Uso di gli per a lui, a loro e a lei

G. Bersani, R. Maldera e S. Zot chiedono delucidazioni sulla correttezza dell'uso di gli esteso a coprire anche i casi di a loro / a lei.

Risposta

Uso di gli per a lui, a loro e a lei

È necessario chiarire che, in molti casi, la norma linguistica non è netta: spesso non si tratta di definire la correttezza o meno di fenomeno linguistico, quanto piuttosto di circoscriverne gli ambiti d'uso. In altre parole, molti fenomeni linguistici non possono venire condannati o promossi in toto: è necessario imparare a usarli nel giusto contesto, nella corretta situazione linguistica. Bisogna scegliere il registro (cioè la tipologia di linguaggio: formale, semi-formale, informale), più adatto alla situazione comunicativa.

Da almeno una ventina di anni si parla, nella linguistica, e in particolare nella sociolinguistica, dell'affermarsi di una nuova varietà dell'italiano, definita italiano neostandard (definizione del linguista Gaetano Berruto 1987) oppure italiano dell'uso medio (secondo la definizione di Francesco Sabatini 1985).  "L'italiano dell'uso medio è sia orale sia scritto (purché questo non sia formale), ma prevalentemente orale; in concreto, ciò vuol dire che mentre tutti i suoi fenomeni distintivi sono presenti nell'orale, non tutti lo sono nello scritto [...]. La differenza dallo standard [considerando come standard l'italiano formale, più attento a rispettare la norma linguistica] sta soprattutto nel fatto che l'italiano dell'uso medio accoglie in sé tratti del parlato che a loro volta spesso coincidono con fenomeni attestati anticamente nell'italiano scritto, prima che la norma classicistica li escludesse (o li confinasse nell'italiano popolare o ai dialetti) e nonostante questa sopravvissuti [...]" (Mengaldo 1994: 94).

Sostanzialmente, nel momento in cui l'italiano, da lingua letteraria, è diventato patrimonio (più o meno) comune di tutti gli italiani, ha iniziato cioè a venire impiegato nell'uso vivo della quotidianità, ha subito delle evoluzioni più veloci di quanto abbia fatto la norma linguistica. Questo ha portato, in alcuni casi, a uno "scollamento" fra l'uso e la norma: i parlanti, anche colti, possono talvolta ricorrere a usi linguistici che le grammatiche indicano, o indicavano, normalmente come errati.

Il caso della superestensione di gli a coprire anche gli usi di loro, a loro, a essia esse e anche di le è solitamente elencato dai linguisti tra le principali caratteristiche di questo nuovo tipo di italiano (insieme all'uso, per esempio, di a me mi [sul quale è possibile consultare una scheda A me mi: è una forma corretta?], al che polivalente ecc.). Per chiarezza, tuttavia, è meglio distinguere fra gli usato in luogo di loro e simili e fra gli usato per le.

Gli per loro è attestato nei dizionari più recenti, come il GRADIT, "Grande Dizionario Italiano dell'Uso" di Tullio de Mauro (2000, UTET), che nella definizione di gli scrive: "2 gli [...] colloquiale, specialmente nella lingua parlata compare in  alternativa a loro, a loro, a essi, a esse: quando me lo chiederanno, gli risponderò" [cioè risponderò (a) loro]. Il DISC; "Dizionario Italiano Sabatini Coletti" (1997, Giunti) scrive: "[...] come pl. gli (come esito del dativo latino plurale illis) è assai freq. in quanto forma più chiaramente atona (e quindi proclitica o enclitica) rispetto a loro [...]".  Dunque, a parte la ragione etimologica a tale uso (loro invece deriva dal genitivo plurale illorum), esiste una giustificazione "pratica", dovuta al fatto che per le altre persone esiste la possibilità di scegliere tra pronome enclitico e proclitico: mi dice / dice a me; ti dice / dice a te; gli dice / dice a lui; ci dice / dice a noi; vi dice / dice a voi; per la terza persona plurale questa possibilità non esiste: dice (a) loro e non *(a) loro dice: il pronome "mancante" viene, nell'uso, sostituito da gli. Tale forma è stata usata anche dal Manzoni: "Là non era altro che una, lasciatemi dire, accozzaglia di gente varia d'età e di sesso, che stava a vedere. All'intimazioni che gli venivan fatte, di sbandarsi e di dar luogo, rispondevano con un lungo e cupo mormorio; nessuno si muoveva". (Promessi Sposi, XIII).

Il caso di gli usato in luogo di le è citato nel DISC: "L'uso di gli come f. sing., tradizionalmente condannato dai grammatici, è di antica data ed è pienamente giustificato dal punto di vista etimologico (derivazione dal lat. sing. illi, anche f.)"; il DISC cita poi come esempi letterari di tale uso Sacchetti e Soffici. Luca Serianni scrive, a tale proposito, nella sua Grammatica Italiana (cap. VII par. 38): "Se gli per loro non può certo dirsi errore, decisamente da evitare anche nel parlato colloquiale è gli per le («Quando vedo tua madre gli dico che hai fatto i capricci») che pure ha «precedenti illustri, dal Boccaccio al Machiavelli al Carducci al Verga» [...]".

Per riassumere, l'uso di gli in luogo di loro, a loro, a essi e a esse è da considerare senz'altro corretto (Ora vado dai tuoi amici e gli dico che la devono smettere di fare chiasso), tranne che, forse, nel caso di registri altamente formali (Il parroco espresse loro le sue più sentite condoglianze). L'utilizzo, invece, di gli per le, è sentito più scorretto dell'altro perché ha subito e continua tutt'ora a subire una maggiore censura scolastica; quindi se ne tende a sconsigliare, nella maggior parte dei contesti, l'impiego.

Per approfondimenti:

  • Berruto G., 1995, Fondamenti di sociolinguistica, Roma-Bari, Laterza.
  • Coveri, L., Benucci, A., Diadori, P., 1998, Le varietà dell'Italiano: manuale di sociolinguistica italiana, Roma, Bonacci Editore.
  • Mengaldo, P. V., 1994, Storia della lingua italiana : Il Novecento, Bologna, Il Mulino. In particolare capp. 5, Il linguaggio dei mezzi di comunicazione di massa e 6, Le varietà dell'italiano.
  • Sabatini, F., 1985, "'L'italiano dell'uso medio': una realtà tra le varietà linguistiche italiane", in Gesprochenes Italienisch in Geschichte und Gegenwart, Tübingen, Gunter Narr Verlag, pp. 154-184.

A cura di Vera Gheno
Redazione Consulenza Linguistica
Accademia della Crusca

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4 giugno 2003


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