Una questione che desta ricorrenti perplessità riguarda "che c'entra?", "non c'entra" ed espressioni simili. Molti lettori ci scrivono chiedendo delucidazioni sulla grafia corretta: c'entra, appunto, o centra? E a che infinito si può ricondurre il verbo impiegato? Centrare, c'entrare, entrarci, centrarci? Sull'argomento hanno interpellato la Crusca M. Jorioz, C. Montenegro, L. Negri, I. Pedretti, I. Pili, P. Paolo, A. Borghesi, A. Agretti, M. Giorgi, F. Murgia, M. Bugatti e R. Bottari.
La grafia corretta è quella citata in apertura: "che c'entra", "non c'entra".
Di norma, tuttavia, non sono tanto queste forme a destare dubbi, quanto contesti che richiedono l'uso di tali forme coniugate in tempi e modi verbali differenti, come "Non vedo cosa possa *centrare/*centrarci questo" [con l'asterisco si indicano forme non corrette], dove occorre ricostruire un infinito dall'indicativo presente solitamente impiegato.
Cercando l'espressione nei dizionari, in alcuni - ad esempio lo ZINGARELLI - la si trova inserita sotto entrare come una delle sue realizzazioni nell'uso; in altri, quali il GRADIT, lemmatizzata a parte nella forma all'infinito entrarci. Da un punto di vista formale, entrarci viene in questi casi classificato come verbo procomplementare, ossia «che si usa stabilmente con particelle clitiche procomplementari (ad es. svignarsela) o che, in quanto usato con tali particelle, assume valori specifici, autonomi rispetto al verbo di base (ad es. sentirsela, vedersela, ecc.)», secondo quanto spiegato proprio dal GRADIT.
Entrarci, che alla prima persona singolare è "io ci entro" (quindi con elisione "io c'entro") è un derivato di entrare che compare in italiano sin dal 1533 con due significati, registrati sia nel GRADIT (qui citato) che nel GDLI:
1) con valore intensivo, 'trovare posto, avere spazio sufficiente per stare in qualcosa': "in questa macchina c'entrano quattro persone"; 'essere contenuto': "il due nel quattro c'entra due volte";
2) per il caso che qui ci interessa maggiormente, in senso figurato con il significato di 'avere parte, attinenza, relazione con qualcosa': "che c'entra questo con quanto è accaduto?", "non c'entra niente, io non c'entro!", come nella nota locuzione "entrarci come i cavoli a merenda" - tra l'altro, usata quasi sempre nella forma "c'entra come i cavoli a merenda" e molto più raramente all'infinito.
Il verbo centrare, al quale queste espressioni vengono talvolta erroneamente ricondotte (quindi "*che centra?" e "*non centra" non sono in questo caso grafie corrette), ha un significato diverso. Ha anche una storia differente, in quanto deriva dal sostantivo centro con l'aggiunta della desinenza verbale -are, e secondo il GDLI la prima testimonianza italiana del suo impiego risale al 1797. Ancora per il GRADIT, i significati principali di questo verbo sono:
1) 'colpire nel centro': c. un bersaglio, c. il boccino;
2) In senso figurato: 'cogliere, individuare con acutezza e precisione': c. un problema, c. l'argomento; c. un personaggio, di un attore o un regista, interpretarlo o rappresentarlo correttamente evidenziandone le caratteristiche fondamentali . 'Conseguire in pieno': c. l'obiettivo;
3) 'fissare nel centro': c. il compasso; in fotografia e sim., inquadrare nel centro dell'obiettivo, del fotogramma o dello schermo: c. un soggetto, un'immagine sullo schermo [...].
Come si può notare, non ci sono sovrapposizioni di significato tra i due verbi; in parte è diversa anche la pronuncia, perché se c'entro richiederebbe una pronuncia con la e chiusa /c'éntro/ (cfr. DOP, io centro ha, come pronuncia più corretta, /cèntro/ con la e aperta, come indica nuovamente il DOP, mentre il GRADIT, particolarmente attento alla lingua dell'uso, registra come possibile pronuncia - seppure secondaria - anche quella con la e chiusa.
Consultando il sito BibIt Biblioteca Italiana, possiamo trovare vari esempi di impiego dell'espressione nella nostra storia letteraria. La si rintraccia in Confessioni di un italiano di Ippolito Nievo (1867, su BibIt è riportata l'edizione Garzanti del 1984) nel capitolo decimottavo, dove compare più volte, sia nella forma elisa che in quella non elisa:
- Che c'entra in tutto ciò la cameriera?
- C'entra , c'entra ... oh bella! c'entra perché ci entro io.
- È giovine e bella la cameriera?
- Fresca, perdio, e salda come un pomino non ben maturo: con certe imbottiture intorno che ricordano le nostre paesane, e una bocchina che a Genova non se ne vedono di compagne.
- Allora capisco perché c'entri tu, e perché c'entra lei.
Ecco invece un esempio da un componimento poetico, da Il congresso de' birri: Ditirambo di Giuseppe Giusti, contenuta nelle Poesie (1847, su BibIt ediz. UTET, 1976):
Che c'entra il prossimo?
io co' ribelli
sono antropofago,
non ho fratelli.
Un dato interessante è senz'altro anche l'uso effettivo delle varie grafie. Esaminando i dati raccolti tramite Google si verifica che la forma "che c'entra", cercata come frase esatta, ci dà 2.390.000 risultati; la forma "che centra" 62.500; "non c'entra" 601.000 e "non centra" 156.000. È chiaro che questi dati andrebbero ulteriormente raffinati, perché non distinguono i casi di uso corretto del verbo centrare in contesti come "l'arciere che centra il bersaglio". Le forme corrette sono comunque (fortunatamente) maggioritarie anche nell'uso.
A proposito delle forme dell'infinito, *c'entrare si ritrova 8.740 volte; *c'entrarci 4.460 volte, *centrarci, che, tranne rari casi (es. "quella palla stava per centrarci") ricorre come errata ricostruzione delle espressioni esaminate, 8.950 volte; entrarci è ancora largamente maggioritario, con 122.000 occorrenze.
Infine una curiosità: l'espressione io c'entro è stata usata come slogan dell'Unione di Centro (UDC) nelle ultime campagne elettorali giocando esplicitamente sull'ambiguità tra il rimando al nome del partito - e quindi il riferimento al Cèntro - e il verbo entrarci. In seguito io c'entro è divenuto anche il nome ufficiale del social network degli Amici di Centro.
A cura di Vera Gheno
Redazione Consulenza Linguistica
Accademia della Crusca
14 maggio 2010
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