Chi è un energumeno?

Alcuni lettori chiedono se sia corretto l’uso di energumeno per indicare una persona “nerboruta e fisicamente prominente”, “grossa e minacciosa”, dopo aver scoperto che il termine designava in origine l’‘indemoniato’, senza alcun riferimento alla corporatura fisica.

Risposta

Chi è un energumeno? Colui che è posseduto dal demonio, un invasato, un ossesso; un esagitato dominato da una qualche passione, o chi, in preda all’ira, si comporta con violenza e brutalità; un temerario, un matto; un fanatico intollerante, un prepotente; e anche una persona robusta e muscolosa, dotata di grande forza fisica e, talora, di cervello non particolarmente fino. Un ceffo inquietante, un tale che incute sospetto e timore solamente per la sua fisicità incombente; al contempo un tipo grossolano e inurbano.

Sono tutte accezioni documentate, più o meno distanti dal significato etimologico, diffuse e comuni oppure desuete, non sempre contemplate tuttavia nei vari dizionari. Approfondiamo la storia della parola, per comprenderne meglio i significati e gli usi, i percorsi semantici.

Il termine energumeno deriva, attraverso il suo adattamento latino, dal greco energoúmenos, participio presente passivo maschile di energéo ‘agisco, opero, sono attivo’, derivato di energós ‘attivo, efficace’, da érgon ‘azione, opera’ (radice etimologica da cui proviene anche energia ‘vigore fisico, forza’) col prefisso en- ‘in, dentro’. Nella sua diatesi passiva il verbo energéomai significa ‘subisco l’azione altrui’, quindi ‘patisco l’operato di qualcuno’; nel linguaggio medico antico, per esempio, l’energṓn è il chirurgo, mentre l’energoúmenos è il paziente, l’operato (Galeno).

Nel Nuovo Testamento il vocabolo acquista il senso di una potenza spirituale esterna, che opera in una persona: nella lettera ai Galati, Paolo definisce la fede in Gesù risorto energumena, dotata cioè di una forza irresistibile, di una energia trasformatrice. Nel greco cristiano il verbo, nella forma passiva, assume l’ulteriore valore semantico di ‘essere posseduto dal demonio’, mentre nella forma attiva lo troviamo in Giustino martire (II sec.), detto dei demoni che ‘agiscono’ dentro qualcuno.

Il termine energoúmenos ricorre nel lessico patristico – nei Vangeli si impiega con questo valore il verbo daimonízomai e il suo participio daimonizómenos –, come participio passivo e nell’uso sostantivato, in Eusebio di Cesarea (citando un anonimo oppositore della setta montanista), Atanasio di Alessandria e altri scrittori ecclesiastici. Nel De principiis, trattato teologico che ci è pervenuto integralmente solo nella traduzione latina di Rufino di Aquileia sul volgere del IV secolo, Origene (ca. 185-ca. 255) scrive che la possessione diabolica si verifica nel caso degli energumeni (coloro che così sono definiti comunemente: quos vulgo energumenos vocant) rendendoli privi di ragione e folli (amentes et insanos).

In latino il termine è attestato (talora nella variante grafica inerguminus), appunto dal IV secolo, anche in altri autori, come Sulpicio Severo e Giovanni Cassiano; si può notare peraltro come il sostantivo enérgema, che ancora Paolo usa nella prima lettera ai Corinzi per descrivere le attività divinamente ispirate, sia usato in accezione diversa già in Tertulliano (ca. 160-ca. 240), che lo introduce nel latino cristiano con il significato di ‘influsso diabolico’, ‘azione, effetto’ di maleficio o spirito maligno, quindi anche ‘ossessione’, ‘possessione demoniaca’.

Nei testi latini tardoantichi e altomedievali è comunque daemoniacus il termine maggiormente attestato per designare chi è soggetto alla possessione diabolica, o anche arrepticius.

Dal latino tardo energumenus il termine giunge in italiano: la prima attestazione (1342) è nelle Vite dei santi Giustina e Cipriano di Domenico Cavalca nella forma erergumini (Vite dei santi Padri, ed. di Carlo Delcorno, Firenze, SISMEL, 2009, vol. I, p. 291; con assimilazione a distanza n>r); probabilmente un falso del Redi, come suggerisce il vocabolario dell’italiano antico TLIO, è invece l’attestazione in Giordano da Pisa riportata nella terza impressione (1691) del Vocabolario degli Accademici della Crusca. Nel Cinquecento lo troviamo nella tragedia Libero arbitrio (Basilea, [Johannes Oporinus], 1546) di Francesco Negri, testo teatrale con fine pedagogico (c. [77r]: “a gli esorcisti [i papisti] danno un libro di esorcismi, che habbino ad usarlo sopra gl’energumeni et catechumeni”) ed è poi attestato nella letteratura demonologica e in trattati teologici e morali.

Tale significato si mantiene ancora nel Novecento: nella esegesi e teologia cattolica è dunque definito energumeno “colui che soggiace ad una influenza nefasta del demonio” sulla sua anima e sul corpo (Pietro Parente, Antonio Piolanti, Salvatore Garofalo, Dizionario di teologia dommatica, III ed., Roma, Studium, 1952, p. 114). La prassi liturgica per scacciare i demoni è l’esorcismo. Il nuovo rituale De exorcismis (che, promulgato il 22 novembre 1998, rinnova il Rituale del 1614 secondo le istanze del concilio Vaticano II, viene emendato nel 2004 e aggiornato nel 2021, dopo un’edizione ufficiale in lingua italiana del 2001) non adotta una terminologia univoca per designare chi è vittima della possessione diabolica, preferendo l’utilizzo della parola obsessus (‘assediato/posseduto’), e usando, in alternativa, i sinonimi infirmus, vexatus e, appunto, energumenus, che però ricorre una sola volta.

Tuttavia, il termine comincia nel tempo ad apparire anche al di fuori del linguaggio strettamente teologico, in espressioni comparative o figurative, dove peraltro mantiene ancora il riferimento al significato di ‘indemoniato, posseduto’. Teodosio Guazzoni racconta la vita di santa Giuliana martire: Eleusio, nobile rifiutato da Giuliana sua promessa sposa, che per amore della fede cristiana rinuncia al matrimonio,

gli occhi straluna, e la bavosa bocca scontorce, e nel dire precipita, e gli accenti dimezza, e gestisce da stolido, et inquieto s’aggira, farnetica, smania, impazzisce, freme, sibila, urla, lampeggia, niente da un energumeno dissimigliante, mentre dalle infernali furie trovasi agitato. (Teodosio Guazzoni, La bellezza martirizzata, overo l’Abbattuta trionfante, Ravenna, Giovanni Battista Pezzi, 1670, p. 100)

Dal punto di vista lessicografico, energumeno, presente nel repertorio di termini religiosi (Notitia de’ vocaboli ecclesiastici, Messina, eredi di Pietro Brea, 1644) di Domenico Magri, è registrato – come si è già accennato – nel Vocabolario della Crusca a partire dalla terza impressione (1691) e alla fine del XVIII secolo nel Dizionario universale critico, enciclopedico della lingua italiana di Francesco Alberti di Villanova (Lucca, Domenico Marescandoli, to. II, 1797), come aggettivo e sostantivo: ‘"indemoniato, invasato, arrettizio, spiritato, che ha il Demonio addosso". Così i principali dizionari all’incirca fino alla metà dell’Ottocento.

“Gesti, occhi (spiritati), voce, eloquenza, urla da energumeno”; “dimenarsi, divincolarsi come un energumeno”: tali espressioni compaiono progressivamente in contesti sempre più lontani da quello religioso. Nella lettera in versi di Giosue Carducci a Ferdinando Travaglini del 24 dicembre 1850 troviamo l’occasionalismo ergumenizzare, con il valore di ‘avere atteggiamenti da esaltato, da invasato’: “Se alcuno poi vedessi sbracciarsi a predicare, / E farla da inspirato, ed ergumenizzare, / E martire d’Italia, vittima de i tiranni / Vantarsi, ed invocare di libertade gli anni…” (G. Carducci, Lettere, vol. I, Bologna, Zanichelli, 1938, p. 11).

Col tempo, dunque, la parola passa a designare non più tanto l’indemoniato, quanto estensivamente una persona esagitata, esaltata e furente. Questo significato inizia a emergere nella seconda edizione accresciuta del Vocabolario della lingua italiana (Firenze, Le Monnier, 1865) di Pietro Fanfani: di chi “si mostra accesissimo in atti e in parole per amore ad una setta, si dice comunemente che è un energumeno, pare un energumeno”. Il Dizionario dei sinonimi (V edizione milanese, Vallardi, 1867) di Niccolò Tommaseo ne amplia ed esemplifica la semantica, riportando anche la forma femminile in -a (documentata almeno dal 1578):

Ossesso, Energumeno, Indemoniato, Indiavolato, Insatanassato, Invasato. […] Energumeno è più scelto che indemoniato; e indemoniato per lo più dicesi nel senso proprio. Di persona infuriata dall’ira: e’ pareva un energumeno. E anco di donna, energumena: e sostantivo e aggettivo. Ossesso è segnatamente termine ecclesiastico, ma dicesi anco pare un ossesso, è un ossesso, di chi si mostra o si finge stranamente agitato. Certi che affettano l’ispirazione, e nel recitare pajono ossessi. In questo senso dicesi anco energumeni; e pare talvolta un po’ meno. C’è chi fa gesti da energumeno per abito di temperamento e per naturale irrequietezza.

E, ancora, “chi si agita in modo da parere che non possa signoreggiare colla ragione i propri movimenti” (Tommaseo-Bellini, Dizionario della lingua italiana, vol. II/1, 1869), chi denota affettato e falso entusiasmo; figuratamente, precisa il Vocabolario italiano della lingua parlata (Firenze, Tip. Cenniniana, 1875) di Giuseppe Rigutini e Pietro Fanfani, energumeno è chi “parla ad alta voce, si infuria, e si agita malamente”, detto "di chi parlando dice cose furibonde, e si agita eccessivamente, o di chi, scrivendo, butta sempre paroloni e frasi ebbre e furenti: «certi letterati hanno acquistato gran fama, facendo gli energumeni su per le piazze, ed in certi loro polpettoni di opere»"; scrittori, e “politici, ministri che paiono, sono energumeni”, “critica, filosofia energumena” (Policarpo Petrocchi, Novo dizionario universale della lingua italiana, Firenze, F.lli Treves, vol. I, 1887).

Come aggettivo, vale anche ‘prepotente, privo di naturalezza e spontaneità, artificioso, fanatico o esaltato, febbrile’: in Alessandro Manzoni, La rivoluzione francese del 1789 e la rivoluzione italiana del 1859 (saggio incompiuto, composto in più tempi a partire dal 1863 e pubblicato postumo: Milano, F.lli Rechiedei, 1889, pp. 139-140; nell’Edizione nazionale ed europea delle opere: Milano, Centro nazionale studi manzoniani, 2000, p. 85) troviamo “oratori o energumeni o furbi”. In politica, esistono una “destra autoritaria ed energumena” (Elezioni politiche, “La Stampa”, 25/2/1879, p. 3) e gli “energumeni della sinistra”, che sorpassano “tutti i limiti dell’indecenza” (Gli scandali della Camera austriaca, “Corriere della sera”, 28-29/5/1897, p. 1).

Più anima che muscoli, si direbbe dunque, almeno inizialmente. Nel suo spostamento semantico, tuttavia, il termine viene a identificare sempre più comunemente chi esprime un’aggressività irrazionale, un individuo rissoso e prepotente, un pazzo violento. Lo vediamo, per esempio, sfogliando le cronache di furore ordinario sui giornali:

[…] un padre brutale avrebbe maltrattata crudelmente una sua ragazzina, percosso la moglie che voleva difendere la figliuola, regalato di pugni e calci alcuni pietosi che si son voluti intromettere. L’energumeno, che forse era esaltato dal vino, ne fece tante che una guardia municipale dovette intervenire e menarlo in Questura. (“La Stampa”, 2/2/1877, p. 3)

Nel suo delirio l’energumeno gesticola, urla, minaccia, insulta, percuote. Quello di ‘persona violenta, brutale’ diviene così il significato prevalente, l’accezione più comune e nota del termine, accolta stabilmente da tutti i principali e più diffusi vocabolari, testimoniata nell’uso, in letteratura e sulla stampa.

A viale Madagascar ci stava un guappo, un energumeno, che ogni mattina alle nove mi faceva piovere sul terrazzino la risciacquatura del “suo” terrazzino. Era il “suo” modo di darmi il buongiorno. (Carlo Emilio Gadda, La nostra casa si trasforma: e l’inquilino la deve subire, “Radiocorriere-TV”, a. XXXVI, n. 13, 29 marzo-4 aprile 1959, pp. 16-17; poi in Id., Verso la Certosa, Milano-Napoli, Ricciardi, 1961, pp. 129-137: p. 136)

L’energumeno è per di più arrogante e sfrontato; è volgare, triviale e maleducato, cafone e sboccato. Al femminile, l’epiteto individua spesso una figura di donna forte, passionale o sfacciata ed egoista: “Si parla del rilancio della donna. Ma di quale? Dell’energumena, della guerrigliera, dell’emancipata?” (Lettere al Corriere, [lettera di Anna Trapani], “Corriere della sera”, 5/11/1972, p. 5); “l’uomo d’oggi maltrattato dalla donna rampante ed energumena” (“Uomini maltrattati, unitevi”, “la Repubblica”, 2/2/1991, p. 16); “vittima d’una madre energumena” (Rodolfo Di Giammarco, Il suicidio di tre maschi assai ridicoli, “la Repubblica”, 24/12/1997, p. 11), e così via.

Più recentemente, i dizionari riportano un ulteriore ampliamento semantico del termine: registrato dal 1999 sul GRADIT con uso estensivo e colloquiale, energumeno è ‘chi mostra una grande forza fisica’, così poi lo Zingarelli (dall’edizione 2013), il Nuovo Devoto-Oli (2018) e il Dizionario dell’italiano Treccani (2022). Non solo, i repertori lessicografici aggiungono, a completare la descrizione dell’energumeno, ‘persona di grande stazza’, ‘robusta e massiccia’ (Devoto-Oli, Zingarelli), ‘dall’atteggiamento minaccioso’ (l’Etimologico, 2010); nella rete di rimandi semantici il Dizionario analogico della lingua italiana Zanichelli (2011) elenca in successione alla voce robusto, relativamente a persone, questi possibili richiami: ‘omone’; ‘marcantonio’, ‘armadio’, ‘gorilla’; ‘energumeno, colosso’; ‘ercole, sansone, maciste’; ‘grassone, ciccione’, ecc. Nell’esempio davanti alla porta c’era una sorta di energumeno ci immaginiamo perciò un omaccione che sfiora e a stento passa dagli stipiti della porta stessa, piuttosto che uno scalmanato delirante.

Questa caratterizzazione descrittiva si rintraccia almeno dai primi del Novecento:

Povera mamma sua! Come aveva egli [Giusto] potuto abbandonarla per tanto tempo, così esile, così delicata di fibra, come aveva potuto lasciarla alle prese con quell’energumeno dalle larghe spalle quadrate, dalla voce tonante, che portava nelle dispute tutta la forza de’ suoi polmoni e in mancanza di migliori argomenti tirava quattro moccoli, e dava sulla tavola un pugno da far tintinnare stoviglie e bicchieri? (Enrico Castelnuovo, Don Giusto, “Nuova Antologia”, CXCI, fasc. 762, 16 settembre 1903, p. 203)

E poi: “Quella sera io mi sentii brutalmente spinto da parte; un giovane e massiccio energumeno si fece largo in tal modo fino al canestro e ai piatti, si qualificò con un pauroso nomignolo…” (Giuseppe Marotta, L’oro di Napoli, Milano, Bompiani, 1947, p. 92). Come aggettivo, suggerisce il senso di forza e veemenza: “aveva afferrato una ragazza, quella ragazza magretta che voi conoscete, e la riduceva uno straccio tra le sue braccia energumene” (Enrico Pea, Solaio. Storie di noi viventi, Firenze, Sansoni, 1941, p. 23).

Sui giornali incontriamo frequentemente il termine, nel suo ampio e variegato ventaglio semantico, per la sua icasticità stilistica e lessicale: l’energumeno è un “uomo muscoloso e pronto a menar le mani” (Il pugilista soddisfatto, “Corriere della sera”, 5/2/1935, p. 8), è alto, corpulento; nelle cronache sportive, dove è legato alla prestanza fisica e all’impeto agonistico, talora alla fallosità: “neve primaverile, soffice per un energumeno dello sci come Alberto [Tomba] che pesa 90 chili e sfoga potenze incredibili” (Leonardo Coen, Fenomeno Tomba avanti marsch, “la Repubblica”, 24/3/1995, p. 45); o in contesti politici, fino al celebre “energumeno tascabile” pronunciato da Massimo D’Alema (nell’articolo di Silvio Buzzanca, Botta e risposta D’Alema-Brunetta, “la Repubblica”, 22/10/2008, p. 10), con ossimorico gioco di parole sui diversi significati del termine; all’etimologia riporta la replica di Renato Brunetta (“energumeno sta per violento ed indemoniato”, in Perché difendo i tornelli, “la Repubblica”, 30/10/2008, p. 27).

La ragione di questa estensione di senso è probabilmente dovuta a un’associazione paretimologica, ovvero all’accostamento con parole più note, di più ampia circolazione, appartenenti peraltro (ma senza che ciò venga avvertito dai parlanti) alla stessa famiglia lessicale (energia, energetico, ecc.), che richiamano la vigoria fisica; in certi casi può essere semplicemente e logicamente consequenziale alle azioni violente dell’energumeno: una tempesta di calci e pugni, una forza erculea si addicono maggiormente a una persona dalla corporatura imponente e muscolosa. Così, la componente fisica si sovrappone a quella psichica, o meglio ne esprime e ne rappresenta il tipo, e lo connota stereotipicamente: “un individuo alto, tarchiato, robustissimo… il torso e le braccia erano coperti da bizzarri e simbolici tatuaggi” (Le violenze di un folle energumeno, “Corriere della sera”, 25/8/1925, p. 7); anche in attestazioni più recenti, tatuaggi, testa rasata, cicatrici, un certo abbigliamento sono attributi che ne fanno (o ne farebbero) un tizio decisamente poco raccomandabile.

Non di rado l’energumeno mostra una stolidità tendenzialmente innocua, ma imprevedibilmente minacciosa, a momenti pericolosa, che non sembra essere più l’originaria obnubilazione della mente dovuta al demonio, bensì una naturale limitatezza intellettiva. Una caratteristica che si manifesta già in diverse attestazioni del passato, dalle parole di Benedetto Croce su Francesco Domenico Guerrazzi: “Sotto quel suo tono convulso di energumeno non ci vuol molto ad accorgersi che c’è una fantasia poco intensa e un cervello poco profondo” (Note sulla letteratura italiana nella seconda metà del secolo XIX. I. Giosuè Carducci, “La critica”, I, 1903, pp. 7-31: p. 8), a scritti più recenti e alle cronache effimere dei quotidiani: l’energumeno è “un uomo enorme, grosso e grasso, con la faccia da rimbambito”, “manesco e stupido”, “cerebroleso”, “inetto”.

Questi tratti trovano riscontro, per il momento, solo in alcuni repertori di sinonimi (per esempio il Dizionario dei sinonimi e dei contrari di Bruna Monica Quartu, Milano, Biblioteca universale Rizzoli, 1986, e Il dizionario dei sinonimi e contrari di Tullio De Mauro, [Torino], Paravia, 2002): l’energumeno è un ‘omaccione’, spregiativamente un ‘bestione’, una persona brutale e violenta, ma anche ignorante, un po’ imbecille, sciocca, rozza o poco intelligente. Un brutto ceffo, un figuro.

Infine, tra le declinazioni semantiche della parola, oggi rare o desuete, riportate dal Grande dizionario della lingua italiana (GDLI) fondato da Salvatore Battaglia (vol. V, 1968, s.v.), energumeno può significare specificamente in senso traslato ‘pazzo, matto, mentecatto, alienato’: “i pazzi furiosi non sono energumeni strillanti e gesticolanti senza riposo” (Il manicomio di Sant’Anna a Parigi, “L’emporio pittoresco”, X, n. 457, 1-7 giugno 1873, pp. 255-257: p. 255). Se ne rintraccia qualche attestazione nei bozzetti clinici di alcuni malati e ossessi, oppure in occorrenze letterarie (in un appunto del 7 agosto 1895 nei Taccuini di viaggio di Cesare Pascarella, editi a Milano, per Mondadori nel 1961, p. 133; in Enrico Pea, Il volto santo, Firenze, Vallecchi, 1924, p. 47).

Con uso iperbolico, volutamente esagerato e scherzoso, la parola può indicare anche un ‘ragazzo vivace, irrequieto, indisciplinato’ (GDLI). Un’analoga definizione compare nel dizionario Devoto-Oli nell’edizione 1990, dove era detto di “ragazzo insofferente e prepotente”: l’accezione, eliminata dal Nuovo Devoto-Oli (2018), sostituiva quella presente dalla prima edizione (1967) dello stesso dizionario, che marcava scherzosamente “nel gergo dei giovani, chi ostenta atteggiamenti di violenza o insofferenza”. Le attestazioni, non numerose, tra fine Ottocento e prima metà del Novecento, appartengono soprattutto alla letteratura. I “piccoli energumeni” sono poppanti inquieti e bambini tirannici, ragazzini irragionevoli e viziati: [le mamme] cercano di placare, narcotizzare, quei cari energumeni, a forza di rimpinzarli…” (Emilio Cecchi, Et in Arcadia ego, Milano, Hoepli, 1936, pp. 34-35); “Cosa vuole che faccia una povera madre fra sette energumeni in due metri di spazio?” (Aldo Palazzeschi, Legami ignoti, [1954], in Id., Tutte le novelle, Milano, Mondadori, 1957, p. 109).

Il termine non è infrequente negli scrittori, in particolare tra Ottocento ed età contemporanea, che lo impiegano per le loro esigenze narrative. In Nievo, Rovani, Faldella, Fucini, Fogazzaro, Imbriani, De Roberto, Serao, D’Annunzio, Salgari, Pirandello, Cicognani, Svevo, Bacchelli, Buzzati, Levi, Arpino, Rea, Maraini, Piperno, Albinati, ecc. gli energumeni raccontati e descritti letterariamente sono marmaglia aggressiva, si ergono loschi, minacciosi e grossi, urlanti, veri dementi, folli, pesanti, irrequieti e irascibili.

Gli slittamenti semantici della parola mostrano dunque un graduale allentamento del legame etimologico; di questo valore affiora una sbiadita e opaca reminiscenza, tendente però a un appiattimento del termine, a una banalizzazione fisica: l’energumeno non è più il posseduto da un essere soprannaturale, sebbene le manifestazioni irrazionali e violente lo ricordino e a quell’immagine ci rifacciamo, mentre il dissolvimento della ragione è dato più dal vuoto della violenza e dell’ignoranza, che non da una manía diabolica.

Non è facile capire il momento esatto in cui le diverse accezioni da accessorie vengono a costituire il significato preminente, né l’area di irradiazione. Se le occasioni e i contesti d’uso ci mostrano una variegata e fluida semantica, il profilo dell’energumeno si delinea anche nelle variazioni linguistiche originate dalle diversità sociali (età, istruzione, ecc.) di chi usa il termine o dipendenti dai differenti canali di comunicazione (letteratura/paraletteratura, tv, stampa, che alterna e fonde ricercatezza lessicale ed efficacia divulgativa), finendo per condizionare l’immagine mentale del tipo grosso e grossolano, incline alla violenza. Nonostante tale impiego sia improprio, il senso di ‘figuro grosso e losco’ è tuttavia invalso e affermato nell’uso, dando luogo a una tipizzazione fisica, morale e psicologica, a un modello emblematico di persona. Almeno a oggi: del resto, il destino di una parola, spesso intuibile, a volte non prevedibile, passa per gli ambienti, i pensieri, gli interessi di una società, i fremiti di un’epoca.

Solo in pochissimi casi il termine sembra assumere una connotazione positiva, per esempio sulla “Repubblica” (nell’articolo di Brunella Torresin, Lezione di cultura e ironia. Il trionfo del dottor Benigni, 8/10/2002, sez. Bologna, p. 2), quando Roberto Benigni, in occasione del conferimento della laurea in Lettere honoris causa da parte dell’ateneo di Bologna, definisce l’università “quest’energumeno della sapienza”, un ‘colosso’ della cultura. Sempre a proposito di Benigni e dei suoi sessant’anni, per Giacomo Manzoli (Tutto il genio di Benigni è in mostra a Palazzo Pepoli, “la Repubblica”, 11/5/2011, sez. Bologna, p. 1), l’artista toscano è “un energumeno della comicità”, e qui c’è altresì l’aspetto della fantasia matta, sbrigliata, la genialità estrosa.

Altrove, la parola conserva per lo più l’idea di una radice feroce di energia, di brutalità e prepotenza, di una fisicità debordante e minacciosa, che si fanno cieca ignoranza, rozza e sguaiata volgarità, ottusità, assurda violenza.

Mariella Canzani

30 luglio 2025


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