Sull'uso dell'imperfetto congiuntivo al posto del presente

Molte persone sottopongono alla nostra attenzione l'impiego del congiuntivo imperfetto con valore esortativo in luogo del presente, sottolineandone la diffusione anche in aree in cui non è tradizionale. La stessa provenienza della richieste è indicativa: ci scrivono dal centro-sud (da Roma e dalla provincia di Salerno), ma anche dalla Toscana (da Grosseto, dalla provincia di Firenze, da Lucca), e dal nord della penisola (dall'area metropolitana di Bologna, da Milano, da Verona). A questa domanda ha risposto Paolo D'Achille sulla rivista La Crusca per voi (n. 39 ottobre 2009): eccone il testo.

Risposta

 

Sull'uso dell'imperfetto congiuntivo al posto del presente

 

Alessandro Feni ci scrive dicendo che continua a notare in televisione, ma non solo, forme e costrutti sulla cui correttezza si interroga da tempo. In particolare egli riporta una frase del C.T. dell'Italia Marcello Lippi del 14/10/2010 che, imprecando contro i tifosi che “consigliavano” ai giocatori in campo di andare a lavorare, diceva: “che andassero loro a lavorare!”. Il nostro lettore domanda se non sarebbe più corretto dire: “che vadano loro a lavorare!”.

 

L’uso dell’imperfetto congiuntivo al posto del presente in frasi principali che hanno valore esortativo è certamente un tratto marcato come centromeridionale, estraneo alla tradizionale norma italiana. In un articolo di alcuni anni fa, Luca Serianni (La lingua italiana tra norma e uso, in Riflettere sulla lingua, a cura di Carla Marello e Giacomo Mondelli, Firenze, La Nuova Italia, 1991, pp. 37-52, a p. 48) lo etichettava come “un costrutto […] tipicamente romanesco e meridionale e generalmente malvisto altrove”, da considerare “ai margini della norma italiana”. Successivamente, però, l’uso dell’imperfetto al posto del presente è andato diffondendosi: questo imperfetto si sente in TV non solo in bocca a parlanti romani (Paolo Bonolis) e meridionali (Antonio Di Pietro), ma anche (se pure meno spesso) a toscani (è il caso di Marcello Lippi, indicato dal nostro lettore) e settentrionali (l’ex ministro della giustizia Roberto Castelli), si rileva talvolta nel doppiaggio (dove del resto i “romaneschismi non avvertiti” sono tutt’altro che rari) e affiora persino in testi scritti, cartacei (stampa, narrativa) e in rete. Dunque, il costrutto dallo status di “regionalismo” sta passando a quello di tratto “substandard”: è cioè ancora considerato “scorretto” o comunque non del tutto corretto (come rileva appunto il nostro lettore), ma risulta diffuso nell’uso parlato nazionale (come “a me mi piace”). È molto probabile che all’espansione dell’imperfetto in questo contesto abbia contribuito proprio la cospicua presenza nella lingua diffusa dalla televisione, che veicola parole, forme e costrutti di matrice sia settentrionale (piuttosto che con valore di oppure), sia romana e meridionale (come in questo caso).

C’è da dire che, rispetto al presente, l’imperfetto conferisce al verbo una sfumatura semantica un po’ diversa: questo tempo infatti, sia all’indicativo sia al congiuntivo, esprime spesso la categoria (modale, più che temporale) dell’irrealtà (o, come si dice tecnicamente, della “non fattualità” o della “controfattualità”). Così, nelle frasi ottative (altre frasi principali che richiedono il congiuntivo, come “Lo volesse il cielo”, ecc.) “l’alternanza tra congiuntivo presente e congiuntivo imperfetto riflette il tipo di desiderio, che si presenta alla coscienza del parlante ora come realizzabile (congiuntivo presente), ora come irrealizzabile (congiuntivo imperfetto)” (Luca Serianni, Grammatica italiana. Italiano comune e lingua letteraria. Suoni, forme, costrutti, con la collaborazione di Alberto Castelvecchi, Torino, Utet, 1988, p. 444, cap. XIII, § 36). Analogamente, dunque, dicendo “che andassero loro a lavorare”, invece di “che vadano loro a lavorare”, il parlante sembra esprimere il proprio scetticismo circa la realizzabilità dell’evento, a dispetto del valore esortativo del suo enunciato.

 

Paolo D’Achille

Piazza delle lingue: La variazione linguistica

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