Due accademici commentano la "Proposta dei 600" del Gruppo di Firenze

In questi giorni è molto viva la discussione sul documento del “Gruppo di Firenze” firmato da 600 docenti, tra i quali si contano illustri rappresentanti della cultura italiana noti al grande pubblico.
Anche l’Accademia della Crusca sta riflettendo sulle questioni che sono state poste. Ci sono Accademici tra i firmatari del documento, mentre altri Accademici hanno espresso posizioni di dissenso.
Noi siamo convinti che la distanza reale tra gli uni e gli altri non sia incolmabile, perché tutti gli intervenuti sono mossi da interesse verso la scuola e da passione e fiducia nella lingua italiana, di cui finalmente si scopre appieno la trasversalità e centralità (fino a domenica 5 febbraio 2017, quando è stato reso noto con gran clamore l’appello dei 600, pareva che la questione linguistica più interessante del momento fosse la scelta di un liceo di Milano che, con plauso generale della stampa, aveva deciso di insegnare tutte le materie in inglese, storia e filosofia comprese).
Per valutare le questioni sul tappeto, l’Accademia intende promuove un apposito incontro, da organizzare con la collaborazione di Crusca scuola e dell’ASLI.
In attesa dell’incontro, per avviare la discussione, pubblichiamo l’opinione personale dell’Accademico Lorenzo Renzi e quella dell’Accademico Rosario Coluccia (resa pubblica sul “Nuovo quotidiano di Puglia”). Il primo non ha firmato il documento, e ne spiega le ragioni. Il secondo è tra i firmatari, e illustra la sua prospettiva.
 

  • L’Accademico Lorenzo Renzi sulla “Proposta dei 600”

"Sta veramente “declinando” la conoscenza dell’italiano nella scuola, come si legge nell’appello del Gruppo di Firenze “Saper leggere e scrivere. Una proposta contro il declino dell’italiano a scuola”?
La parola "declino" mi imbarazza. Bisognerebbe studiare fattualmente il dominio dell'ortografia o di qualche aspetto della realizzazione linguistica nella scuola nel medio o lungo periodo, per vedere se davvero negli ultimi dieci, venti o cinquant’anni si sia tornati indietro, o se per caso non si sia almeno un po’ progrediti, come io sospetto. Quando, ormai tanti anni fa, studiavo Lettere all'Università di Padova, c’erano dei miei compagni che per scrivere “sonetto” scrivevano sia “sognetto” che “sonnetto”, cosa che oggi forse non succede più.
Certo scrivere “i sognetti del Petrarca” non è una cosa buona, ma … Ma Tullio De Mauro diceva che se la scuola mettesse da parte ogni altro scopo per proporsi per cinque o otto anni di ottenere solo la correttezza ortografica, butterebbe via cinque anni di cose magnifiche che si sarebbero potute fare, senza ottenere la correttezza ortografica!
Io non vorrei che, a seguire i consigli della cosiddetta “Proposta dei 600”, si tornasse all’idea della grammatica come castigo, la “Ars Grammatica” che minaccia con la frusta gli scolaretti, come nei portali delle cattedrali gotiche e in una formella del campanile di Giotto. Alla pedagogia del: correggere, correggere, correggere, io preferisco quella del: leggi, scrivi, disegna... c'è un errore? Correggiamo, e avanti!, non ci si ferma per così poco! L'errore può essere, e qualche volta è, l’anticamera della verità. Molti epistemologi la pensano così.
Per quanto riguarda gli obiettivi della “Proposta”, mi rifaccio di nuovo a De Mauro: insegnare a scrivere non deve voler dire prioritariamente e tanto meno esclusivamente correggere ortografia e morfologia, ma soprattutto aiutare ad argomentare, a essere espliciti, a distinguere l’essenziale da ciò che è accessorio. Un altro ricordo personale: quando, non più studente ma professore universitario e anche direttore di Dipartimento, ho avuto come ottimi collaboratori due segretari amministrativi, laureati, che però non sapevano fare il verbale del Consiglio di Dipartimento. Non è che facessero errori, ma non sapevano organizzare la struttura del verbale, riferire brevemente dei diversi punti di vista che erano stati espressi. Gli sarebbe forse servito fare il dettato e il riassunto quando erano ragazzi, come suggerisce, certo con le migliori intenzioni, il Gruppo di Firenze?
Perciò non ho firmato l’appello dei Seicento."

 

 

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