno di Alfredo Panzini, quali scafonizzare ‘dirozzare, incivilire’, anglocàfoni ‘nome attribuito dagli italo-americani più attaccati alla cultura italiana ai loro connazionali più americanizzati’ (l’accento imita quello di anglosàssoni), motocafone ‘motociclista maleducato’, che testimoniano la fortuna del termine cafone nella lingua nazionale già alla metà del secolo scorso. Aggiungiamo, a mo’ di curiosità, Supercafone, titolo di un brano del 1999 del rapper romano Piotta, Cafonal, titolo di un libro fotografico del 2008 di Roberto D’Agostino, da cui cafonal-chic, coniato sul modello di radical-chic.

Meno certa appare invece – come abbiamo già accennato sopra – l’origine remota della parola cafone, per la quale, non a caso, sono state proposte svariate (e talvolta fantasiose) etimologie, che converrà esaminare criticamente – almeno le più diffuse – al fine di individuare quella più probabile.

Un’etimologia che gode di un certo favore, seppur a livello popolare (tanto che chi scrive ricorda di averla sentita anche dal suo professore di lettere del liceo), è quella che vorrebbe la forma cafone derivata, in area campana, dalla concrezione della preposizione ca (‘con la’) più il sostantivo fune per indicare ‘quelli con la fune’ (va notato che, secondo questa spiegazione, la forma originaria dovrebbe essere il maschile plurale cafùne, sul quale sarebbe stato poi ricostruito un singolare non metafonetico cafόne per analogia con opposizioni sing./plur. come giόvene ‘giovane’ / giùvene ‘giovani’, sciόre ‘fiore’ /sciùre ‘fiori’, ecc.). Diverse le motivazioni storico-semantiche su cui si fonda tale ipotesi (citiamo dalla voce cafone di Wikipedia [consultata il 28.11.2017]):

- nell’entroterra della provincia di Terra di Lavoro ovverosia nel basso Lazio, intorno al 1400, quando nei comuni del frusinate o della Pianura campana arrivavano gli abitanti dei villaggi montani delle zone adiacenti, con delle funi arrotolate intorno alla spalla o alla vita, per acquistare il bestiame nelle fiere, questi venivano identificati dagli abitanti locali come quelli co’ ’a fune.

- Secondo un’altra tradizione, quando le nobili famiglie napoletane avevano la necessità di traslocare, chiamavano “chill co’ ’a fune” ovvero la ditta di trasloco che con funi e carrucole passava il mobilio dai piani al terreno, poi sempre “ca’ fune” (con la corda) assicuravano il tutto ai carri. Data la bassa scolarità del personale “chill ca’ fune” si trasforma in “chill cafune” e in italiano corrente “quei cafoni”.

- il termine cafone trarrebbe origine dall’espressione utilizzata per indicare gli abitanti delle campagne che, in occasione degli affollati mercati cittadini, arrivavano tenendosi legati con una fune per non perdersi l’un l’altro: “con la fune” = “ca’ fun” = cafone.

Tuttavia quest’interpretazione – come ammette la stessa Wikipedia – “non gode di credito presso gli studiosi di etimologia”. In effetti si tratta di un’interpretazione assai inverosimile, ma che ci fornisce l’occasione di invitare i nostri lettori a diffidare sempre di etimologie di questo tipo, che sarebbe più corretto chiamare paretimologie, perché fondate più che altro su assonanze, somiglianze di forma o di significato, riferimenti storici tutti da verificare, invece che su solide argomentazioni storico-linguistiche, di semantica e di grammatica storica (e a tal proposito dobbiamo osservare ancora che in napoletano l’uso dell’articolo determinativo aferetico ’a femm./’o masch. è relativamente recente, mentre anticamente erano in uso le forme la e lo, ciò significa che si diceva la fune e non ’a fune).

È a dir poco inverosimile anche la proposta di derivazione dall’accadico, lingua semitica parlata nell’antica Mesopotamia, riportata sempre in Wikipedia, anche se qualche lettore potrà trovarla particolarmente affascinante e suggestiva, come spesso accade con le etimologie, per così dire, “esotiche”, le quali ci fanno viaggiare molto (in questo caso troppo) in là nel tempo e nello spazio e, inoltre, sembrano quasi conferire una patente di antica nobiltà alle parole della nostra lingua o del nostro dialetto.

Poco plausibili sono poi due basi greche: κακόφωνος ‘che ha suono sgradevole, che parla male’, proposta da Raffaele D’Ambra nel suo Vocabolario napolitano-toscano (1873) e che tuttora sembra avere una certa circolazione in Internet (cfr., ad esempio, http://www.liberoricercatore.it/Cultura/pillole/cafone.htm), e σκαφεύς ‘zappatore’, che è parola rara, cosa che rende ancor più bassa la probabilità di un prestito.

In Wikipedia si legge inoltre che “gli studiosi di etimologia [...] danno come più probabile una derivazione dal latino cabōnem (da cabo, -onis, ‘cavallo castrato’) oppure dal nome di un centurione romano di nome Cafo”. Ma in realtà le cose stanno un po’ diversamente.

La prima ipotesi fu avanzata da Giacomo Devoto, che nel suo Avviamento alla etimologia italiana, ritenne cafone una “forma dialettale osca corrisp. al lat. cabo,-ōnis ‘cavallo castrato’, prob. incrocio di cab(allus) ‘cavallo’ e capo, -onis ‘cappone’” (gli Osci furono una popolazione della Campania antica pre-romana la cui lingua ha lasciato tracce di sostrato nei dialetti meridionali). Tuttavia, non ci risulta che tale proposta – per quanto sia stata formulata da un linguista del calibro di Devoto – abbia mai trovato il consenso degli studiosi, anzi va detto che lascia non pochi dubbi, a cominciare dal fatto che il passaggio semantico da ‘cavallo castrato’ a ‘contadino’ non è così immediato (si dovrebbe pensare a un traslato di ambito agricolo del tipo: ‘cavallo da lavoro per arare i campi’ > ‘la persona che ara i campi’), mentre sarebbe più spiegabile il passaggio da ‘animale castrato’ a ‘zotico’ (si confronti castrone ‘agnello o puledro castrato’ e al figurato ‘persona sciocca, ignorante’), ma quest’ultimo significato – lo ricordiamo – si è sviluppato solo in un secondo momento ed è successivo a quello di ‘contadino’.

Per quanto riguarda la seconda (accolta con riserva dal DEI), siamo invece d’accordo con Alberto Zamboni nel considerare il latino Cafo, -onis (nome di un centurione seguace di Marco Antonio e da costui gratificato di terre nell’agro campano) solo “una mera coincidenza” (cfr. anche il DELI). Quest’ipotesi, tra l’altro, non è nemmeno sorretta da una soddisfacente spiegazione di tipo semantico: ammesso pure che il nome del centurione fosse divenuto sinonimo di ‘rozzo, zotico’, ripetiamo che quest’accezione è cronologicamente secondaria.

A questo punto, augurandoci di non aver tediato troppo i nostri lettori, come in ogni giallo che si rispetti (ché, d’altra parte, il lavoro dell’etimologo non è poi tanto lontano da quello del detective), dopo aver scartato uno per uno i principali “sospettati”, proviamo a scoprire il “colpevole”, ovvero, parlando fuor di metafora, a fornire una soluzione all’etimologia di cafone. Ebbene, un’etimologia pienamente soddisfacente dal punto di vista storico, semantico e fonetico – tanto da essere accolta sia nell’Etimologico di Alberto Nocentini, sia nel LEI (XIII, c. 673), ma appena accennata in Wikipedia – fu individuata più di un secolo fa dal glottologo Carlo Salvioni, che riconobbe nel tipo italiano meridionale cafone un derivato del latino cavare‘scavare; rivoltare la terra’, con aggiunta del suffisso -one (che indica abitudine o eccesso nel fare l’azione espressa dal verbo, come in chiacchierone, imbroglione, mangione, sgobbone), quindi cafone come ‘colui che scava, che zappa la terra’, vale a dire ‘contadino’ (e vale la pena di ricordare che i vocaboli d’origine latina costituiscono l’ossatura del patrimonio lessicale delle lingue romanze). Per la fonetica, il passaggio di -v- a -f- è fenomeno frequente nell’Italia meridionale, quindi proprio là dove il termine ha avuto origine (cfr. ROHLFS 1966 § 219, che cita anche le seguenti forme: calabrese settentrionale e lucano cafà ‘cavare’, calabrese cafùni ‘precipizio’, ‘solco profondo’, napoletano, a Ottaiano, cafόnǝ ‘cavità’).

In conclusione, senza voler imporre la nostra opinione ai lettori, ci sentiamo comunque di dire che quest’ultima etimologia, stando alla documentazione e alle informazioni attualmente a disposizione, è da considerarsi la più plausibile e la più solida sotto l’aspetto scientifico. Inoltre, cogliamo l’occasione per suggerire loro di consultare, ogni qual volta vogliano soddisfare una curiosità di tipo etimologico, dapprima gli strumenti lessicografici qui citati (alcuni, tra l’altro, utilizzabili anche elettronicamente), che sono frutto del paziente lavoro di studiosi di indiscutibile competenza, lasciando a un secondo momento le ricerche fai da te in rete, la quale – come abbiamo visto nel presente intervento – anche in questo campo nasconde non pochi “pericoli”.

Al riguardo, consentiteci di chiudere con le parole di uno dei grandi maestri dell’etimologia romanza, l’ideatore del LEI Max Pfister, scomparso di recente:

Non c’è alcun dubbio che non si possa praticare la ricerca etimologica senza una qualificata formazione linguistica e culturale. Non è anche dubitabile che una conoscenza specifica degli oggetti o delle immagini verso i quali si intende rivolgere le proprie indagini etimologiche sia di grande utilità alla ricerca. Così come, infine, è del tutto evidente che la buona conoscenza delle lingue e dei dialetti coinvolti nel lavoro di ricerca è di inestimabile ausilio. Ma esiste una tendenza, non solo diffusa tra il più vasto pubblico degli “utenti finali” etimologici (coloro, per capirci, in fondo e a buon diritto interessati solo a sapere che significhi il loro nome, o il nome del loro paese d’origine), ma presente anche in una parte della ricerca etimologica; tendenza che mira a definire un’arte quella dell’etimologo, tornando così in qualche modo ad alimentare una sorta di mito della divinatio che farebbe di uno studioso di linguistica un etimologo. Insomma, l’etimologo sarebbe una specie di sacerdote della significazione e dell’origine. Un artista, cioè, un quasi creatore; più o meno quale nel Medio Evo si riteneva fosse un simile personaggio. Io, più umilmente, più concretamente, ma anche più verosimilmente, penso invece che non esista un’arte etimologica, e che quello dell’etimologo sia un mestiere, a volte di duro sacrificio, a volte di estrema gratificazione, ma comunque un lavoro con regole precise, tempi e fonti determinate, connessioni tecniche e culturali puntuali, e così via: dunque un mestiere.

 

Per approfondimenti:

  • Giacomo Devoto, Avviamento alla etimologia italiana, Firenze, Le Monnier, 1966.
  • Alfredo Panzini, Dizionario moderno delle parole che non si trovano nei dizionari comuni, con un proemio di Alfredo Schiaffini e con un’appendice di ottomila voci nuovamente compilata da Bruno Migliorini, Milano, Hoepli, 19509.
  • Alfredo Panzini, Dizionario moderno delle parole che non si trovano nei dizionari comuni, con un proemio di Alfredo Schiaffini e con un’appendice di dodicimila voci nuovamente compilata da Bruno Migliorini, Milano, Hoepli, 196310.
  • Max Pfister, Il mestiere dell’etimologo, Lezioni Magistrali, Trieste, EUT, 2009.
  • Carlo Salvioni, Osservazioni varie sui dialetti meridionali di terraferma (serie I-III), in “Rendiconti dell’Istituto lombardo di scienze e lettere”, 44 (1911), pp. 759-811, a pp. 797-798; rist. in Id., Scritti linguistici, a cura di Michele Loporcaro e altri, Bellinzona, Edizioni dello Stato del Canton Ticino, 2008, vol. IV, pp. 446-512, a pp. 484-485.
  • Alberto Zamboni, recensione a Manlio Cortelazzo-Paolo Zolli, Dizionario etimologico della lingua italiana, vol. I (A-C), Bologna, Zanichelli, 1979, in “Lingua e Stile”, XIV (1979), p. 657.

 

A cura di Antonio Vinciguerra
Redazione Consulenza Linguistica
Accademia della Crusca

 

15 dicembre 2017


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