Alcuni lettori chiedono se esista la parola tranquillezza e se sia un sinonimo di tranquillità. La risposta è sì a entrambe le domande, ma si può integrarla per chi ne vuol sapere un po’ di più.
Tranquillezza è parola grammaticalmente ineccepibile, perché è proprio dell’italiano formare sostantivi astratti in -ezza a partire da aggettivi (bello-bellezza, acuto-acutezza), ma non ha avuto la stessa fortuna della concorrente tranquillità. Non è l’unico caso in cui derivati in –ezza cedono a più blasonati eredi del latino (dall’uscita in –tatem), come aridezza di fronte a aridità o lucidezza di fronte a lucidità. Per la verità, i due sostantivi, quello più nostrano in -ezza e quello più latineggiante in –tà, possono convivere in buona sinonimia, come chiarezza-chiarità, purezza-purità, ma, giusta la regola di buona formazione delle parole, la lingua non gradisce troppi termini per dire la stessa cosa e ne scarta alcuni a scapito di altri. In particolare, sono stati vittima di questa selezione non pochi derivati in -ezza, come io stesso ho mostrato nel mio Italiano scomparso, che mi scuso di citare, spesso sconfitti da concorrenti più vicini al latino, come mostrano le coppie antichezza/antichità, avidezza/avidità, ambiguezza/ambiguità, aridezza/aridità ecc. ecc.
Dunque tranquillezza è un sinonimo legittimo ma senza fortuna di tranquillità, che è per giunta più antico (risale al XIII secolo). Tranquillezza è attestato (per quel che se ne sa) solo dal Seicento e si affaccia sporadicamente anche in testi del Sette e Ottocento:
limitandoci a spulciare Google libri: in un Dialogo delle tre vite riputate migliori del 1640 di tal Cavaglier (sic) Pompeo Caimo, Primario Lettore in Padova, si legge: «la vita negotiosa è propria dell’uomo sensibile, la contemplativa dell’intellettuale, quella ci rivoglie (sic) agli affetti e alle cose materiali, questa ci solleva alla tranquillezza e alle divine»; in un Racconto istorico sulla Congiura dei ministri del re di Spagna contro la fedelissima ed esemplare città di Messina del Dot. Giovan Battista Romano e Colonna, cavaliere messinese, del 1676, si parla «della tranquillezza dei popoli»; il celebre Gian Vincenzo Gravina, nell’«esposizione volgare» di un suo Discorso agli Arcadi (lo leggo da un’ediz. del 1798, ma il testo è del 1696), parla della «tranquillezza della vita»; in qualche testo ottocentesco si trovano le coppie «concordia e tranquillezza» (un’orazione a stampa del 1863) e «giovialità e tranquillezza» (nel romanzo L’Italia negli ultimi vent’anni di Carolina Toscani Sartori, del 1854).
Ma tranquillezza ha così poche attestazioni che non è entrata neppure nei grandi vocabolari storici: non è nelle Crusche antiche né nel Tommaseo Bellini, né nel monumentale e recente Battaglia.
È però riemersa in tempi recenti. Chi la usa può, tanto è rara, “tranquillamente” crederla un neologismo, come si vede dalle virgolette con cui la inquadra un’intervista al dietologo Valter Longo del 2017, leggibile sull’"Huffington Post" del 16 ottobre 2017. Anche di recente tuttavia le sue presenze sono pochissime. Eccone alcune tracce:
Claudio Foschini, Storie di una mala vita (Feltrinelli 1993); Franco Giambalvo, Nuove vie per le Indie (Pragmata 2014, un romanzo in formato elettronico, che finge il recupero di un testo del ‘500); Marco Drago, Domenica sera (Feltrinelli 2001) che parla della «filosofia della tranquillezza».
A dare un po’ di sostegno a questo debolissimo sostantivo, è stato il linguaggio musicale ottocentesco, anche se è molto cliccata su youtube una recente Tranquillezza for string. In effetti "(con) tranquillezza" appare nella terminologia musicale come sinonimo di "(con) tranquillità", un’indicazione agogica che si trovava soprattutto negli spartiti ottocenteschi. La usavano soprattutto compositori di lingua madre non italiana; ad esempio, la trovo come indicazione e titolo di alcune composizioni: dell’op. 70 ("sostenuto con tranquillezza") del pianista ceco (morto nel 1870) Ignaz Moscheles, famoso soprattutto come didatta e quindi fornitore internazionale di terminologia; del n. 4 di uno Studio per violino del tedesco (di metà xix secolo) Ferdinand David ("lentamente con tranquillezza"): entrambi stranieri e dell’800, come si vede, anche se l’annotazione ritorna ancora in un movimento di un Concerto per violino dell’australiano Don Kay del 1983 . E così i lessici specialistici che la registrano sono prevalentemente stranieri e ottocenteschi. Ne cito solo alcuni:
Musikalische Lexicon, di J.E. Hauser,1833: tranquillezza = con tranquillamento; Allgemeine Musiklehere di G. Weber, 1831: tranquillamente, con tranquillezza, con tranquillità; A Dictionary of two thousand… musical terms di J. A. Hamilton, 1842: tranquillo, tranquillamente, con tranquillezza = tranquilly, composedly; Adams’s New Musical Dictionary, 1865: con tranquillezza= with tranquillity ecc. ecc.
Nel Novecento è ancora registrata (sotto tranquillo si legge: tranquillezza, tranquillity) nel The Oxford Companion of Music di A. Latham, riedito nel 2011 (ma prima edizione 1938), ovviamente perché storicamente documentata più che perché ancora usata. Ma è significativo che non sia a lemma in nessuno dei quattro dizionari italiani di termini musicali che ho potuto consultare grazie alla collaborazione di amici e colleghi, neppure nel più ampio e autorevole lessico (in 4 volumi, usciti nel 1983-84) del monumentale (13 volumi) DEUMM (Dizionario enciclopedico universale della musica e dei musicisti) della Utet. Non sarà dunque un caso se tranquillezza si trova soprattutto in dizionari specializzati stranieri, per e di musicisti o musicologi dalla prevedibilmente scarsa o imperfetta familiarità con l’italiano.
Tra i tanti italianismi della terminologia musicale internazionale, tra Otto e primo Novecento, ha dunque circolato anche l’andamento con tranquillezza, tradotto in inglese "with tranquillity" o parafrasato con un altro italianismo: tranquillamento, che, attestato altrettanto raramente in italiano, ma già dal Trecento (cfr. corpus OVI), non è però propriamente un suo sinonimo (il tranquillamento sarebbe l’atto che induce, provoca tranquillezza…). In concreto, (con) tranquillezza era il poco comune antonimo agogico del più frequente “con allegrezza”, e indicava con un’immagine quello che in seguito ha precisato matematicamente il metronomo.
La storia di tranquillezza consente di osservare la vicenda per cui, tra più possibilità, la lingua ne premia una e scarta l’altra o le altre, ma non perché queste siano più scorrette, ma per ragioni in genere imponderabili, di cui quella culturale della maggiore distanza dal latino rispetto ai concorrenti, può essere, come dicevo, una delle poche prevedibili. Ma non necessariamente sempre valida: lo dimostra il caso, sempre dell’area semantica di tranquillo, in cui c’è concorrenza, nei verbi, tra il desueto tranquillare (ma vivissimo nel participio sostantivato tranquillante) e il comune (e francesizzante) tranquillizzare, per cui noi prendiamo “un tranquillante” ma riceviamo “una notizia tranquillizzante”. Nel ruolo di verbo, il più recente (XVIII secolo) calco dal francese, tranquillizzare, ha sconfitto il più antico erede del latino medievale tranquillare, a dimostrazione che non sempre il blasone della lingua classica basta a difendere una parola da concorrenti temibili.
Insomma, tranquillezza non è un neologismo, è solo una parola rarissima, non scorretta. Ma poiché ha lo stesso significato di tranquillità non si vede perché usarla o abusarne, anche se piace nel simpatico lapsus di una felice centenaria (designata come "Miss tranquillezza") di un borgo calabrese, che rivela (su youtube) nella tranquillezza il segreto della sua longevità. A meno che, come sembrano indicare certi usi attuali, le si voglia conferire (o ritrovarle, perché in fondo ne aveva già avuta una in qualche modo simile nel citato saggio secentesco di Pompeo Caimo) una connotazione new age, come sembra indicare la "giornata della tranquillezza" pubblicizzata su Facebook nel 2010.
Nessun divieto per tranquillezza dunque. Ma troviamo una buona ragione per questo duplicato, se proprio vogliamo usarlo.
7 dicembre 2018
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