Un caldissimo saluto prima delle vacanze

In occasione della pausa estiva, abbiamo deciso di congedarci dai nostri lettori proponendo le diverse denominazioni e locuzioni usate in Toscana per indicare il caldo afoso dell'estate. Per farlo ci siamo serviti soprattutto dei materiali offerti da ALT-web L’Atlante Lessicale Toscano in rete. La scheda è dedicata a coloro che si sono impegnati e si impegnano per spegnere gli incendi che in questi mesi (e non solo per colpa del caldo) stanno distruggendo il nostro patrimonio naturale.

Risposta

"Firenze, caldo record in città: al sole percepiti fino a 44 gradi", "Settimana bollente, con tanto sole e caldo africano", "L'estate 2017 potrebbe essere la più calda di sempre - Sarà un'estate da record: rischio di temperature elevate e siccità sul Nord Italia e sul medio e alto Tirreno", "Bomba di caldo: afa da record, notti insonni e ricoveri in ospedale - Da 14 anni le temperature non erano così elevate".

Titoli come questi li avete letti anche voi e soprattutto avete anche voi sentito il caldo sulla vostra pelle: cerchiamo di dare un nome a questo caldo, ma che sia un nome espressivo, legato al nostro territorio, la parola che affiorava sulle labbra dei nostri nonni quando affrontavano le estati senza l'ausilio del condizionatore. Noi vi proponiamo i nomi che si usavano – alcuni si usano ancora – in Toscana intorno agli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso.

Afa è certamente la forma più diffusa, in uso in tutta la regione, nonché in tutta la penisola, visto che si tratta di voce italiana. La troviamo già nella prima edizione del Vocabolario degli Accademici della Crusca, per quanto nascosta sotto il lemma affanno, dove si legge: "E da questo AFA, che è un certo affanno, che, per gravezza d'aria, e soverchio caldo, pare che renda difficile la respirazione". Dalla successiva edizione del 1623 afa si è già conquistata la posizione di lemma autonomo grazie a una testimonianza nel Pataffio di Franco Sacchetti: "Tu mi dai afa, deh levati quinci!" (la citazione tra l'altro è quasi identica a un’esortazione che ancora è possibile sentire a Firenze: Va' via, va' via: tu mmi fa' afa!).
L'origine di afa, che gli accademici collegavano ad affanno, resta tuttora incerta; l'ipotesi più accreditata è che derivi da una forma ricostruita del latino volgare *hapha, a sua volta dal greco haphé 'accensione', derivato di háptō 'accendere', in accordo col significato che afa ha in napoletano: 'calore rimandato da una superficie battuta dal sole', 'riverbero', 'luce così rimandata, riflesso, barbaglio' (cfr. DELI e L'Etimologico).
Anche l’aggettivo afoso è molto diffuso, benché non nella stessa misura del sostantivo, specie nel sintagma caldo (e, ancor più spesso, cardoafoso.

Accanto alla forma italiana, troviamo la variante affa che si configura come voce appenninica: è in Lunigiana, in Garfagnana e nella Montagna pistoiese, dove si dice anche affa di caldo; compare anche nel grossetano, all'Alberese (si ricorda che dall'Appennino, specialmente pistoiese, scendevano in Maremma i boscaioli a far la macchia). Ad affa si lega affoso, che è stato rilevato in provincia di Massa-Carrara e ai piedi dei rilievi del Casentino e della Valtiberina. A queste testimonianze possiamo avvicinare anche l'anfa di Palazzuolo sul Senio, sull'Appennino tosco-emiliano (cui si connette l'anfoso di Antona nel massese) e l'àfia nel pisano settentrionale.

Ad Ancaiano, nel senese, si dice afóre; la stessa forma nella vicina Colle in Val d'Elsa, insieme a tanfo, vale 'puzzo'. Naturalmente la forma di Colle può essere vista come un derivato di afróre, ma è curioso notare che la forma tènf (che in toscano suonerebbe appunto tanfo) è ancora la voce per indicare il 'caldo afoso' attestata a Marradi, nell'Appennino tosco-emiliano. Questa associazione tra cattivo odore e caldo probabilmente trova la sua giustificazione nella base etimologica: tanfo deriva infatti dal longobardo *thampf 'vapore'.
È curioso che, tra i tanti modi di designare il caldo dell'estate mediterranea, troviamo anche il caldo che vèlla di Badia Prataglia e Caprese Michelangelo, in Casentino. E vellare significa 'fare schifo, dare disgusto' nella stessa Badia Prataglia, mentre è 'mandare un odore più che sgradevole, insopportabile' a Chiusi della Verna (in prossimità di Caprese); inoltre si avèlla dal puzzo o c'è un puzzo che si avèlla in vari centri della regione.

Una forma che mostra una diffusione abbastanza consistente è bafa, che è presente soprattutto nella porzione orientale dell'area senese e nell'Amiata, in due centri dell'aretino e a Carmignano, in Garfagnana. Nell'Amiata si dice anche tempo bafoso. In una piccola area montuosa tra la provincia di Pistoia e quella di Lucca troviamo attestazioni di mafa. Lungo le valli dell'Arbia e dell'Ombrone troviamo banfa; a Camigliano, frazione di Montalcino, si testimonia anche l'aggettivo banfoso. A Roccastrada invece la forma è panfa.

Legata a bafa è la voce bafagna, la quale mostra una curiosa disposizione areale: la troviamo nel pistoiese, a Gello, e poi lungo la costa livornese e grossetana fino ad arrivare all'Argentario; infine è presente a Celle sul Rigo, all'estremo limite orientale della provincia di Siena. All'Isola d'Elba troviamo poi l'aggettivo bafognoso. Questa configurazione si spiega se osserviamo l'area di diffusione della stessa voce per 'fiacca': dall'aretino, attraverso la Val di Chiana senese, raggiunge Orbetello con l'andamento tipico delle voci che hanno viaggiato con la transumanza e le migrazioni stagionali dei lavoratori verso la Maremma.

Mafa, bafa, banfae bafagna, secondo il LEI, sono tutte forme riconducibili a una radice *baf(f)- 'alito, soffio' che ha generato bafa, attestato anche in Ticino e nelle Alpi centrali con il valore di 'afa, aria stagnante' e in Umbria e Lazio con significati affini a 'vapore caldo'. Bafagna, come altre forme, l'abruzzese bbafuńńѳ 'vampa di fuoco', il siciliano bbafagnu 'calma del mare che precede un temporale' e, il calabrese mafagnata 'temporale primaverile', sarebbe dovuta all'influsso di favoniu(m), il nome del vento caldo che spira da ponente (e che è alla base anche del tedesco  Föhn, che, adattato in fon, indica da noi l’asciugacapelli).

Un'area, ristretta ma compatta, è quella di vapa, che dal Casentino scende verticalmente lungo la Val di Chiana aretina. All'interno della zona è testimoniato anche l'aggettivo vaposo. A nord di quest'area, a Tosi nelle vicinanze di Vallombrosa, e a sud, a Chiusure di Asciano, in area senese, troviamo vampa.

A nord ovest della regione troviamo altri nomi tradizionali: con il sostantivo maschile sòffoco, o sòfogo o sòfoco si indica l'afa compattamente in Lunigiana; mentre fagónza o faónza è attestato in Lucchesia dalla Garfagnana fino all'entroterra, e in un punto della Lunigiana a ridosso del confine lucchese. A sud-ovest di quest'area troviamo faónda a Vorno, in Lucchesia, e a Chiesina Uzzanese e Monsummano nel pistoiese.

Nell'entroterra versiliese, a Massarosa, quando fa molto caldo e il tempo è afoso si dice oggi è tófa, mentre nella vicina Piazzano si usa il verbo tufare: tufa. A Orbetello si dice che è attufato un luogo in cui "c'è poca aria, c'è bafagna" e attufato è usato anche a Roma. L'AIS (v. VIII c. 1676) testimonia tufà (tófa) nei Grigioni, tofà in due centri della provincia di Bolzano e a Comacchio con il significato di 'puzzare'. Il che ci mostra una condizione simile al caldo che vella casentinese e al tènf tosco-emiliano.

A Bibbona, sulla costa livornese, il caldo afoso è la maccaia e la stessa voce a Capraia indica il 'tempo umido con vento di scirocco'. Nel suo I dialetti della Liguria orientale odierna: la Val Graveglia (1975) Hugo Plomteux riporta makāya (anche makōya e tempo makow) per il "tempo umido, tempo di nebbia", come voce diffusa in tre grandi aree: la prima comprende Liguria, Corsica e Toscana; la seconda Calabria, Sicilia e Malta; la terza Venezia, l'Istria e la Dalmazia.

Còta e cotassa sono testimoniati nei due centri della Romagna toscana, Marradi e Palazzuolo sul Senio, e còta d' nëv "Dicesi quando nell'inverno, fra un rotto tendone di nuvole suol apparire il sole più cocente del solito [...] come anche quando, d'inverno, il tempo si abbonaccia e fa caldana" (Vocabolario romagnolo-italiano di Antonio Mattioli, 1879).

Le altre denominazioni appaiono testimoniate in centri isolati, a volte distanti tra loro, o in aree rarefatte, con una disposizione "a pioggia".
Una diffusione "periferica" è quella delle voci cagna e cicagna: la prima attestata a Casola di Lunigiana e a Firenzuola, al confine con la Romagna toscana, e a Castagneto Carducci, sulla costa livornese, mentre la seconda è testimoniata a Orbetello, al confine col Lazio. Il motivo è simile a quanto abbiamo già visto per bafagnacagna vale infatti 'fiacca' in un'area molto più vasta, divisa in due tronconi: uno settentrionale, che corre lungo l'arco appenninico e subappenninico, dalla Lunigiana fino al Casentino, attraverso la Garfagnana, le montagne pistoiesi e il Mugello, e uno meridionale che comprende l'Elba, l'estrema porzione della provincia livornese, le Colline metallifere, il grossetano e alcuni centri della contigua area senese. Il rapporto, del resto evidente, tra i due significati è esplicito nelle parole degli intervistati di Castagneto Carducci, i quali hanno fatto notare come la cagna sia proprio la 'fiacca dovuta all'intenso calore estivo'. Analoga la situazione di cicagna o cecagna, che si riferisce alla 'sonnolenza indotta dalla calura estiva' nel Lazio settentrionale (ringrazio Miriam Di Carlo per la testimonianza relativa alla Tuscia viterbese) e anche a Roma.

Una situazione analoga è quella relativa al termine alidóre, che troviamo nel significato di 'caldo afoso' solo a Mercatale di Vernio, in Val di Bisenzio, a nord di Prato. In realtà si tratta di una forma piuttosto diffusa nella regione con valori che hanno comunque a che fare con il caldo: indica la siccità del periodo estivo riferita al tempo o al terreno (o a entrambi). In questi valori alidore (con la variante decisamente minoritaria aridore) è diffuso in una vasta area che attraversa la Toscana da nord-est verso sud-ovest, muovendo dalle montagne pistoiesi e dal Mugello, allargandosi alle province di Pistoia, Prato, Firenze, Siena, Livorno, Pisa e penetrando anche nell'aretino e nel grossetano, fino a raggiungere la costa. Analoga, ma molto più compatta, è la diffusione dell'aggettivo àlido 'arido' che ne costituisce la base.

E ancora: a Chianni, nel pisano, una giornata balògia è "una giornata in cui è difficile respirare", mentre la balògia è la 'fiacca' nella vicina Cecina, a Orsigna e Monsummano, nel pistoiese, e a Vaglia, alle porte di Firenze. Inoltre, soprattutto in area centrale, ma anche altrove, balògio si riferisce a una persona 'che non sta bene'. A Pietrasanta patana indica sia l'afa che la fiacca, a Castagneto Carducci patano è un 'uomo grasso', mentre a Montecatini in Val di Cecina con lo stesso significato si usa patanòcco. Forse è collegabile anche il batano 'stupido' di Seggiano.

Ci sono poi forme che costituiscono scelte italiane possibili anche altrove, a volte con significati diversi, ma comunque relati.
Bollóre attraversa il confine tra le province di Firenze e Siena da nord a sud, da Molin del Piano a Incisa Valdarno, a Radda in Chianti, a Nusenna e poi lo ritroviamo a Pari in area grossetana a ridosso del confine con il senese. In vari punti distribuiti apparentemente "a pioggia" troviamo calìgine o calìggine, che indica l'afa ma più in particolare è "detto del vapore acqueo che stagna nelle giornate estive, quando c`è minaccia di pioggia e afa opprimente" o più semplicemente "nebbiolina umida associata all`afa estiva"; troviamo anche caligginoso riferito al 'tempo nuvoloso, con aria pesante'.
Naturalmente non poteva mancare il solleone che troviamo sia a ovest di Firenze (a Palaia e Castelfiorentino), sia a est, nell'aretino, ad Ambra e, nella forma sollione (che è la voce della prima Crusca), a Castiglion Fibocchi e Badia Tedalda.
Lo stellóne è l'afa in Val di Cecina; sempre in area occidentale, un po' più a nord, a Fauglia, nel pisano settentrionale, l'espressione sotto lo stellone indica lo star sotto il pieno sole, mentre spostandoci verso sud, a Frosini, in area senese, significa ancora 'al sole', ma riferito a una condizione di disagio. Ancora più a sud, a Pari, nel grossetano, allo stellóne vuol dire 'in estate' e a Semproniano, in area amiatina, 'al sole'. La voce, è registrata dal Tommaseo-Bellini e indica "Caldo grandissimo dei giorni d'estate, quando più arde il sole"; anche il GRADIT lo attesta come voce popolare per il sole caldo dell'estate e anche per indicare la 'canicola'.
Proprio la forma canìcola è testimoniata in soli quattro centri della Toscana occidentale: Bolgheri, Pomarance, Pontedera e Portoferraio. Altra voce anche di lingua è arsura, pronunciata arzura, che sembra usata nel senso di 'afa' solo a Castiglion Fibocchi nell'aretino; è però vero che in altri paesi l'arzura assume un tratto "umano": si riferisce infatti alla sete dell'uomo e non a quella del terreno.
In nove paesi, distribuiti soprattutto in area occidentale, troviamo calura, che a Marina di Pisa e Costalpino si mostra nella forma calùriaCaldura, possibile reinterpretazione di calura che non ha più evidente il legame col caldo presente nel latino calere "avere caldo" (anche se non si può escludere una derivazione diretta da caldo), si trova solo a Pontremoli in Lunigiana.

Le forme legate a caldo sono ovviamente ben rappresentate: troviamo solo un caldissimo e alcuni caldaccio, o meglio cardaccio, presenti in Chianti e nell'aretino. Il femminile caldaccia si trova in un'area ben delineata al confine con l'Umbria; la stessa forma è attestata anche in Umbria e nelle Marche (e a Roma, come callaccia,come mi suggerisce Paolo D'Achille, che ringrazio per questa e altre indicazioni).
C'è poi caldacìa con tre sole attestazioni, due nell'area compresa tra le montagne pistoiesi e pratesi e una nella pianura pisana.
A Costalpino, in area senese, c’è chi usa caldana, mentre caldanelle è una delle risposte a Pietrasanta. Caldana del resto già nella prima edizione del Vocabolario degli Accademici della Crusca indicava la "calura, e l'ora più calda del giorno, e lo stesso, che 'l Boccaccio e gli altri del suo tempo, dicevan, fitto meriggio". A Batignano, in Maremma, si usa invece caldina.
A Mercatale di Cortona la caldarella è il caldo afoso, soffocante, con alto grado di umidità, mentre a Montepescali, in Maremma, è l'irritazione sulla pelle dei bambini dovuta al sudore eccessivo per il caldo dell'estate.

E poi... per il caldo si affóga in Garfagnana e in Versilia, ma anche a Valle Dame, centro aretino al confine con l'Umbria, e a Manciano, ai piedi dell'Amiata, mentre è un caldo che affóga a Pieve Fosciana, ancora in Garfagnana, e a Vagli di Sotto c’è un caldo affogato. Solo a Manciano dal caldo si affoca, mentre c'è un caldo si sóffoga a Vergemoli, in Garfagnana, e a Manciano ai piedi dell'Amiata.
Un caldo che si abbaia è quello di Castiglion Fibocchi nell'aretino, così come a Vaglia, vicino a Firenze, può esserci un freddo che si abbaia, mentre nel centro amiatino di Castell'Ottieri si può avere una fame che abbaia e a Castiglion della Pescaia, sempre per la fame, si può abbaiare alla lupina.
A Montieri, nelle Colline Metallifere, possiamo provare un caldo che si affiala e affialare o affiarare è "quel primo abbruciare che fa il fuoco nell'estremità delle cose" nella Raccolta di voci romane e marchiane, di Giuseppe Antonio Compagnoni (1768).
E ancora a Brandeglio in Garfagnana si asfissia o si sfissia dal caldo esi sbufa dal caldo a Figline di Prato, mentre si bolle ad Antignano, nel livornese, e a Castiglion Fiorentino, nell'aretino; a Caprese Michelangelo in alta Valtiberina a volte c'è un caldo che se baca.
Dal caldo si mòre o non si respira e sempre il caldo può essere cane o mostro (esattamente come il freddo), e poi anche affannoso, noioso, tremendo, bollente, appiccicoso, focoso, asciutto, pesante e anche repènte, aggettivo che i dizionari considerano letterario col valore di 'improvviso' e che è stato dato come in uso tra gli anziani di Radda in Chianti.
Infine, a Vergemoli in Garfagnana può esserci un caldo che fa ballare la strega e a Licciana Nardi, in Lunigiana, in una giornata di caldo afoso si può vedere la vecchia ballare. Nella vicina Filetto balla la vecchia si dice quando il caldo provoca l'illusione di veder l'acqua tremolare in lontananza e se è molto caldo balla la vecchia anche all'altra estremità della regione, a Piancastagnaio sull'Amiata.

A dirla tutta la vecchia un tempo ballava anche in altri luoghi di Toscana:

 

Ballar la vecchia. Con questo modo singolare e bizzarro i nostri campagnuoli casentinesi indicano quel tremolare o brillare, com'essi dicono, che fa l'aria percossa dai raggi cocenti del sole. Questo fatto avviene ordinariamente nell'estate, quand'essi, cioè, sono più ardenti. Si vede nondimeno accadere spesso anche in altra stagione, se per cause accidentali i raggi solari abbiano maggiore intensità del consueto. Quel tremolio si rassomiglia di molto al tremolare o meglio tentennare, che farebbe una vecchia ballando. Di qui il nostro popolo ha indicato quel fenomeno, di cui i fisici assegnano la ragione, colla frase Ballar la vecchia; e soglion dire, per esempio: «Ma chi ha memoria d'aver sentito di Febbrajo un caldo come questo? o se a mezzo giorno Balla la vecchia, come d'estate» (Antonio Bartolini,Un esposto e una figliastra: racconto. Per saggio di voci e maniere di dire casentinesi con dichiarazioni filologiche, 1874).

 

E forse ballava in tutta la penisola; sicuramente in Lombardia, dove è testimoniato il modo idiomatico Quand el bàla la écia, daghen a co la secia, tradotto in lingua "Quando balla la vecchia, versane, o dagliene anche colla secchia" e così spiegato "Chiamasi ballare la Vecchia, quel tremolio e formicolamento dei vapori dell'aria che scorgesi sulle campagne in occasione di gran caldo e siccità" (Gabriele Rosa, Dialetti, costumi e tradizioni delle provincie di Bergamo e di Brescia, 18572).

E mentre la vecchia continua a ballare, vi salutiamo augurandovi e augurandoci un buon agosto.

 

A cura di Matilde Paoli
Redazione Consulenza linguistica
Accademia della Crusca 

 

 

 

 

 

 

 


 

                                                    

 

 

Piazza delle lingue: La variazione linguistica

31 luglio 2017


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