Il processo di univerbazione o univerbizzazione nell'italiano contemporaneo

Continuano a giungere in redazione richieste a proposito della grafia da adottare in caso di forme nate dall'unione di più voci, abbiamo perciò ritenuto utile fornire un inquadramento generale alla questione dell'univerbazione. In particolare rispondiamo alle richieste sulla corretta grafia di a posto, davanti, più che altro, sotto forma; all'oscuro e va bene.

Aggiungiamo un'integrazione a cura di Francesca Vacca a proposito dell'alternanza all'oscuro / allo scuro.

Risposta

 

Il processo di univerbazione o univerbizzazione
nell'italiano contemporaneo

 

Le domande fanno riferimento alla resa grafica di espressioni che, presentandosi di frequente nella stessa sequenza, funzione e significato, tendono ad essere più percepite come parole uniche, con ricadute sulla loro resa grafica.

 

Si dice univerbazione "quel fenomeno riguardante la scrittura per cui le parole erano spesso scritte unite, nei manoscritti e nelle stampe antiche. Il compito dell'editore è quello di interpretare correttamente, scindendo le varie componenti. Abitualmente si univano gli articoli, ma anche i pronomi, gli aggettivi, i verbi, senza alcuna regola" (G.L. Beccaria, Dizionario di linguistica, s.v. univerbazione). Per quanto riguarda invece l'italiano contemporaneo, Serianni fornisce una chiara definizione del processo di univerbazione, inteso come "Fusione - manifestata anche dalla grafia - di due parole originariamente autonome (palco scenico - palcoscenico, in vece - invece, ecc.)" (L. Serianni, Grammatica italiana, p. 750).

 

L'ortografia contemporanea tende a trattare come parole uniche espressioni che nell'Ottocento e anche dopo erano sentite e scritte distinte. Mentre possiamo trovare in Carducci sintagmi quali in vece, più tosto e (pur) tutta via, oggi di regola si usano le corrispondenti forme univerbate: invece, piuttosto e tuttavia. Ma  c'è ancora molta incertezza.

 

In generale, "quanto più il composto è d'alto uso, abituale, tanto più se ne è affermata la variante grafica (e, in fondo, anche fonetica) univerbata: buonuscita è ormai scrizione più frequente di buon'uscita; la grafia separata di malessere è ormai del tutto in disuso e quella di benessere scomparsa, apposta prevale su a posta come addosso su a dosso.

 

La grafia unita testimonia inoltre la natura toscana dell'italiano, registrando, quando c'è, anche il raddoppiamento fonosintattico (l'intensificazione della consonante iniziale del secondo termine di una sequenza quando il primo ha determinate caratteristiche fonetiche) che ha preceduto l'univerbazione: semmai (< se mai), eccome (< e come), soprattutto (< sopra tutto), sopralluogo (< sopra luogo), cosiddetto (< così detto)" e, per venire a una delle domande, sebbene (< se bene) e il brutto sovraccomunale (< sovra e comunale) (cfr F. Sabatini - V. Coletti, La lingua italiana, pp. 32-33).

 

A volte,  si può percepire come voce composta di unità separate quella che è invece (ormai) una parola unica a tutti gli effetti, come davanti (non d'avanti) o al contrario come parola unica quello che è ancora una sequenza di parole autonome (più che altro, o a posto locuzione aggettivale e avverbiale che, diversamente da apposta non ammette univerbazione). Ci sono casi in netta evoluzione verso l'univerbazione, anche se ancora non accettati dalla norma, come vabbene di cui si può verificare su Internet la frequenza della scrizione unita, specie quando (e forse bisognerebbe che fosse solo in questi casi) ha valore di avverbio di affermazione (nel senso di "d'accordo").

 

Sono invece decisamente inaccettabili le grafie unite di all'oscuro (forma corretta), che non può essere confuso con allo scuro, segno di un'errata percezione dei confini di parola; e di sotto forma, un sintagma graficamente e concettualmente ben distinto, cristallizzato nella locuzione preposizionale sotto forma di.  

 

Per approfondimenti:

  • Gian Luigi Beccaria, Dizionario di linguistica e di filologia, metrica, retorica, Torino, Einaudi 2004 (nuova ed.)
  • Francesco Sabatini - Vittorio Coletti, La lingua italiana. Come funziona, come si usa, come cambia, Firenze, Giunti 1997

  • Luca Serianni, Grammatica italiana. Italiano comune e lingua letteraria, Torino, UTET 1989

 

A cura di Manuela Cainelli
Redazione Consulenza Linguistica
Accademia della Crusca

 

 

Integrazione: all'oscuro o allo scuro?

 

All’oscuro e allo scuro sono due varianti possibili, attestate da alcuni autori fin dal XVII secolo per esprimere lo stato di chi non ha nozione o conoscenza di qualcosa: il GDLI le registra entrambe con la stessa definizione citando autori quali Forteguerri (1674-1735), Leoni (1812-1874) e Volpi (1686-1766) per all’oscuro, e il solo A. Cattaneo (1645-1705) per allo scuro. Tra i dizionari sincronici attuali, solo alcuni continuano a riportare entrambe le varianti: lo Zingarelli 2017, l’Hoepli online e il Sabatini-Coletti, con la definizione “non essere informato di qualcosa, ignorarla”. Lo Zingarelli in particolare, fin dalla prima edizione del 1917,  riporta “stare all’oscuro” e “essere allo scuro” come ‘essere in una condizione di ignoranza’. Evidentemente, poiché in passato le varianti venivano utilizzate per indicare il medesimo concetto, alcuni lessicografi restano fedeli anche alla tradizione minoritaria. Da una ricerca su Google Libri, inoltre, sembra trasparire che tra il XIX e il XX secolo, le due varianti ancora convivono: “all’oscuro di” e “allo scuro di” producono rispettivamente circa 3.330 e circa 460 risultati. Si può notare, dunque, una preferenza di fondo per la prima variante, ma i numeri non sono così distanti come per il periodo successivo. La situazione, infatti, cambia notevolmente tra il XX e il XXI secolo: dal 1900 al 2017 “all’oscuro di” registra circa 15.600 risultati, mentre “allo scuro di” resta sui 460. A conferma di questo spostamento che porta a prediligere la variante all’oscuro si pone la posizione del DOP (Dizionario di Ortografia e Pronunzia): “Oscuro (e non scuro) in camera oscura, discorsi oscuri, origine oscura […] essere all’oscuro di…”; tuttavia il DOP avverte che “scambi tra oscuro e scuro sono possibili in altri casi, e nell’uso antico, anche in qualcuno dei precedenti”. Oggi, pertanto, è più consigliabile utilizzare la forma all’oscuro, ma allo scuro non è censurabile dal momento che continua ad avere il sostegno di alcuni lessicografi.

 

a cura di Francesca Vacca
Consulenza Linguistica
Accademia della Crusca

 

[31 maggio 2017]

 

10 settembre 2008


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