Una lettrice ci chiede se sia corretto dire è tempo che non ti vedo piuttosto che è da tanto tempo che non ti vedo.
No, non è corretto. Anche perché l’espressione “è tempo che” (dove che è ovviamente congiunzione; ben diverso è il senso quando che è pronome) ha un altro significato in italiano e vale “è giunto il momento che”, “è ora che” ed è seguita dal congiuntivo, come si vede da questi esempi tra i moltissimi:
Homai è tempo che vivano e vestino anche i servidori giovani del Prencipe novellamente regnante (Leone Zambelli, Globo celeste, 1642);
È tempo che io vada (Moravia, Racconti, 1952);
È tempo che ai poveri sia restituita la parola (Papa Francesco, da Assisi, 12/10/2021).
Si può provare a spiegare come e perché sia avvenuto lo slittamento di senso verso quello segnalato dalla lettrice. Potrebbe essere nato dall’ellissi multipla della comune espressione “è (da) tanto tempo che”:
È tanto tempo che non ho peccato (Segneri, Il penitente istruito, 1669);
È tanto tempo che questa lava corre (G.M. Mecatti, Racconto storico- filosofico del Vesuvio, 1752);
È tanto tempo che io sto lontano (“Lo Staffile”, 27/3/1889);
Noi contadini è tanto tempo che lavoriamo la sua terra che questa ornai dovrebbe essere nostra (V. Gorresio, La vita ingenua, 1980).
Un’espressione che l’uso ha sottoposto a ripetute ellissi: oltre alla citata “è (da) tanto tempo che”, circola anche ed è molto comune “è (da) tanto (tempo) che”
“È tanto che l’aspetto” (“Gazzetta del popolo” 10/1/1862);
“Michele,… è tanto che non lo vedo” (U. Eco, Il Nome della rosa, 1980)
e ora, stante la domanda, si sentirebbe pure “è (da tanto) tempo che”; una soluzione impropria, che, per altro, può aver trovato sostegno nella diffusa espressione “è anni che”, nel senso di “sono tanti, molti anni che”, probabile ellissi del toscano “egli (pronome neutro) è anni che”
egli è anni che tu cominciasti a fare delle cose non ben fatte (trascrizione ottocentesca di lettere del Quattrocento di Alessandra Macinghi Strozzi sulla “Rassegna nazionale”, 1881)
o anche nella comune forma ellittica della frase scissa “è (da x/ da tanti) anni che” (“Non lo vedo da tre/da tanti anni” = “è da tre/ da tanti anni che non lo vedo”)
tal atto è anni… che non è stà fato (Diari di Marin Sanudo, 1514);
ed è anni che la conosco (D. Lazzarini, La Sanese, 1749);
è anni che la città pare uscita dalle mani, poco gentili, di un Attila (“L’Educatore italiano”, 1882);
è anni che la memoria di quelle lettere mi tormenta il cuore (U. Eco, Il Nome della rosa, 1980).
Ma, mentre “è anni che”, pur con la concordanza ‘debole’ che risulta dall’ellissi della preposizione, ha una lunga storia e uno spazio semantico esclusivo, “è tempo che”, nel senso di “è (da tanto, molto) tempo”, sembra un’innovazione piuttosto recente e, convivendo con un significato diverso e quasi opposto (e ben attestato) della stessa espressione, può generare fastidiosi equivoci. Perciò sconsigliabile, anche se Google e Google libri ne forniscono alcune attestazioni, anche in testi scritti:
Cara Valentina,
è tempo che non ci vediamo, quanta vita tra noi due, quanta vita è stata, quanta vita c’è n’è, quanta ce ne sarà (Cara Valentina – Incipit di un racconto di Valentina Faloni, storytellinglovers, 8/4/2018)
"Ciao brutta, come va, è tempo che non ci vediamo" (Franco Morro Bolzoni, Le parole che si dicono di notte, Roma, Albatros, 2019)
È comunque interessante osservarla, non foss’altro per l’attenzione che ci spinge a dare al ricorrente fenomeno dell’ellissi in frasi molto comuni.
Vittorio Coletti
22 agosto 2022
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