Si dà risposta congiuntamente a due domande che pongono problemi simili. Diversi lettori chiedono se sia più corretto dire un attentato, un attacco, un gruppo terrorista o terroristico, e più in generale, quale sia la legittimità di adoperare il primo termine in funzione di aggettivo. Una curiosità analoga alla precedente porta molti a chiedersi se un noto politico italiano abbia commesso un vero e proprio errore dicendo – anzi scrivendo – in pubblico cultura umanista in luogo del più comune umanistica.
Rispondendo alla domanda di un singolo lettore, occorre subito dire che terrorista e terroristico sono termini che si riferiscono specificamente a chi pratica il terrore come strumento di azione politica, cioè attua o minaccia danni estremi alle persone (omicidi, stragi, attentati); e quindi sono poco appropriatamente riferiti a chi pratichi semplici atti di vandalismo sulle cose, salvo che si tratti di oggetti dall’altissimo valore simbolico e istituzionale (monumenti di primaria importanza artistica, sedi di organi costituzionali, simboli dello Stato ecc.), danneggiare i quali equivale a dimostrare pubblicamente che si è nemici dell’intera collettività, che non si arretra davanti a niente e che si hanno di fatto le capacità necessarie per colpire gravemente anche molte persone.
Terrorista entra in italiano dal francese alla fine del XVIII secolo, negli anni che seguono la Rivoluzione, inizialmente con specifico riferimento al regime del Terrore (iniziato nel luglio del 1793 e finito il 27 luglio del 1794 con l’esecuzione dei suoi principali rappresentanti, di cui il più noto fu Maximilien de Robespierre). Poi il termine amplia i suoi usi a quelli attuali. Terroristico ne è invece derivazione tutta italiana.
Quanto all’uso di terrorista in funzione di aggettivo, esso è generalmente segnalato come possibile dai dizionari (ad es. il VELI, il GARZANTI, il DISC e il Treccani online), ed è di fatto abbastanza comune. Il punto non sarà dunque se esso sia legittimo, ma se possa o debba subire delle restrizioni rispetto agli impieghi della forma prettamente aggettivale terroristico.
Ebbene, se una differenza può esistere fra gli aggettivi terrorista e terroristico, questa starà nel fatto che il primo termine risulta per conversione in aggettivo del nome originario, il cui senso è ‘persona dedita al terrorismo’, mentre il secondo risulta per affissazione a partire dal nome, qui in particolare con l’aggiunta di un suffisso aggettivale. Il primo procedimento consiste nella “transcategorizzazione” di una parola, cioè nel suo passare da una categoria grammaticale ad un’altra, senza altri cambiamenti. La parola non muta in niente altro che nella classe grammaticale a cui appartiene: il procedimento è dunque atto a dare funzione grammaticalmente aggettivale al nome stesso, conservandogli in tutto fuori che in questo la sua semantica originaria.
Il secondo procedimento, cioè l’affissazione, consiste nell’aggiunta di un apposito morfema derivativo, che più in particolare si chiama prefisso se precede il morfema lessicale (come in ri-vedere o stra-ricco), suffisso se lo segue (come in tavol-ino o bell-ezza), e infisso se è introdotto all’interno del morfema lessicale (procedimento praticamente assente in italiano, ma comune in molte altre lingue: qualcuno ricorderà che i presenti di verbi latini come vinco e fingo risultano dall’introduzione di un infisso nasale nelle radici vic- e fig-). L’aggiunta di un affisso derivativo rende evidente che si crea una parola diversa da quella da cui si è partiti. È dunque il procedimento (morfologicamente abituale in italiano) che riflette anche nella forma il fatto che la parola derivata è disponibile a prendere un senso collegato e non necessariamente identico alla parola di partenza. Nel nostro caso, terrorista si presenta dunque come la stessa parola del nome, solamente usata in funzione di aggettivo; mentre terroristico si presenta non solo come aggettivo anziché nome, ma proprio come un’altra parola, pronta a prendere significati anche diversi da quelli della parola di partenza.
Insomma, il significato di terrorista come aggettivo è almeno in partenza più limitato al senso che la parola ha come nome, mentre terroristico sembra meglio costruito per raggiungere sensi anche più mediati. Ecco allora che terrorista (agg.) significherà ‘animato da intenzioni terroristiche’, ‘dedito ad azioni terroristiche’, ‘pervaso di una ideologia terroristica’, tutte cose che si possono dire anche di un terrorista (sost.), cioè di una persona; ma più difficilmente potrà significare ‘che ospita attività terroristiche’, oppure ‘che è adoperato da terroristi’ o ‘che somiglia a ciò che fanno i terroristi’, tutte cose che non si possono dire di una persona. Quindi si dirà con poca o nessuna forzatura gruppo, attentato terrorista, cioè ‘dedito a, animato da intenzioni terroristiche’, o filosofia terrorista ‘nutrita di idee terroristiche’, per attribuire a queste realtà caratteri che potrebbero essere attribuiti anche a un essere umano, cioè a un terrorista. Ma una sia pur lievemente maggiore forzatura la sentiremo in covo terrorista, copertura terrorista, arsenale terrorista, clima terrorista, emergenza terrorista, perché in questi casi ciò che l’aggettivo deve esprimere non sono caratteri attribuibili a un essere umano, quindi a un terrorista, ma sono piuttosto collegamenti di altro tipo con la realtà del terrorismo: ‘covo in cui si rifugiano i terroristi’, ‘copertura, arsenale adoperati da terroristi’, ‘clima simile a quello che creano le azioni terroristiche’, ‘emergenza dovuta ad azioni terroristiche. In questi casi, sentiamo che è più appropriato usare l’aggettivo derivato terroristico.
Una riprova di questo legame più stretto con l’idea del “terrorista in persona” di cui gode terrorista rispetto a terroristico, si potrebbe vedere nel fatto che comunicato terroristico può significare una vasta gamma di cose anche per mera analogia (ad esempio, un comunicato molto minaccioso diramato dai vertici di un’azienda), mentre comunicato terrorista significa necessariamente ‘animato da finalità terroristiche’, e sarà per forza un comunicato diramato da veri terroristi. Così, una presenza terroristica o un complotto terroristico potranno anche esser detti per analogia e riferiti a realtà di altro tipo, mentre presenza terrorista o complotto terrorista saranno proprio la presenza di terroristi e un complotto ordito da terroristi.
Ma naturalmente si tratta di sfumature semanticamente molto sottili, e sempre sovvertibili dalla scelta di fare un uso traslato dei termini. Se si può dire “una sedia severa” o “un colore triste”, attribuendo tratti tipici delle persone a entità che persone non sono, a maggior ragione resta sempre possibile dire “un covo terrorista” o “una sigla terrorista”, anziché “terroristici”, forzando un po’ creativamente l’attribuzione a quel luogo e a quel simbolo di una certa dose di caratteristiche umane.
Per quanto riguarda la seconda domanda, anche qui il confronto è fra un aggettivo vero e proprio (umanistico) e un nome riferito a persona (umanista), che però può essere adoperato come aggettivo.
Umanista, come nome, designa chi dedica i suoi interessi allo studio delle attività umane, specie se di natura culturale, artistica, linguistica, letteraria. Il termine è nato nel latino medievale (humanista, ‘insegnante di lettere classiche’) e in italiano è stato riferito a coloro che hanno in una certa misura riscoperto questo genere di studi, con particolare riferimento alla civiltà classica, durante la rinascita culturale verificatasi in Europa e in particolare in Italia alla fine del Medioevo, movimento culturale che prese appunto il nome di umanesimo; ma si applica altrettanto appropriatamente a chiunque, anche oggi, dedichi la sua vita agli stessi interessi.
Come abbiamo detto per l’alternativa fra terrorista e terroristico, anche nel caso di umanista e umanistico il primo, se usato come aggettivo, è la conversione del nome, e quindi è adatto ai casi in cui il senso è quello del nome, cioè quando è riferibile a persona, per la verità in modo che rende difficile distinguere tra il valore sintattico di aggettivo e quello del nome stesso usato come apposizione: uno studioso umanista, un insegnante umanista. Per i casi in cui non si tratti di persona, sarà dunque più appropriato l’aggettivo derivato umanistico; quindi educazione umanistica, cultura umanistica.
Rispetto all’esempio di terrorista/terroristico, qui vi è un ulteriore elemento di complicazione. Infatti il termine umanista ha anche un significato meno specificamente legato alla dimensione di studio che abbiamo menzionata, e può riferirsi (in parallelo con il sostantivo umanesimo) anche a qualsiasi atteggiamento che identifichi come valore primario l’essere umano e la sua dignità. Sarà dunque in una prospettiva umanista che un gruppo di pressione agirà a favore di condizioni di lavoro meno degradanti, o che un movimento chiederà maggiore rispetto per la qualità dell’ambiente dove le persone vivono.
Come si vede, questo senso filosofico dell’aggettivo umanista (‘che mette al primo posto l’uomo’) è diverso da quello di umanistico (‘che studia la cultura del passato’), e ciò porta a una specializzazione dei due termini, quando usati come aggettivi. Cioè, mentre l’unico sostantivo umanista designa sia chi mette filosoficamente al centro l’uomo sia chi studia filologicamente la cultura del passato, come aggettivo umanista è usato più appropriatamente nel senso filosofico generale: ‘che mette al centro l’uomo’; mentre spetta a umanistico qualificare ogni cosa che sia legata allo studio delle attività culturali umane.
Insomma (poiché questo ci chiedono i nostri lettori), per sapere se l’allora Presidente del Consiglio Matteo Renzi, registrando un video con cui voleva spiegare ai cittadini la sua concezione della buona scuola, quando ha scritto alla lavagna cultura umanista ha confuso un aggettivo con l’altro oppure no, occorrerebbe sapere se voleva intendere genericamente una cultura che metta al centro l’uomo, oppure più specificamente lo studio, così importante nella scuola italiana, delle discipline umanistiche. Io però ho guardato con attenzione quel video, e non mi è riuscito di capirlo.
Edoardo Lombardi Vallauri
6 marzo 2018
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