Alcuni lettori avvertono (talvolta perplessi, talaltra addirittura ostili) che, in particolare nella comunicazione aziendale, accanto e al posto del verbo risolvere e del suo participio risolto, si vanno diffondendo soluzionare e soluzionato. Un altro lettore segnala l’uso particolare di soluzionare nel significato di ‘trattare con una soluzione chimica’: "La stoffa è stata soluzionata con un prodotto che evita che si sfrangi quando viene tagliata". Queste forme sono accettabili?
Troviamo una soluzione…
La risposta è sì. L’abitudine di ricavare nuovi verbi in -are da nomi, astratti e anche concreti (abilità > abilitare, benda > bendare, beneficio > beneficiare, cifra > cifrare, contatto > contattare, ecc.) esiste da che italiano è italiano. Soluzionare, poi, non si può più considerare un neologismo: i vocabolari ne fanno risalire la prima attestazione scritta al 1927. Sette anni dopo, nel 1934, il grande linguista Giacomo Devoto, in un articolo di argomento linguistico pubblicato sulla prestigiosa Enciclopedia Italiana Treccani, lo usava come esempio per dar conto del processo derivativo che ne è alla base: "poiché in questo momento si ha una tendenza a ravvivare la categoria dei verbi denominativi, a stringere i rapporti fra sostantivi astratti e verbi dell'azione corrispondente, così si osserva il nascere di verbi come revisionare o soluzionare che sono per il nostro gusto orribili, ma rispondono a un'esigenza più profonda, rispecchiano un processo di espansione morfologica".
Dunque, soluzionare e soluzionato, nei loro diversi significati, sono sicuramente accettabili. Ciò non toglie che si possa continuare a preferire il tradizionale risolvere, almeno quando soluzionare ha questo significato, oppure la forma analitica trovare una/la soluzione.
Giuseppe Patota
18 ottobre 2016
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