Diversi lettori hanno posto il problema dell’uso del futuro semplice in contesti non futurali quali “Come certamente saprete…”, “Ti avrò detto centinaia di volte…”
La perplessità nasce in particolare dai seguenti due fattori. Innanzi tutto, è stata sottolineata l’apparente contraddizione fra la “quasi certezza” di certe affermazioni (come certamente / tutti saprete) e la scelta di un tempo, il futuro, circa la cui corrispondenza al vero il parlante non può normalmente possedere conclusiva dimostrazione. Nelle domande dei lettori si oscilla tra il dubbio che in questi casi si debba usare l’indicativo, per sottolineare il convincimento circa la veridicità dell’asserto (sapete), o il congiuntivo, per rimarcare il residuo scarto rispetto alla verificata certezza (immagino sappiate). In secondo luogo, suscita perplessità il fatto che, nelle locuzioni sopra citate, il futuro sia usato con riferimento a situazioni passate, anziché future. Se dico: tu certamente saprai, voglio infatti sottolineare che il mio interlocutore è già venuto a conoscenza del fatto di cui sto parlando.
Conviene affrontare separatamente i due problemi. Il primo investe il tema della modulazione del grado di certezza che il parlante attribuisce al proprio asserto. Ciò rientra nell’ampia categoria dell’epistemicità, rispetto alla quale i parlanti dispongono di svariati attrezzi espressivi. Questi possono consistere in strumenti lessicali, come avverbi (forse, probabilmente, certamente…) o aggettivi (eventuale, probabile, certo…); ma possono anche assumere veste morfosintattica, ossia apposite forme verbali. Il condizionale è infatti spesso impiegato con intenzione epistemica, come in: Il ladro sarebbe entrato dal retro del negozio. Ma anche il futuro si presta a questo scopo, come mostrano le citazioni sopra riportate. V’è tuttavia una differenza rispetto al condizionale. Quest’ultimo sottolinea sempre la cautela del locutore, che non intende assumersi piena responsabilità su ciò che riferisce, in quanto la sua conoscenza dei fatti è solo indiretta. Il futuro, invece, sfrutta l’intera gamma delle possibilità epistemiche, dalla tenue congettura all’assoluto convincimento. Solo il contesto ci permette di scegliere l’interpretazione appropriata. Se per esempio dico: Saranno le 5, potrei esprimere tanto una timida ipotesi, quanto una motivata certezza.
Quello che resta immutato – e passo qui al secondo dei problemi sopra enucleati – è il riferimento temporale, che non è futurale, bensì ancorato al presente: Saranno le 5 si riferisce, infatti, all’istante in cui viene prodotta l’enunciazione. Ma, come si è notato sopra, con certi verbi la situazione cui si fa riferimento può aver avuto inizio in un momento precedente: se in questo momento so qualcosa, con ogni probabilità ne ero già a conoscenza prima. Quando poi venga usato in funzione epistemica il futuro composto, il riferimento al passato è garantito, come si può notare in: Saranno state le 5, quando è mancata la corrente; in questo caso il parlante esprime una qualche modulazione epistemica circa un evento passato (dubbio, ragionevole ipotesi, soggettivo convincimento…). Si può anche giungere ad un grado tale di certezza, da sconfinare nella modalità confermativa, come nell’esempio proposto da un lettore: Te l’avrò detto centinaia di volte di non uscire da solo. Il parlante non di rado chiarisce la propria intenzione con opportuni avverbi epistemici, come in: Saranno magari [= dubbio] / chiaramente [= certezza] state le abbuffate natalizie a lasciarti questo maldipancia.
Occorre a questo punto fare, per così dire, un passo di lato, e considerare i modali potere e dovere. Tali verbi possono essere impiegati in senso deontico, per esprimere la possibilità o necessità logica che qualcosa accada, come in: Chi ha la tessera può entrare, chi ne è sprovvisto deve restare fuori. Ma possono anche essere usati in senso epistemico, per esprimere, a seconda del contesto, l’intera gamma delle accezioni modali corrispondenti, sia pure attraverso una sorta di divisione di compiti. Dicendo: Possono essere le 5, sto verosimilmente esprimendo una congettura, mentre dicendo: Devono essere le 5, è più probabile che io stia facendo un’affermazione fondata su solide inferenze. Si tratta, peraltro, soprattutto nel secondo caso, di situazioni passibili di modulazione contestuale. L’intonazione con cui pronunciamo la frase può aiutarci a trasmettere la nostra reale intenzione comunicativa. In alternativa, si ricorre ad avverbi epistemici: Possono forse / Devono proprio essere le 5; e magari si rafforza l’idea adoperando il futuro: Potranno (magari) essere le 5, per quanto ne so.
La valenza epistemica dei modali non è una proprietà esclusiva dell’italiano. La si può osservare anche in altre lingue, per esempio in inglese: He will / must be in his room right now ‘Sarà nella sua stanza in questo momento’. Si noti, qui, che il modale will svolge un ruolo ambiguo: da un lato, è un autentico modale, con la stessa legittimità di must; dall’altro, può essere letto come un futuro epistemico, stante la normale morfologia dell’inglese. Se ora si considera che il futuro delle lingue romanze è nato, appunto, dall’incorporazione del verbo hăbĕo in funzione modale (facere habeo ‘ho (da) fare’ > farò), ben si può comprendere come le potenzialità di designazione epistemica dei modali abbiano potuto mantenersi nel futuro italiano. Vale anzi la pena di notare che, nella nostra lingua, tale potenzialità si è radicata assai più profondamente che in francese, dove l’equivalente di: Sarà anche vero, ma non ci credo non risulta accettabile.
Del futuro epistemico si trovano del resto attestazioni molto precoci nella nostra lingua. Bastino queste due citazioni:
Chi sarà [= potrebbe mai essere] quelli di sí duro cuore, che udendo lo mio dire non si muova a pietade e dirottamente non pianga? (Bono Giamboni, Vizi);
…se queste pari sono in una diceria o inn una lettera, certo l’arte di retorica vi fie [= deve pur essere] altressì (B. Latini Rettorica; con la forma arcaica del futuro di essere).
Nota bibliografica:
Pier Marco Bertinetto
1 ottobre 2021
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