In questi giorni in cui tutti, nell’attesa che cessi l’emergenza COVID-19, dobbiamo restare in casa, evitando contatti con altre persone, e in cui sono vietati convegni, assembramenti e manifestazioni, riprendiamo alcuni quesiti che erano rimasti senza risposta, relativi alle parole expo e metro/métro/metrò. In tal modo, ricordando l’evento che si svolse a Milano con successo nel 2015 e l’affollata ma efficientissima rete di trasporti del capoluogo lombardo, con cui, tra l’altro, si poteva raggiungere comodamente la sede di Rho-Fieramilano, intendiamo fare un omaggio beneagurante a questa città, particolarmente colpita, insieme alla sua regione, dagli effetti del coronavirus (e quindi, implicitamente, all’intero Paese).
Le domande e i dubbi che ci sono pervenuti su expo e su métro/metrò/metro (che sono accorciamenti di parole più lunghe) sono interessanti perché mostrano come l’inglese abbia sostituito il francese quale lingua straniera di riferimento e, al tempo stesso, rivelano alcune tendenze dell’italiano contemporaneo.
Partiamo dalle forme metro, métro e metrò (o metró, con grafia più vicina alla pronuncia francese, in cui la o è chiusa), che si riferiscono tutte al rapido sistema di trasporto di massa di tipo ferroviario a trazione elettrica destinato ai servizi urbani di cui si sono dotate tra la fine del XIX secolo e la seconda metà del XX le principali città europee, che è caratterizzato da un'elevata frequenza delle corse, per lo più lungo percorsi sotterranei, privi di attraversamenti stradali o pedonali (ho sintetizzato le frasi iniziali della voce di Wikipedia). La prima linea metropolitana, attiva dal 1863, è stata quella di Londra (Metropolitan Line, chiamata anche “Underground” o “The Tube”), mentre risale al 1900 quella, forse ancor più famosa, di Parigi. In Italia il primato spetta al tratto ferroviario urbano di Napoli, risalente al 1925.
Il nome femminile metropolitana (datato 1932 in DELI, GRADIT e Zingarelli 2020) è frutto di un’ellissi, dall’espressione ferrovia metropolitana, documentata, secondo il DELI, dal 1902, come traduzione dell’inglese Metropolitan Railway. Ma ben presto si affermarono anche in Italia alcune forme ridotte: il femminile metro, accorciamento appunto di metropolitana (datato al 1925 nello Zingarelli e registrato senza data nel GRADIT), il francesismo métro (datato 1925 nel GRADIT, ma non registrato nello Zingarelli) e il suo adattamento metrò o metró (datato 1925 nel DELI, 1931 nello Zingarelli e registrato ma non datato nel GRADIT), entrambi maschili: è questo infatti il genere del francese métro, accorciamento dell’aggettivo métropolitain, usato nella locuzione chemin de fer métropolitain ‘ferrovia metropolitana’ (chemin è maschile, come il nostro cammino). Il femminile metro è la forma normalmente usata a Roma, mentre a Milano (che ha la rete metropolitana più lunga e ampia d’Italia) si usa anche, se non soprattutto, il maschile métro o metrò. La coincidenza tra i dizionari citati nel datare al 1925 tutti e tre gli accorciamenti, che sarebbero dunque anteriori alla data di metropolitana (1932), pone qualche dubbio. Grazie alla voce di Wikipedia Metropolitana in Italia, che riporta l’immagine di un giornale del 1925 con la notizia dell’inaugurazione della metropolitana di Napoli, possiamo almeno retrodatare a quell’anno anche la forma estesa (datazione confermata pure dagli esempi di Google Libri).
Tutte le forme ridotte sono da considerarsi corrette, ma vale la pena ricordare, con il DELI, questa affermazione di Bruno Migliorini (nelle sue aggiunte al Dizionario moderno di Alfredo Panzini, nell’ed. del 1963): “Per le ferrovie sotterranee italiane, piuttosto che il métro (pronunziato, più o meno, il metrò), è senz’altro consigliabile l’accorciatura la metro”. Tuttavia, almeno con riferimento alla metropolitana parigina, l’adattamento metrò è rimasto in uso: così il film di François Truffaut Le dernier métro, del 1980, è stato tradotto in italiano come L’ultimo metrò, come, già in precedenza, il titolo del romanzo di Raymond Quenaud del 1959 e dell’omonimo film di Louis Malle del 1960 Zazie dans le métro in italiano era diventato Zazie nel metró; si noti però che nella ben più recente voce di Wikipedia dedicata al film a un certo punto si legge la frase: “Zazie cercherà per tutto il film di prender l’agognata metrò senza successo, in quanto è chiusa per sciopero”, con metrò femminile a dispetto del titolo.
Il femminile metro si distingue dai due omofoni e omografi metro maschili (indicanti rispettivamente l’unità di misura del verso nella poesia greca e latina e l’unità di lunghezza del sistema metrico decimale di uso internazionale) anche per la sua invariabilità (che la accomuna invece agli accorciamenti maschili métro e metrò), inserendosi tra i non pochi femminili invariabili in -o presenti nell’italiano del sec. XX.
E passiamo a expo. Come métro, si tratta di un francesismo, che nella lingua d’Oltralpe costituisce l’accorciamento del sostantivo femminile exposition ‘mostra, esposizione’, usato soprattutto (con l’iniziale maiuscola: Expo) per riferirsi a esposizioni universali o comunque di vaste proporzioni (quali appunto quella milanese del 2015). I dizionari consultati (DELI, GRADIT, Sabatini-Coletti, Devoto-Oli, Zingarelli 2020) sono concordi nel considerare expo femminile invariabile, nel datarlo 1958, l’anno dell’Expo 58 di Bruxelles, la prima esposizione universale dopo la seconda guerra mondiale (solo il DELI indica una data posteriore: 1968) e nell’indicarne la pronuncia con l’accento sulla o finale, che andrebbe pronunciata chiusa, come in francese. Tuttavia, la mancanza di accento grafico ha determinato una ritrazione dell’accento tonico (fenomeno comune a molte altre voci francesi, divenute in italiano piane o addirittura sdrucciole, da cognac a crème caramel, da mignon a depliant, fino allo stesso hotel), in questo caso rafforzata dal possibile riferimento all’inglese exposition, che spiega anche il passaggio al genere maschile (che è quello che viene più spesso attribuito agli anglismi: si veda la risposta di Raffaella Setti sul genere dei forestierismi). In effetti, durante l’Expo milanese del 2015 la pronuncia piana e l’uso al maschile sono stati forse quelli più frequenti, tanto da non poter essere considerati errori; personalmente, però, considero senz’altro preferibili le indicazioni fornite nei dizionari.
Abbastanza spesso si è assistito anche, come hanno notato alcuni lettori, all’eliminazione dell’articolo (“vado a Expo” invece che “vado all’Expo”, “Milano città di Expo” e non “Milano città dell’Expo”) e quest’uso si spiega sia con la tendenza dell’italiano contemporaneo a omettere gli articoli determinativi davanti a nomi di aziende, istituzioni, ecc., sentite come nomi propri (cfr. al riguardo la risposta di Vittorio Coletti), sia con quella, irradiata proprio da Milano, a farlo anche davanti a nomi comuni (si pensi a settimana prossima per la settimana prossima con valore di complemento di tempo).
Concludiamo scusandoci con tutti i lettori per il lungo ritardo di queste risposte e sperando che, nel ricordarci un passato recente che sembra (ahimè!) lontanissimo, possano valere come auspicio per superare al più presto questo momento difficile e doloroso.
Paolo D'Achille
17 marzo 2020
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