Molti lettori ci scrivono per avere delucidazioni sull’origine della locuzione calzare a pennello. Gli utenti ci chiedono inoltre se l’espressione possa essere usata in riferimento anche a un indumento (oltre che a una calzatura) e se sia ammessa la costruzione calzare a pennello con qualcosa. Infine, alcuni lettori ci domandano se sia corretto ricorrere all’aggettivo participiale calzato nel significato di ‘adeguato, adatto’.
La locuzione calzare a pennello significa propriamente ‘adattarsi alla perfezione, essere della misura corretta, andare benissimo’ e viene per lo più usata in riferimento a capi d’abbigliamento talmente appropriati da parere quasi dipinti addosso alla persona che li indossa. Per estensione, in senso figurato calzare a pennello si può però dire anche di un soprannome, un discorso, una definizione o simili che si adattino perfettamente a una persona, a una situazione o altro (il tuo esempio calza a pennello, il soprannome gli calza a pennello, ecc.). L’espressione è formata dalla combinazione del verbo calzare, che costruito in forma intransitiva significa ‘aderire perfettamente a una parte del corpo, stare bene’ (e in senso figurato ‘convenire, essere appropriato, opportuno’), con il sintagma avverbiale a pennello, che significa invece ‘alla perfezione, esattamente’.
Secondo il parere concorde dei lessicografi, all’origine dell’espressione, e in particolare del sintagma a pennello, ci sarebbe l’ammirazione, molto viva in epoca antica, per l’arte pittorica, in quanto il costrutto alluderebbe alla perfezione con cui il pittore adopera il pennello: dal significato letterale originario di ‘dipinto, realizzato con l’uso del pennello’ si sarebbe infatti ben presto passati a quello di ‘realizzato alla perfezione, ottimamente, in maniera adeguata e proporzionata’, appunto come se l’oggetto in questione fosse stato dipinto con il pennello. Un primo esempio di tale significato traslato si avrebbe già in Boccaccio, che nel Ninfale fiesolano parla della bellezza di Pruneo come se “la natura l’avesse fatto in prova col pennello”; ma è solo nel corso del Cinquecento che il sintagma comincia a diffondersi ampiamente, comparendo in diverse opere in versi e in prosa: tra le altre, le prose di Sanudo, che descrivono oggetti “lavorati a penello”; le novelle di Bandello, in cui si narra di progetti “riusciti a pennello”; e il dialogo L’Ercolano di Varchi, che chiarisce così il significato del costrutto: “Chi ha detto, o fatto alcuna cosa in quel modo appunto che noi disideravamo, si chiama aver dipinto, o fattola a pennello”. La definitiva affermazione del sintagma in tale significato viene poi sancita nel 1612 dal suo accoglimento nella prima edizione del Vocabolario degli Accademici della Crusca, che spiega:
Diciamo, Fare a pennello, che è fare una cosa eccellentemente bene, come se sia fatta col pennello, col qual si fa giusto quel che s'ha a fare: onde si dice anche nello stesso significato, dipignere.
Lo stesso valore viene testimoniato anche nelle successive edizioni, fino alla quarta. Tale definizione viene ripresa in forma pressoché identica dal Tommaseo-Bellini a fine Ottocento, che ci conferma così la persistente vitalità del costrutto, oltre a informarci, attraverso l’esemplificazione proposta, degli usi più moderni del sintagma, che a partire dalla seconda metà del secolo comincia a essere impiegato, come avviene del resto anche oggi, specialmente in riferimento a indumenti o ad altre caratteristiche proprie dell’aspetto fisico di una persona: “E nel senso corp. e nel tr. Vestito a pennello. – Acconciatura che gli va a pennello. – Quest'epiteto gli va a pennello”. Ed è infatti circa alla stessa altezza cronologica che è databile la locuzione verbale calzare a pennello: la prima attestazione risale alla metà del Settecento, quando viene impiegata in senso figurato in una commedia di Goldoni, Lo spirito di contraddizione (“GAUDENZIO: Col presente chirografo […] promette l’illustrissimo signor Ferrante... DOROTEA: Oh bello! Proprio quell’illustrissimo vi è calzato a pennello”), anche se è solo tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento che comincia ad affermarsi nell’uso, per divenire poi sempre più comune a partire dalla seconda metà del secolo scorso.
Quanto all’ambito semantico d’uso della costruzione, va detto che, benché la stessa etimologia di calzare (dal latino calceāre‘calzare, mettere le scarpe’, a sua volta da calceus ‘calzatura’) ci suggerisca un uso riferito soprattutto a scarpe e calze, il verbo, e di conseguenza anche la nostra locuzione, può per estensione riferirsi a ogni vestito e indumento in genere, oltre naturalmente all’uso figurato di cui si è già detto. Del resto, per quanto oggi si ricorra di preferenza a tale verbo, nell’ambito di una locuzione che pare quasi essersi cristallizzata in tale forma, la costruzione può essere formata anche con altri verbi di significato più generico, quali andare, stare, tornare e simili (quel vestito ti sta a pennello, le scarpe mi vanno a pennello, il soprannome gli torna proprio a pennello, ecc.). Da calzare derivano inoltre i due aggettivi calzato e calzante, rispettivamente dalle forme del participio passato e presente del verbo: il primo, in quanto forma del participio passato, ha significato passivo e significa di conseguenza ‘che è calzato, che è fornito di scarpe o calze’, anche se è più spesso usato in senso figurato, specialmente all’interno della coppia aggettivale calzato e vestito. Quest’ultima assume il significato rafforzativo di ‘che è interamente tale, del tutto’, comparendo per lo più in espressioni spregiative quali è un cretino calzato e vestito, sembra un asino calzato e vestito, a designare una persona rozza e ignorante malgrado l’apparenza civile. Il secondo aggettivo, calzante, significa invece propriamente ‘che calza, che aderisce bene, che si adatta in modo perfetto’, ma risulta anch’esso più comunemente impiegato in senso figurato, a indicare qualcosa di ‘adatto, appropriato, opportuno’ (un esempio, un’argomentazione calzante).
Per quanto riguarda invece la costruzione sintattica, il verbo calzare, quando usato in forma intransitiva, come appunto nel nostro caso, richiede la presenza di un soggetto, rappresentato dall’elemento che aderisce o che calza (un vestito, una scarpa, un discorso), e di un eventuale oggetto indiretto (introdotto dalla preposizione a o più spesso espresso in forma pronominale), che si riferisce invece alla persona o alla situazione a cui il soggetto della frase aderisce o si adatta: e quindi, per esempio, il vestito ti calza a pennello; a Marco questo nome calza a pennello, ecc. Seppure largamente attestata nell’uso, risulta invece impropria la costruzione calzare a pennello con qualcosa, per la quale si può forse supporre un’interferenza con costrutti che richiedano la reggenza della preposizione con (quali essere coerente con, essere in linea con, accordarsi con, conciliarsi con o simili), il cui significato può essersi erroneamente sovrapposto a quello semanticamente affine della nostra locuzione, come risulta evidente osservando le seguenti occorrenze rilevate in Google Libri:
A leggere il brano del testo […] ancora una volta non si può fare a meno, anche volendo, di pensare che il testo calza a pennello con la vicenda della voce che la canta, con tutti i suoi dubbi e le debolezze nel confronto con un ambiente scostante e di tanto in tanto avverso per partito preso (Carlo Mandelli, Mia Martini: come un diamante in mezzo al cuore, Roma, Arcana, 2009).
Lo abbiamo incontrato nel ‘buen retiro’ di Pavana, questa ormai leggendaria e un po’ sperduta località dell’appennino tosco-emiliano dove Guccini da sempre ama rifugiarsi […] e che del resto calza a pennello con la sua personalità schiva, poco o per nulla amante della mondanità e dei riflettori (Francesco Baccilieri, Fatalisti allo sbaraglio, Milano, FrancoAngeli, 2012).
Come segnalato, tra gli altri, dal LEI e dal Garzanti 2017, la modalità sintatticamente più corretta di costruzione del nostro verbo è infatti calzare a qualcuno/qualcosa, sia nel significato letterale di ‘adattarsi perfettamente alla persona’, sia in quello figurato di ‘convenire, essere appropriato’, e sarà dunque preferibile evitare il ricorso alla variante con la preposizione con.
a cura di Sara Giovine
Redazione Consulenza linguistica
Accademia della Crusca
Nota bibliografica
18 settembre 2018
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