Verduriere o verduraio? Verduraio o verdumaio?

Antonella P. da Lucca ci chiede se sia “corretto” usare verduriere al posto di fruttivendolo, mentre Fabio B. da Catania vuol sapere se sia “scorretto” l'impiego di  verdumaio in luogo di verduraio; Roberta L.  dalla città metropolitana di Roma domanda se esista ancora il termine verduraio o non sia ormai caduto in disuso; infine Margaretha C. da Milano ci scrive: “io, al sud, ho sempre detto verdumaio, qui al nord dicono verduraio o verduriere. Sono tutte forme italiane?”

Risposta

Le parole verduriere/verduraio/verdumaio, distribuite in proporzione variabile sul territorio italiano, servono a indicare un medesimo concetto ovvero ‘l’erbivendolo, il venditore di verdura’: il GRADIT riporta tutte e tre le parole, proponendo per ciascuna una differente provenienza e diffusione geografica e cioè verduriere al Settentrione, verduraio al Centro e verdumaio al Meridione. La base lessicale di tutte e tre è verde: dal latino parlato *vĭrde(m) ‘verde, vegeto, fresco’ a sua volta dal latino classico vĭrĭde(m) (nomin. vĭrĭdis -e), der. di vĭrēre ‘esser fresco, vigoroso, rigoglioso’ (DELI e L’Etimologico). Tra i derivati di verde, ci interessano soprattutto quelle parole nate dall’aggiunta dei suffissi collettivi -ura (ad es. lordura) e -ume (come ad es. legume, salume): nel nostro caso verdura (e verzura) e verdume da cui derivano rispettivamente verduriere/verduraio e verdumaio. Verdume, oggi spesso connotato negativamente, originariamente era solo ‘la parte verdeggiante delle piante e delle erbe’. Dalle basi verdura e verdume si sono avuti, grazie all’aggiunta del suffisso -aio, verduraio e verdumaio; veduriere ha sempre come base verdura, con il suffisso -iere. Tra le tre, la parola più antica risulta essere verdumaio, per la quale la data fornita dal GRADIT per la prima attestazione (1952) può essere anticipata al XIX secolo se si considerano testi specialistici di provenienza siciliana: giornali medici, ricerche sugli usi e sui costumi palermitani e siciliani, studi sull’agricoltura dell’isola, memorie e diari, esperimenti letterari e dizionari amatoriali. Ecco un esempio da Giuseppe Pitrè (1889):

Un pescatore allora mettea mano ad una fiocina (friscina), e agganciava da un panettiere una pagnotta, da un verdumaio un mazzo di finocchi, da un fruttivendolo una rotella di fichi secchi, da un macellaio un tocco di carne, e via di questo andare (Usi e costumi, credenze e pregiudizi del popolo siciliano).

 Intorno agli anni ’30 e ’40 del ’900 verdumaio comincia a comparire sporadicamente in giornali e riviste nazionali, mentre per quanto riguarda la situazione contemporanea, si ha un’ulteriore conferma della diffusione geografica della parola, attraverso i dati del questionario LinCi La lingua delle città (ovvero un questionario vòlto a rilevare la percezione che hanno i parlanti della lingua che usano, cfr. Nesi-Poggi Salani), che nonostante non siano ancora giunti a coprire tutto il territorio nazionale, sono comunque indicativi circa un andamento, potremmo dire, generale sulla diffusione di alcuni aspetti linguistici: per la domanda 42 ‘fruttivendolo’, verdumaio è stato riscontrato con due occorrenze a Catania. Il dato della situazione a noi contemporanea riflette quello appena riassunto a proposito del XIX secolo: verdumaio risulta attestato solo in Sicilia, pressoché assente nel resto della penisola. Infatti nel resto d’Italia sono distribuiti in proporzione variabile verduriere, verduraio e altri sinonimi: i dati dei questionari LinCi registrano verduriere in Piemonte (al Nord della penisola le inchieste LinCi per adesso coprono solo questa regione e le città di Genova, Milano, Modena e Verona), mentre verduraio al Centro e in Sardegna (Toscana occidentale, Alto Lazio e Sardegna). 

  

Immagini di verdumai nel Mercato di Ballarò e della Vucciria.

Appurata la diversa derivazione da verdura e verdume di verduraio (e verduriere) e verdumaio, arriviamo alla differenza morfologica tra verduriere-verduraio (a cui si può aggiungere verduraro, di area viterbese e romana). I suffissi -aio (e -aro) e -ière  derivano dall’antico latino -arius, da cui poi si è evoluto il toscano -aio (tosc. calzolaio, fornaio), il centro-meridionale -aro, -aru (rom. fornaro, sic. scarparu, picuraru), il settentrionale -aro, -ár, -èr, -è, -à (venez. selaro oppure selèr, milan. carbonè, lattè, fornè) e l’antico francese -ier (m.sing)/-ière (f. sing.) poi arrivato in italiano (-ière  ad es. il portière). La differenza tra verduriere e verduraio si basa sulla semplice scelta dei suffissi: infatti il suffisso -iere se in principio concorreva nella formazione di nomi di mestieri ritenuti più nobili, soprattutto nella prima fase di acclimatamento del suffisso dal francese, pian piano si è sganciato da questa connotazione rivelando una notevole vitalità completamente priva di tutte le implicazioni semantiche originarie. Nel nostro caso verduriere e verduraio indicano esattamente lo stesso mestiere e non si rileva alcun pregiudizio per il verduraio. Nei corpora disponibili in rete si desume che verduriere comincia a comparire in testi italiani nei primi anni del Novecento, probabilmente per influsso del francese (lingua in cui le verdurier, la verdurière sono documentati già nell’Ottocento): tale riscontro permette di retrodatare la prima attestazione del GRADIT (1947, Pavese).

 Un verduriere, che rientrava in città alla prima luce dell’alba, litigando con sua moglie, la svegliò (La cultura moderna, Rivista quindicinale illustrata, 1915-6: 67);

 Nel 1914, il verduriere comperava le patate a 15 lire il quintale e le rivendeva a 20 (Nuova Antologia. Vol. 285, 1919: 422);

Per quanto riguarda verduraio, il GDLI registra la parola come regionalismo e le occorrenze letterarie riguardano il Dossi (I-I-402: “Corriamo subito a comperar della foglia. La verduraia la pesa contando i grammi e i mezzi grammi”) e Piero Chiara (I-53: “Tutto il paese intanto parlava dell’impresa di Pierino, che era diventata il fatto del giorno. I verdurai, che già avevano tentato di toglierlo dalle mani del cocomeraio, l’avrebbero portato in trionfo, tanto erano ammirati della sua astuzia”). I dati del GDLI sono compatibili con quelli rilevati attraverso Google libri e presumibilmente verduraio comincia a circolare, come verduriere, agli inizi del Novecento. Dunque, riassumendo, per quanto riguarda una connotazione psicologia e sociale dei termini, non si ha una differenza tra verdumaio, verduraio e verduriere, che variano semplicemente nella base (verdume rispetto a verdura), nel suffisso (-aio o -iere) e nella diffusione geografica (la produttività del suffisso -iere a Nord si spiega anche con il contatto diretto con la Francia). Per quanto riguarda la diffusione in chiave storica, il termine più antico è verdumaio, che già circolava nell’800 ma che rimane relegato alla sola Sicilia: fatto, questo, che lo ha decretato regionalismo e dialettismo escludendolo dall’uso italiano. Accanto a verdumaio, doveva circolare nella penisola, almeno fino alla comparsa di verduraio e verduriere (ovvero presumibilmente tra il 1910 e 1920), il toscano ortolano,che viene registrato nelle varie edizioni del Vocabolario degli Accademici della Crusca. La comparsa di verduriere e verduraio è dunque quasi contemporanea e la loro diffusione risale all’inizio del XX secolo. Per quanto riguarda gli altri sinonimi di verduriere o verduraio, spiccano, perché inseriti all’interno di quasi tutti i grandi dizionari consultati, il già citato ortolano, particolarmente diffuso in Toscana, ed erbivendolo. Ortolano originariamente era “Quegli che lavora, cultiva e custodisce l’orto” mentre nel lemmario della V ediz. del Vocabolariodegli Accademici della Crusca e nel Tommaseo-Bellini compare con il significato “Quegli che lavora, coltiva e custodisce l’orto; ed anche Quegli che vende ortaggi”. Erbivendolo etimologicamente è il termine più calzante: assente in Crusca e nel Tommaseo-Bellini, è attestato già nel primo Ottocento (GDLI, GRADIT). Monitorando i dati su internet, sembrerebbe che abbia oggi meno fortuna rispetto a fruttivendolo, che, nonostante etimologicamente sia ‘colui che vende la frutta’ (nel passo sopra citato di Pitrè è infatti distinto dal verdumaio), effettivamente indica ‘colui che vende frutta e verdura’: le occorrenze nelle pagine in italiano smistate da Google sono 9.660 circa per erbivendolo e 428.000 circa per fruttivendolo. Inoltre i dati LinCi portano alla luce altre possibilità lessicali: a Livorno si ha erbaiolo, che in passato indicava letteralmente ‘colui che vende l’erbe medicinali’ (III e IV ediz. del Vocabolario della Crusca) che poi per estensione ha finito per indicare ‘l’erbivendolo’. Al pari dell’alternanza tra erbivendolo fruttivendolo, accanto a erbaiòlo, erbajuòlo e erbarolo si hanno anche fruttaiòlo, fruttajuòlo e fruttarolo registrate da LinCi anche in altre città come Viterbo, Roma, Verona, Rieti, Pisa, L’Aquila, Latina (fruttarolo), Siena e Catania (fruttaiolo). Un’altra possibilità lessicale avvertita come desueta dai repertori contemporanei e presente nella V ediz. della Crusca, nel Tommaseo-Bellini, nel GDLI e nel GRADIT è insalatajo ‘venditore di insalate e altre erbe’. Infine i dati LinCi forniscono altri termini distribuiti a macchia di leopardo sulla penisola: ortofrutticolo a Verona e ortofrutta a Torino, vendifrutta a L’Aquila mentre a Genova è ben attestato beSagnin-beSagnino.

Concludendo: come si chiamano coloro che vendono verdura in Italia? Sicuramente parlando in lingua andrebbero escluse tutte le parole che risultano dialettismi o regionalismi (verdumaio solo in Sicilia, beṣagnino solo a Genova e ortolano prevalentemente in Toscana, i suffissati con -arolo e -aro come fruttarolo, erbarolo e insalataro o verduraro). Verduraio e verduriere, sebbene siano parole morfologicamente ben strutturate e di facile derivazione semantica, rimangono ancora etichettate come regionalismi e dunque si dovrebbero privilegiare forme come fruttivendolo, riconosciuto su tutto il territorio italiano, o erbivendolo, che comunque risulta, rispetto a quest’ultimo, meno vitale. Ma con la crescita dei grandi supermercati nei centri commerciali, il composto metonimico ortofrutta (che indica non tanto il venditore, ma piuttosto il negozio, o meglio il reparto, in cui si possono acquistare frutta e ortaggi) sembra destinato a prevalere.

Per approfondimenti:

  • D’Achille, Paolo - Grossmann, Maria “I nomi dei mestieri in italiano tra sincronia e diacronia”, in D’Achille, Paolo - Grossmann, Maria (eds). Per la storia della formazione delle parole in italiano. Un nuovo corpus in rete (MIDIA) e nuove prospettive di studio, Firenze, Franco Cesati Editore, 2017, pp. 145-81.
  • Lo Duca, Maria. G., “Nomi di agente”, in GROSSMANN - RAINER< /it/lingua-italiana/consulenza-linguistica/bibliografia-consulenza-linguistica>, pp. 191-225.
  • Nesi, Annalisa - Poggi Salani, Teresa, La lingua delle città. LinCi. La banca dati. Firenze, Accademia della Crusca, 2013.

 

A cura di Miriam Di Carlo
Redazione Consulenza Linguistica
Accademia della Crusca

 

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17 ottobre 2017


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