Sono pervenuti alla redazione molti quesiti che riguardano la resa in italiano dei nomi di città straniere, con riferimento sia alla grafia, sia alla pronuncia. Perché in alcuni casi si usano nomi italianizzati e in altri si adoperano le forme delle lingue originarie?
Il dubbio sorge legittimamente, dal momento che non c’è una norma univoca che regoli la trasposizione in italiano dei nomi propri di città estere, come dimostra la varietà dei casi. Ci sono, infatti, toponimi come Londra e Parigi, che rappresentano gli sviluppi italiani delle forme latine che hanno dato esiti diversi nelle lingue romanze; altri, quali New York e Sydney, che mantengono la veste anglosassone; altri ancora, come Edimburgo e San Pietroburgo, che sono stati adattati alla morfologia italiana; infine, alcuni nomi di città, come Copenaghen, pur non costituendo delle italianizzazioni totali, si differenziano dalle forme originali.
Iniziamo col dire che tutti i nomi di città e paesi con cui l’Italia ha avuto contatti nel corso della storia tendevano, fino al Novecento, a essere adattati alle norme fonomorfologiche italiane, secondo la tradizione medievale toscana (documentata, per esempio, nelle lettere dei mercanti che operavano all’estero, che presentano appunto adattamenti del genere). Bisogna anche rilevare che molti toponimi (come anche molti antroponimi) hanno avuto a lungo una veste oscillante e si sono stabilizzati nella forma attuale solo in epoca relativamente recente (si pensi ad alternanze come Venezia/Vinegia); e questo a maggior ragione vale per i toponimi stranieri (è il caso di Mosca/Moscova). Nel Novecento la tendenza all’adattamento (che ha comunque ammesso sempre qualche eccezione, come Madrid) ha iniziato ad attenuarsi, anche se i toponimi italianizzati ormai acquisiti e di ampia diffusione si sono mantenuti: a nessuno infatti verrebbe in mente di pronunciare una frase come “Vado a London per lavoro” o “Ho passato le vacanze a Marseille”. Ci sono però vari adattamenti italiani che hanno perso terreno. Invece, nei casi in cui il luogo in questione ha avuto scarsi rapporti con l’Italia prima del Novecento, la forma originaria del toponimo è l’unica usata o comunque quella prevalente. Abbiamo così Colonia ma Dortmund in Germania, Nizza ma Cannes in Francia, Edimburgo ma Glasgow in Scozia.
Il mantenimento della forma originaria dei toponimi anglo-americani è favorito sia dalla recente fondazione di molti di essi, sia dalla larga diffusione della lingua inglese. È il caso delle citate New York e Sydney, ma anche di Washington, Chicago, Cambridge e della grande maggioranza delle città dei paesi di lingua inglese. La forma ibrida Nuova York, che pure ha avuto una discreta diffusione nello scorso secolo, è ormai decisamente in disuso. Tra i toponimi americani è interessante il caso di Philadelphia, la cui versione italianizzata Filadelfia, che trova ragion d’essere nell’origine greca del termine, continua a resistere. Ma la crescente diffusione dell’inglese e l’uso frequente della parola in film, canzoni e prodotti commerciali, fanno sì che la forma più usata sia ormai quella anglosassone.
Il nome di Copenaghen, adattamento parziale di København, si può spiegare con la mancanza in italiano di alcune lettere dell’alfabeto danese e con l’esigenza di non allontanarsi troppo dalla forma originaria. Il Vocabolario di pronuncia dei principali nomi geografici moderni di Ettore De Toni (Venezia, 1895) riporta però anche la variante Copenàga, più decisamente italianizzata (e comunque caduta in disuso), mentre oggi risulta diffusa anche da noi la grafia inglese Copenhagen.
Interessante il caso di Parigi, che aveva anticamente il nome di Lutetia, a cui Cesare, nel De Bello Gallico (VII, 58), aggiunse il genitivo Parisiorum dalla tribù gallica dei Parisii, che popolava l’area già dal III secolo a. C. Successivamente i Romani, che solevano mantenere i toponimi indigeni delle aree conquistate, estesero il nome della tribù anche alla città. L’italiano eredita la forma latina, pur trasformata foneticamente; in altre lingue, come il tedesco, l’inglese, ma anche lo spagnolo, la grafia ricalca quella francese (Paris), adattata nella pronuncia.
Si parte dal latino anche nel caso di Barcelona, che deriva dal latino Barcinone(m), accusativo di Barcino, con trasformazione della -e in -a e dissimilazione della prima n in l. In italiano la l intervocalica ha poi subito il raddoppiamento e la c, che in spagnolo si pronuncia come una sibilante, ha assunto la pronuncia italiana di affricata palate sorda (la c di cena).
Anche Londra era già nota ai latini come Londinium, oltre che come Augusta Trinovantum (inizialmente Troia Nova). Probabilmente il primo e più fortunato toponimo si deve al re pre-romano Lud, che volle chiamare la città Kaer Llundain (“forte di Lud”), da cui l’inglese London. L’adattamento italiano, in questo caso, si è sensibilmente allontanato anche dalla base latina.
Molti toponimi dell’Europa nord-orientale nei loro adattamenti italiani terminano in -burgo: San Pietroburgo, Edimburgo, Brandeburgo, Friburgo… Il suffisso, che nasce dallo stesso termine latino che ha prodotto in italiano il termine borgo, esiste in molte lingue, neolatine e non (tedesco -burg; francese -bourg; inglese -borough). La forte somiglianza tra le forme da una parte ne favorisce la comprensione, dall’altra facilita l’adattamento, per influsso dei toponimi italianizzati già in uso. La città svedese di Göteborg era nota come Gotemburgo, forma che ormai da tempo è sentita come arcaica. Enrico Cocchia nella prima edizione del suo Lessico della pronunzia dei principali nomi storici geografici italiani e stranieri (Torino-Roma, 1896) riporta solo Göteborg, indicandone la pronuncia svedese e quella tedesca; lo stesso autore nella seconda edizione dell’opera (Torino, 1915) aggiunge la forma italianizzata, precisando però che si tratta di un adattamento storico.
Un caso particolare è rappresentato dai toponimi dell'Alto Adige, dell’Istria e della Dalmazia, la cui storia è più complessa e ha risvolti anche politici.
Nel caso dell’Alto Adige, si ricorda il Prontuario dei nomi locali dell'Alto Adige, redatto nei primi del Novecento da Ettore Tolomei su commissione di Giolitti e volto ad imprimere "il sigillo perenne del nazional dominio" in questa regione, a maggioranza tedescofona (e non va dimenticata la presenza ladina). Si imposero così toponimi italianizzati come Bolzano, Merano, Gardena, Vipiteno, non tutti effettivamente usati già in precedenza. Ma nel secondo dopoguerra, con la tutela costituzionale delle minoranze linguistiche, nell’Alto Adige/Südtirol si è imposta la toponomastica bilingue (o trilingue, nelle zone in cui si parla il ladino). Ciò non toglie che, in italiano, si continuino a usare i toponimi italiani.
Nel caso dell’Istria e della Dalmazia i nomi dei luoghi sono stati più volte tradotti o riplasmati sulla lingua del conquistatore di turno. Si prenda ad esempio la città di Fiume, fondata come municipio romano col nome di Tarsatica per poi divenire Vitopolis e Flumen. La città fu sotto il controllo dei Franchi e poi degli Ungheresi, fece parte prima dell'Impero austro-ungarico e poi, dopo aver costituito uno stato libero dal 1920 al 1924, del Regno d’Italia, per passare, nel secondo dopoguerra, alla Jugoslavia e quindi, con lo smembramento della federazione jugoslava, alla Croazia. Un ruolo importante nella storia della città fu ricoperto anche dalla Repubblica di Venezia, con la quale i rapporti commerciali furono così stretti che il fiumano è considerato una variante locale del veneziano "de là de mar". Una città multietnica e contesa come Fiume non poteva non avere più denominazioni: in ungherese, anticamente, Szentvit; in tedesco Sankt Veit am Flaum o Pflaum; in croato Rijeka (che significa, appunto, ‘fiume’); in sloveno Reka. Per Fiume e per le altre città dell’Istria e della Dalmazia in italiano si continuano a usare i nomi italiani (così per Pola/Pula, Spalato/Split, Zara/Zadar, ecc.). Solo nel caso di Ragusa (o Ragusa di Dalmazia), l’omonimia con la città siciliana ha favorito l’adozione del toponimo croato Dubrovnik.
Come risulta dalla breve panoramica fornita, la mancanza di una norma univoca rende l'uso prevalente il criterio più idoneo per scegliere caso per caso la forma migliore e, per questo, è sempre opportuno consultare un dizionario di toponomastica o un'enciclopedia.
Alessandra Manenti
Redazione Consulenza Linguistica
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13 dicembre 2016
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