Un lettore di Napoli chiede se l’uso del verbo azzeccare nel significato di ‘aderire’, ‘attaccare’ sia da ritenersi dialettale; una lettrice dalla provincia di Firenze domanda chiarimenti sull’uso dello stesso verbo, da lei conosciuto come equivalente di indovinare, in espressioni come ma che ci azzecca?, non ci azzecca niente; infine un lettore dalla Svizzera domanda se vi sia differenza tra azzeccare e indovinare.
Azzeccà(re) in molti dialetti centro-meridionali significa ‘colpire (nel segno)’. Ad esempio per l’Abruzzo (Lanciano, Chieti) Gennaro Finamore riporta, nel 1893, il seguente esempio: J’á ’zzeccate ’m bètte ‘l’ha colpito nel petto’. Da qui al senso di ‘fare centro’, e quindi ‘indovinare’ il passaggio è breve. Impossibile, a questo riguardo, non ricordare il famoso personaggio manzoniano dell’avvocato Azzeccagarbugli, in realtà un leguleio il cui soprannome sarebbe dovuto all’unione tra azzeccare ‘indovinare’ e garbugli ‘imbrogli, cose non giuste’, quindi ‘indovinare cose non giuste’. Tuttavia, il (sopran)nome (che ha un precedente di rilievo in Machiavelli, la cui opera era ben nota al Manzoni) sarebbe invece un’italianizzazione del termine dialettale milanese zaccagarbùj, che Francesco Cherubini (Cherubini 1839-56, IV, s. v.) traduce ‘scioglitore di nodi’. L’origine del verbo viene comunque rintracciata da alcuni (Devoto 1968; DELI, s. v. azzeccàre) nel medio alto tedesco zecken ‘colpire, menare un colpo’, mentre per altri (DEDI, s. v. azzëccùso) l’etimologia è tuttora discussa.
Dal senso di ‘colpire’ si può arrivare senza troppa difficoltà anche a quello di ‘attaccare’, verbo che nella stessa lingua italiana ha varie accezioni, da ‘aggredire’ a ‘congiungere’ e ‘incollare’: si attacca qualcosa dando spesso dei piccoli colpi (ad esempio col martello sul chiodo). Da qui il napoletano e meridionale azzeccare, sia nel significato di ‘congiungere una cosa con l’altra’, ‘attaccare’, ‘appiccicare’, sia in quello di ‘avvicinarsi’, quasi attaccandosi a qualcun altro (D’Ambra 1873, s. v. Azzeccare; e infatti azzëcùsë si dice spesso di una persona che non si leva mai di torno). A questo significato potrebbe ricollegarsi il nome della zecca (acaro che, com’è noto, si appiccica alla pelle dei cani, di altri animali e perfino dell’uomo, succhiandone il sangue), anch’esso del resto derivante, secondo Devoto, dal germanico, e in particolare dal longobardo zëkka (cfr. anche DELI, V, s. v. zécca1). Azzeccare può poi assumere ‒ ad esempio in alcune parlate dell’Italia mediana ‒ il senso di ‘salire’, con uno sviluppo semantico analogo a quello dell’italiano giungere (passato da ‘congiungere’ ad ‘arrivare’, cioè ‘unirsi ad un luogo’).
Da ‘congiungere qualcosa a qualcos’altro’, vale a dire ‘entrare in relazione’, si passa infine ad azzeccare nel senso di ‘entrarci’: che c’azzécca? ‒ espressione che negli anni Novanta divenne celebre grazie ad Antonio Di Pietro (molisano di Montenero di Bisaccia, Cb) ‒ vuol dire quindi ‘che c’entra?’, ossia ‘che rapporto c’è con quello che stai dicendo?’.
Il ventaglio di significati di questo verbo oggi assai comune mostra una volta di più la rilevanza del ruolo svolto, ormai da molto tempo, dai nostri dialetti (in questo caso soprattutto centro-meridionali) nella continua opera di arricchimento e rinnovamento semantico e lessicale della lingua italiana.
Nota bibliografica:
Francesco Avolio
30 ottobre 2020
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